La vecchiaia: il nostro futuro. La condizione degli anziani dopo la pandemia

Ogni anno il 25 luglio nella festa dei santi Gioacchino ed Anna. E’ un invito ai credenti perché cresca in loro e attorno a loro una nuova sensibilità verso i nonni e gli anziani. Più volte gli ultimi pontefici sono intervenuti per richiamare tutti ad una attenzione nuova nei confronti degli anziani. Basti ricordare la Lettera agli Anziani di San Giovanni Paolo II, alcuni preziosi interventi di Benedetto XVI e l’intenso Magistero di Papa Francesco con l’indimenticabile festa degli anziani a Roma nel 2017. Il Papa che non cessa di contrastare quella “cultura dello scarto” che porta ad abbandonare egli anziani esorta in ogni modo a prenderci cura della rete degli affetti e dei legami che uniscono le generazioni, perché la famiglia e la comunità cristiana siano una casa accogliente per tutti, dai piccoli ai nonni, e la trasmissione della cultura e della fede tra le generazioni sia fluida e viva.

L’Accademia per la Vita, con questa Nota, intende sottolineare l’urgenza di una nuova attenzione alle persone anziane che in questi ultimi decenni sono aumentate ovunque di numero. Senza tuttavia che aumentasse la prossimità verso di loro e ancor meno una comprensione adeguata alla grande rivoluzione demografica di questi ultimi decenni. La pandemia da COVID-19 – che ha trovato negli anziani le vittime più numerose – ha rilevato questa incapacità della società contemporanea di prendersi cura in maniera adeguata dei propri anziani. Con la pandemia, quella cultura dello “scarto” che papa Francesco ha più volte richiamato, ha causato tragedie innumerevoli abbattutesi sugli anziani. In tutti i continenti la pandemia ha colpito innanzi tutto chi è vecchio. I dati dei decessi sono brutali nella loro crudeltà. A tutt’oggi si parla di più di due milioni e trecentomila anziani morti per il Covid-19, la maggioranza dei quali ultrasettantacinquenni. Una vera e propria “strage di anziani”. E la maggioranza di essi è deceduta negli istituti per anziani. I dati di alcuni paesi – ad esempio l’Italia – mostrano che la metà degli anziani vittime da Covid-19 viene dagli istituti e dalle Rsa, mentre solo un 24 per cento del totale dei decessi riguarda gli anziani e i vecchi che vivevano a casa. Insomma, il 50% delle morti è avvenuto tra i circa 300.000 ospiti di case di riposo ed RSA mentre solo il 24% ha colpito i 7 milioni di anziani over 75 che vivono a casa. La propria dimora, anche durante la pandemia, a parità di condizioni, ha protetto molto di più. E tutto questo si è ripetuto in Europa e in tante altre parti del mondo. Una ricerca dell’Università di Tel Aviv sui paesi europei ha evidenziato la relazione proporzionale diretta tra numero di posti letto nelle RSA e numero dei morti anziani. In ogni paese rimane sempre identica la proporzione: al crescere dei posti letto risulta aumentato anche il numero delle vittime nella popolazione anziana. Non credo sia un caso. Quanto è accaduto tuttavia impedisce di liquidare la questione della cura degli anziani con la immediata ricerca di capri espiatori, di singoli colpevoli. D’altra parte, sarebbe incomprensibile un silenzio colpevole e sospetto.

E’ urgente ripensare globalmente la prossimità della società verso gli anziani. Nel sistema di cura e assistenza degli anziani molto è da rivedere. L’istituzionalizzazione degli anziani nelle case di riposo, in ogni paese, non ha garantito necessariamente migliori condizioni di assistenza, tanto meno per chi tra loro è più debole. È necessario un serio ripensamento non solo relativamente alle residenze per gli anziani ma per l’intero sistema assistenziale del vasto popolo di anziani che oggi caratterizza tutte le società. Papa Francesco ha ricordato che, dalla pandemia, non si esce come prima: o siamo migliori oppure peggiori. Dipende da noi e da come iniziamo già da oggi a costruire il futuro. Questa Nota – la terza che l’Accademia emana in relazione alla pandemia – vuole aiutare l’edificazione di un nuovo futuro per gli anziani nella società.

È responsabilità della Chiesa assumere una vocazione profetica che indichi l’alba di un tempo nuovo. Non possiamo non impegnarci per una profonda visione che guidi la cura della terza e della quarta età. Lo dobbiamo ai nostri anziani, a tutti coloro che lo diventeranno negli anni a venire. La civiltà di un’epoca si misura a partire da come trattiamo chi è più debole e fragile. La morte e la sofferenza dei più vecchi non possono non rappresentare una chiamata a fare meglio, a fare diversamente, a fare di più. Lo dobbiamo ai nostri ragazzi, a chi è giovane e all’inizio della vita: educare alla vita del Vangelo significa anche insegnare che la debolezza – anche quella dei vecchi – non è una maledizione ma una via per incontrare Dio nel volto di Gesù Cristo. La fragilità, con gli occhi del Vangelo, può diventare una forza e uno strumento di evangelizzazione.

La Chiesa, maestra di vita, dovrà sempre più reinterpretare – all’interno di un mondo nuovo e in evoluzione –  la propria vocazione ad essere un modello e un faro per tante famiglie e per l’intera società perché chi invecchia sia sostenuto e aiutato nel rimanere a casa propria e comunque a non abbandonarlo mai.

(intervento alla conferenza stampa di presentazione del Documento della Pontificia Accademia per la Vita, martedì 9 febbraio 2021)