La pace: quale responsabilità per le Chiese?

La pace: quale responsabilità per le Chiese?





Il Vangelo della pace



Nella comunità cristiana c’è un’eredità di pace, anche se questa eredità si qualifica in maniera differente dalla pace del mondo. Il Signore disse ai suoi discepoli: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo io la do a voi” (Gv 14, 27). E’ il Vangelo della pace; quel Vangelo che spesso viene umiliato dagli stessi discepoli quando soccombono alla paura o quando si lasciano sorprendere dalla violenza o dai disegni di guerra o dalle sapienze strategiche di questo mondo. La pace di cui parla il Vangelo è certamente assenza di guerra, assenza di violenza e di sopraffazione; ma è molto di più: è Gesù stesso. E Lui la nostra pace, come scrive l apostolo Paolo agli efesini: “Egli infatti è la nostra pace” (2, 14). La pace, per i cristiani, non è anzitutto una scelta politica, è piuttosto una dimensione personale, del cuore, della vita, delle relazioni con gli altri. E’ la pace con Dio, prima di tutto, e viene a noi dal suo perdono, dalla sua presenza. Per questo dono, il cristiano è, nel profondo, un uomo pacifico e per questo necessariamente pacificatore.

Violenza e Vangelo non si incontrano tra di loro. Infatti, il Signore è mite e umile di cuore; non odia chi lo perseguita, anzi chiama amico chi congiura contro di lui e lo tradisce. La resistenza alla violenza, alla guerra, all’odio, si radicano nel profondo della stessa identità del cristiano: ossia nella imitazione del Signore pacifico, mite e umile di cuore. Per questo i discepoli di Gesù sono operatori e comunicatori di pace. Una notevole figura del cristianesimo romeno, Nicu Steinhardt, battezzato in carcere da un prete ortodosso anch esso prigioniero, in un libro autobiografico in cui narra la sua dolorosa storia, significativamente intitolato Diario della felicità, scrive: “Vado su tutte le furie quando vedo in che modo il cristianesimo è confuso con la stupidità, con una specie di devozione idiota e vigliacca&, come se il destino del cristianesimo non fosse altro che quello di lasciare l’umanità beffata dalle forze del male e il cristianesimo facilitasse le scelleratezze in quanto, per definizione, è condannato alla cecità e alla paralisi . E un richiamo decisivo: non rinunciare alla forza della fede. Del resto è chiara la beatitudine evangelica: i miti, non certo i violenti, erediteranno la terra.

La custodia della pace è decisiva all inizio di questo nuovo secolo. Tutto, infatti, sembra concorrere a lasciarsi travolgere dalle passioni, dagli etnicismi, dai nazionalismi, dai bellicismi, sprecando miseramente e tragicamente il grande dono della pace. Giovanni di Kronstadt, un santo prete russo morto all inizio del Novecento, diceva: Acquisisci la pace e la riceveranno migliaia attorno a te . Aveva ragione. Sappiamo bene, infatti, che essere cristiani non immunizza dall’intossicazione delle passioni del mondo. Dovremmo chiederci tutti: quanto i cristiani sono educati a considerare la pace come qualcosa di sostanziale per la loro vita, come qualcosa di imprescindibile nel loro comportamento, come qualcosa a cui non possono rinunciare? Si potrebbe dire che i cristiani non sono anzitutto pacifisti, ma pacifici e pacificatori. E questo è un punto decisivo.

Le Chiese sono un luogo di pace. E le comunità cristiane dovrebbero costituire uno spazio di aria pulita, non inquinata, non intossicata dall’odio; dovrebbero essere l’ossigeno della pace in un contesto troppo inquinato dal bellicismo o dalla violenza. In ogni situazione i cristiani sono chiamati a custodire nei loro cuori, nella loro vita, nelle loro comunità, la pace. Tutti debbono testimoniare che niente è più grande della pace, e niente è peggiore della follia della guerra e della violenza. Il Vangelo custodisce il segreto della pace, e ogni volta che viene comunicato, un cuore si apre alle ragioni della pace. Insomma, per un cristiano mai la guerra è inevitabile.

E la pace appartiene a tutti. E affidata a tutti, particolarmente ai cristiani: è la loro missione. C è un bisogno estremo di pace. Ebbene, questo bisogno di pace riguarda anzitutto noi cristiani. Si potrebbe dire che il bisogno di pace è bisogno di Dio, è sete di Dio, del suo regno e della sua giustizia. I cristiani nel mondo contemporaneo sono chiamati a tessere una rete che raccoglie e custodisce il dono della pace. In un mondo in cui si rischia lo scontro tra civiltà, in un universo marcato dalle lotte di religione, in società intossicate dalle passioni violente, essere cristiani significa divenire sempre uomini pacifici e pacificatori.



Il Vangelo della carità



La nuova condizione del mondo interroga anche l ecumenismo. Qualcuno parla di inverno ecumenico. Non so se sia inverno, certo è che qualcuno lavora per raffreddare il clima, magari sottolineando con pervicacia quello che divide gli uni dagli altri e mettendo in sordina l incredibile e innegabile cammino che si è fatto. Ovviamente, non vanno sottovalutate le divisioni che ancora esistono, né bisogna essere ciechi di fronte ai problemi che sorgono, sia a livello teologico che storico, o culturale e giuridico, oppure psicologico e concreto. Per di più, le difficoltà non sono a senso unico; esse traversano al loro interno le singole confessioni cristiane.

Il cammino compiuto sino ad oggi è enorme, e deve restare un punto di non ritorno. Ma dobbiamo guardare con audacia il futuro. Ma questo comporta la riaffermazione dello spirito che ha guidato i grandi protagonisti dell ecumenismo: cercare ciò che unisce prima di quel che divide. Lo disse con passione Giovanni XXIII quando aprì il Concilio; e fu la ragione che spinse Paolo VI a Gerusalemme per abbracciare il patriarca Atenagora (sono passati esattamente 40 anni). E quel che muove tanti altri capi di Chiese per significativi incontri. E Giovanni Paolo II lo ha fatto suo.

Ed in effetti, da quando i cristiani hanno imparato a guardarsi in modo diverso, si è avuta una svolta storica nei loro rapporti, prima inimmaginabile. Si sono dovuti attendere quasi mille anni per veder nascere un nuovo clima. E se oggi c è qualche raffreddamento, lo si può scorgere a partire dagli anni 80, da quando cioè le Chiese hanno ripreso a camminare ognuna incurante dell altra, magari in nome dell identità confessionale che temevano di perdere. Una testimonianza in positivo è, invece, rappresentata dagli Incontri di Preghiera per la Pace iniziati da Giovanni Paolo II ad Assisi nell ottobre 1986. Fu un evento assolutamente straordinario. Potremmo dire che fu la messa in immagine di quell ecumenismo e di quel dialogo interreligioso auspicato dal Vaticano II. Fu chiamato lo spirito di Assisi , uno spirito che spinge i partecipanti a guardare anzitutto quel che unisce. La Comunità di Sant Egidio ha raccolto questo spirito e ogni anno ha come replicato tali incontri. Ne è nata una singolarissima rete di relazioni che man mano si è allargata e irrobustita. Quest anno, nel mese di settembre, si terrà qui a Milano. Tali Incontri non sono il frutto di un romanticismo ecumenico o di una visione politica dei rapporti ecclesiali. Essi affondano le loro radici nel cuore stesso delle Chiese, ossia nell amore.

Tali Incontri Internazionali mostrano che la via dell amore resta centrale nell ecumenismo. Ma non è una via laterale o parallela ad altre, ad esempio, a quella teologica; al contrario, è l alveo che le fonda e le raccoglie tutte. E una via ampia, che chiede, oggi soprattutto, coraggio, creatività e audacia. Lo stesso dialogo teologico deve nascere all interno di quello dell amore, altrimenti rischia la sterilità. San Giovanni Crisostomo, a proposito dell amore, diceva che è il più importante tra tutti i beni; è la loro radice, fonte e madre, e che se esso manca non v è alcuna utilità degli altri . E sant Agostino, parlando della verità, diceva che quando dobbiamo dirla, appaia, piaccia e attiri ( pateat, placeat, moveat ); non essa infatti ma la carità è scopo del precetto e pienezza della legge . E in questo orizzonte potremmo leggere la pagina evangelica di Matteo che riporta la professione di Pietro a Cesarea di Filippo. La formulazione della fede, fatta a nome di tutti, fu impeccabile, e tuttavia non garantì ai discepoli di essere una cosa sola né sul piano del pensiero né su quello della fede viva in Gesù. Subito dopo, infatti, si misero a discutere su chi tra loro fosse il primo. Insomma, la formulazione corretta e unanime della fede, ovviamente assolutamente necessaria, non basta ad unire veramente le Chiese. C è bisogno della carità, come dice l Apostolo: se possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla (1Cr, 13,2).

Se la carità si affievolisce è facile tornare a sottolineare quel che divide. Ecco perché l ecumenismo va sempre più compreso nell orizzonte dell amore. L amore evangelico, infatti, fa vivere l unità in anticipo, come se fosse già perfetta, malgrado le imperfezioni e le diversità. Nell amicizia c è già la dimensione teologica della comunione. Un amicizia, ovviamente, che non sia una parola vuota, ma rapporto personale fatto di fedeltà, di interesse e di attenzione per l altro, di memoria anche dei problemi altrui, di conoscenza delle vicende altrui, e anche di perdono vicendevole. Quest amicizia fa superare le divisioni, fa svanire i pregiudizi, brucia l ignoranza e mette in comunicazione l uno con l altro. Essa da nuova forza al dialogo teologico e ne favorisce la ricezione, ma soprattutto consolida l ecumenismo in un terreno più sicuro e permette il superamento di quei problemi concreti che continuano a presentarsi e che, altrimenti, rischiano di allontanare ancora una volta gli uni dagli altri. L esempio dei martiri è l espressione più alta dell ecumenismo dell amore. La loro testimonianza è una preziosa eredità comune a tutte le Chiese cristiane.

L’allargamento dello spazio della carità deve divenire un impegno prioritario nella vita delle Chiese cristiane. Ed è un campo vastissimo nel quale è urgente ritrovarsi: si va dall aiuto ai nuovi poveri nei nostri paesi ricchi a quello per i paesi in via di sviluppo, dall impegno per la giustizia a quello del rispetto per i diritti umani, dalla difesa della pace a quello dell allargamento della solidarietà, e così oltre. La fraternità dei cristiani è certamente lievito buono di fraternità per i popoli, così come la loro divisione lo è per i conflitti. Le Chiese cristiane debbono sentire ben più fortemente la responsabilità di essere segno e strumento dell unità della famiglia umana. C è pertanto un rapporto diretto tra unità delle Chiese e unità della famiglia umana e pace. La fraternità dei cristiani è quindi un arma contro la crescita della conflittualità tra etnie, tra popoli, tra culture, tra religioni, tra civiltà. E la fraternità si realizza nella vita di ogni giorno con la preghiera comune, con lo scambio fraterno, con la solidarietà vicendevole, con la comune passione per il Vangelo.