La vita è sempre degna, anche quando mostra la sua fragilità

Con la raccolta di firme per il referendum sull’eutanasia ho timore che cresca l’assuefazione a una concezione “vitalistica” della vita: tutto ciò che non corrisponde a una certa condizione “vitale”, “efficiente”, della salute non è degno. E può essere eliminato. Chi si trova in una condizione difficile può pensare che una vita così non sia degna. Certo è che così si fatica a riconoscere che la “debolezza” (anche grave) dell’essere umano permette di vivere e non solo di sopravvivere, solo se ci prendiamo cura gli uni degli altri. Questa cura reciproca ci fa riconoscere come fratelli e sorelle anche nei momenti difficili. Di fronte alle posizioni contrarie al referendum alcuni hanno parlato di ira e di sdegno del Vaticano. In realtà la posizione della Chiesa è animata dalla responsabilità di comunicare una convinzione che riguarda valori fondamentali per la convivenza umana. Certamente il referendum è uno strumento importante della vita democratica e può sollecitare il Parlamento a legiferare su argomenti che lo richiedono.

Ma auspico che, su temi delicati e cruciali come quello dell’eutanasia, ci sia un effettivo dialogo e una conoscenza adeguata da parte di tutti: ciascuno (realtà religiose comprese) deve poter esprimere le proprie opinioni, tanto più in casi come questi nei quali la materia è delicata e complessa. Non può essere risolta con una battaglia ideologica e divisiva. Molti sono i risvolti: si deve capire per esempio se il soggetto che chiede l’eutanasia vuole davvero morire o solo che gli venga tolto il dolore. Là dove questo è stato chiarito, la domanda di eutanasia è calata drasticamente. Si deve dire, inoltre, che oggi la scienza prevede cure che tolgono il dolore provocato da qualunque tipo di malattia o infermità fino alla fine. Certo, la ricerca sul dolore va perfezionata ancora. E le cure palliative vanno garantite a tutti e gratuitamente. Ma c’è bisogno di più informazione. In Italia già da ora è possibile morire senza essere torturati dal dolore. E dobbiamo stare attenti a non lavarci le mani con una legge sull’eutanasia che rischierebbe di estendere una “sentenza di morte” a livello generalizzato, magari anche per fini strumentali, persino economici, come potrebbe essere il risparmio sui ricoveri. La Chiesa – ma anche ogni umanesimo da Ippocrate in poi – non può accettare di “togliere la vita” a nessuno. E un conto è “uccidere” (questa è l’eutanasia), altra cosa è “lasciar morire” (no all’accanimento terapeutico e sì ad accompagnare). Una lode meritano coloro – sono molti e non fanno notizia – che stanno accanto a tanti malati terminali o in gravi condizioni, senza abbandonarli, sentendo degna anche quella vita. Nell’amore si comprendono molte cose.

(Famiglia Cristiana)