La pena non deve uccidere la speranza

“Nel vostro lavoro è di grande aiuto tutto ciò che vi fa sentire coesi: anzitutto il sostegno delle vostre famiglie, che vi sono vicine nelle fatiche. E poi  l’incoraggiamento reciproco, la condivisione tra colleghi, che permettono di affrontare insieme le diffi coltà e aiutano a far fronte alle insuffi cienze. Tra queste penso, in particolare, al problema del sovraffollamento degli istituti penitenziari – è un problema grave -, che accresce in tutti un senso di debolezza se non di sfi nimento. Quando le forze diminuiscono la sfi ducia aumenta. È essenziale garantire condizioni di vita decorose, altrimenti le carceri diventano polveriere di rabbia, anziché luoghi di ricupero».
Così parlava Papa Francesco pochi mesi fa, il 14 settembre 2019 in Piazza San Pietro, nel discorso rivolto al personale dell’amministrazione penitenziaria e della giustizia minorile. E concludeva con alcune frasi su cui meditare soprattutto nell’attuale congiuntura. È importante «fare in modo che la pena non comprometta il diritto alla speranza, che siano garantite prospettive di riconciliazione e di reinserimento. Mentre si rimedia agli sbagli del passato, non si può cancellare la speranza nel futuro».
Perché partire dalle parole di Papa Francesco per parlare della situazione carceraria nel nostro paese, oggi? La rivolta in corso avrebbe piuttosto a che fare con la paura del contagio da coronavirus e con la sospensione/limitazione dei colloqui, ben differente dall’impostazione più generale di Papa  Francesco.

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