L’Europa cristiana è questo: il samaritano, lo straniero, il fratello

Dalla casa comune da custodire e proteggere (tema dell’enciclica Laudato Si’) a Fratelli Tutti, lo sguardo di papa Francesco si allarga al noi tutti’ che abitiamo il mondo, la nostra casa comune. L’enciclica compone un dittico ampio, variegato, complesso e ricco di temi, dominato e arricchito da alcune espressioni-chiave: viviamo in un mondo senza una rotta comune; la pandemia ha evidenziato e allargato ingiustizie e disparità. Nel mondo attuale i sentimenti di appartenenza a una medesima umanità si indeboliscono, mentre il sogno di costruire insieme la giustizia e la pace sembra un’utopia di altri tempi. Vediamo come domina un’indifferenza di comodo, fredda e globalizzata, figlia di una profonda disillusione che si cela dietro l’inganno di una illusione: credere che possiamo essere onnipotenti e dimenticare che siamo tutti sulla stessa barca (par. 30).

Nella Laudato Si’ una delle espressioni-guida diceva: tutto è connesso. Da un punto di vista concettuale, papa Francesco ha sviluppato il termine ecologia non nel significato generico di una qualche preoccupazione verde, ma in quello più profondo di un sistema complesso che trova spiegazione nella relazione delle singole parti tra loro e con il tutto. Nella Fratelli Tutti lo sguardo si allarga al tema della fraternità: quello che è lontano ci riguarda. Lo sguardo della fraternità non è mai miope. È evangelico e umano, ma anche ben più realista di tante ideologie scientifiche o politiche concrete. L’enciclica sottolinea che ciascuno è custode della giustizia e della pace: non si fanno sa sé magari attraverso il mercato una volta per tutte: vanno coltivate sempre di nuovo, individualmente e collettivamente. C’è un compito specifico delle istituzioni nel costruire e sostenere la giustizia e la pace dentro le nazioni e tra i popoli. Nessuno può rimanere semplice spettatore. L’artigianato della pace è compito di tutti: si deve osare di più contro la guerra; se tanti possono fare la guerra, molti di più devono lavorare come artigiani di pace.

Da qui la definitiva condanna della guerra come strumento di governo e di ordine, sia nazionale e sia internazionale. Comprese le guerre economiche’, spesso mascherate e nascoste, ma non per questo meno violente. In questa chiave è superato anche il ricorso alla pena di morte, che legittima la presunzione di poter essere padroni assoluti della vita di un altro (che è il delitto supremo) e toglie pregiudizialmente alla vita il tempo del suo doveroso riscatto (che deve’ essere richiesto e reso possibile). Alla denuncia dell’individualismo e della frammentazione, asserviti ad una visione di priorità di interessi individuali, il Papa contrappone una solida affermazione del primato della fraternità. Di una fraternità universale, che riguarda tutti i popoli. E qui si sviluppa una delle feconde analisi del testo: la disamina di cosa davvero significhi popolare contrapposto a populismo. Dare del populista oggi significa svalutare e manipolare un concetto quello di popolo che è alla base della concezione della stessa democrazia, governo del popolo già nell’etimologia. Il populismo si muta nell’abilità di qualcuno di attrarre consenso allo scopo di strumentalizzare politicamente la cultura del popolo, sotto qualunque segno ideologico, al servizio del proprio progetto personale e della propria permanenza al potere. Altre volte mira ad accumulare popolarità fomentando le inclinazioni più basse ed egoistiche di alcuni settori della popolazione. Ciò si aggrava quando diventa, in forme grossolane o sottili, un assoggettamento delle istituzioni e della legalità (par. 159).

Un atteggiamento già noto e criticato sotto il nome di demagogia: che attualmente ritorna in forma aggravata, non più soltanto come eccesso di artificio retorico e comunicativo, come vera e propria ideologia politica e istituzionale. Nella visione di Papa Francesco, debitrice della teologia del popolo argentina, la categoria di popolo, a cui è intrinseca una valutazione positiva dei legami comunitari e culturali, è abitualmente rifiutata dalle visioni liberali individualistiche, in cui la società è considerata una mera somma di interessi che coesistono. Parlano di rispetto per le libertà, ma senza la radice di una narrativa comune (par. 163). E i movimenti popolari nella misura in cui aggregano settori ampi e marginalizzati, attorno a proposte politiche concrete, possono dare quel di più di anima alla politica tradizionale ed alle organizzazioni internazionali, invitando ad uscire dalle logiche della frammentazione e della spartizione del potere. In una parola: è una strada per uscire dalla logica dello scarto che vorrebbe condannare all’emarginazione e all’insignificanza miliardi di esseri umani. La società mondiale ha gravi carenze strutturali che non si risolvono con rattoppi o soluzioni veloci meramente occasionali. Ci sono cose che devono essere cambiate con reimpostazioni di fondo e trasformazioni importanti (par. 179). E pertanto ognuno è pienamente persona quando appartiene a un popolo, e al tempo stesso non c’è vero popolo senza rispetto per il volto di ogni persona. Popolo e persona sono termini correlativi. Tuttavia, oggi si pretende di ridurre le persone a individui, facilmente dominabili da poteri che mirano a interessi di pura manipolazione e di vera e propria corruzione. La buona politica cerca vie di costruzione di comunità nei diversi livelli della vita sociale, in ordine a riequilibrare e riorientare la globalizzazione per evitare i suoi effetti disgreganti (par. 182).

Qui troviamo gli aspetti concreti e qualificanti del testo uno per tutti: la necessità di globalizzare i diritti umani più essenziali a partire dalla soluzione al problema della fame nel mondo. Ma dove è il fondamento della visione di Papa Francesco? Prima di tutto l’allargamento a distico dalla enciclica Laudato Si’ alla Fratelli Tutti mettendo al centro san Francesco con la sua visione del cosmo e dell’umanità fondata sul messaggio evangelico. E a saldo fondamento troviamo la riproposizione della parabola del Samaritano del Vangelo di Luca: l’altro chiunque è il mio prossimo. Lo scandalo’ è che il Samaritano l’escluso, l’adoratore di idoli per gli ebrei pii sia l’unico a fermarsi e soccorrere l’uomo aggredito e abbandonato in strada dai briganti. Oggi secondo quel modello, la Chiesa cattolica riafferma il dovere universale di prenderci cura gli uni degli altri. Di farsi prossimi agli altri, a partire dai mezzi morti, i più deboli. Non sorprende lo scandalo dei poteri e gli interessi mondani: persino dentro le religioni e dentro lo stesso cristianesimo. La risposta di papa Francesco è altrettanto diretta e puntuale: l’appello evangelico deve essere raccolto con forza, esemplarmente e pubblicamente da tutti i mondi religiosi: a cominciare da quelli delle gradi religioni storiche. Su tale obiettivo l’enciclica mette in campi i segni forti di questa convergenza. Papa Francesco scrive all’inizio di avere ricevuto ispirazione dal Patriarca Bartolomeo sui temi ambientali avendo per modello la Dichiarazione di Abu Dhabi (febbraio 2019) sulla Fratellanza universale. L’affresco compone un universale non generico e rinnovato appello al dialogo per unire e costruire, che veda convergere ed allearsi tutti gli attori sociali dai media, non più divisivi, ai politici, alle organizzazioni economiche e finanziarie, alle organizzazioni internazionali convinti che non solo tutto è connesso ma soprattutto: quello che è lontano ci riguarda e dunque tutto ci riguarda. L’enciclica si arricchisce di una serie di folgoranti stimoli da leggere attentamente, soprattutto a riguardo del deciso scatto di riabilitazione della politica dal suo degrado affaristico e propagandistico: la politica è più nobile dell’apparire, del marketing, di varie forme di maquillage mediatico. Tutto ciò non semina altro che divisione, inimicizia e uno scetticismo desolante incapace di appellarsi a un progetto comune. Pensando al futuro, in certi giorni le domande devono essere: A che scopo? Verso dove sto puntando realmente?. Perché, dopo alcuni anni, riflettendo sul proprio passato, la domanda non sarà: Quanti mi hanno approvato, quanti mi hanno votato, quanti hanno avuto un’immagine positiva di me?. Le domande, forse dolorose, saranno: Quanto amore ho messo nel mio lavoro? In che cosa ho fatto progredire il popolo? Che impronta ho lasciato nella vita della società? Quali legami reali ho costruito? Quali forze positive ho liberato? Quanta pace sociale ho seminato? Che cosa ho prodotto nel posto che mi è stato affidato? (par. 197). La Chiesa per Papa Francesco è in uscita non per modo di dire ma per indicare in concreto le strade di una pace fondata sul dialogo, sul riconoscimento e sull’accettazione dell’altro, sulla profonda convinzione del diritto di tutti e ciascuno ad abitare il pianeta per vivere una vita degna, per fare in modo che la vicinanza tra uomini e donne non sia una condanna a tollerarsi o distruggersi ma la feconda via di un’avventura comune per un futuro migliore, seguendo la volontà del Creatore. Alla luce della visione fraterna e allo stesso tempo realista e possibile del mondo globale, si coglie come centrale la condanna del dramma della guerra vicina o lontana con il suo corteo di sofferenze: distruzione dell’ambiente umano e naturale, morte, rifugiati, eredità di dolori e odi, terrorismo, armi di ogni tipo, crudeltà. Il senso del richiamo al no alla guerra, come il rifiuto netto della pena di morte ribadita dal Magistero recente hanno lo scopo di risvegliarci dall’assuefazione collettiva alle logiche del conflitto.

Logiche a cui non sono estranei i media, anche nel mondo cattolico, quando disegnano un mondo di contrapposizioni magari costruite e sollevate per interessi nascosti, il cui risultato è accentuare polarizzazioni e divisioni. Attraverso la cultura della fraternità Papa Francesco chiama ognuno di noi ad amare l’altro popolo, l’altra nazione come la propria, costruendo rapporti, regole e istituzioni, abbandonando il miraggio del ricorso alla forza, degli isolamenti, delle visioni chiuse, delle azioni egoistiche e di parte poiché «la mera somma degli interessi individuali non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità» (par. 105).

(Il Riformista)