La pace non si fa a colpi d’arma da fuoco

Immediatamente. È un’esigenza etica, umana, storica, strategica. Dobbiamo porci anche una domanda fondamentale: l’Occidente sta cadendo forse in una trappola? L’interrogativo è legittimo perché è il momento di chiederci chi vuole davvero il conflitto, se non sia in atto un tentativo davvero diabolico di assuefazione alla guerra, per estenderne la portata e farla diventare davvero una guerra mondiale. E, purtroppo, qualcuno inizia a parlarne in maniera esplicita. Non dobbiamo allora tirare rapidamente e saggiamente il freno? Subito e costi quel che costi? Ad esempio, a costo di interrompere drasticamente le forniture di energia con le conseguenti ridistribuzioni che questo implica. Ma non c’è alcun dubbio che meglio tremare per il freddo che tremare per la guerra. Papa Francesco è da tempo che ci avverte: stiamo vivendo una terza guerra mondiale “a pezzi”. Quante sono le guerre già in atto nei diversi scenari geopolitici! Per ora sono scenari lontani dall’Occidente, in Africa o in Medio Oriente o in Asia, ora dentro la nostra stessa realtà, nei paesi vicini. Il rischio di venirne travolti è altissimo. Siamo sull’orlo dell’abisso. Non possiamo essere insipienti!

Anche la storia dell’ultimo secolo ci avverte. Nei passati cento anni tra Est ed Ovest dell’Europa si sono sviluppati conflitti trasformatisi immediatamente in conflitti mondiali. Era il 1914, a Sarajevo, quando il gioco delle alleanze ha travolto il Continente. Era il 1939 quando l’invasione della Polonia, preceduta da schermaglie ed inutili tentativi di mediazione, ha provocato quella catastrofe epocale del Secondo Conflitto. Una guerra che non ci ha vaccinati definitivamente contro i conflitti. Ed ora? Ma la guerra è sempre una follia; ogni guerra lo è e nessun conflitto può avere giustificazioni perché le conseguenze si abbattono su popolazioni civili innocenti e prefigurano scenari catastrofici, umanitari geopolitici. È facile lasciarci travolgere dentro uno scontro globale, per una resa dei conti tra potenze (vere o presunte tali) lasciando per sempre da parte il benessere dell’umanità. Serve una chiara missione e visione etica: lo sviluppo si realizza nella pace e con la pace. Certamente in questo scenario drammatico dobbiamo rinforzare gli sforzi della diplomazia. E ben vengano i colloqui di pace e gli incontri diretti tra gli interlocutori, come ad esempio l’annunciato vertice tra i due ministri degli esteri russo e ucraino previsto in settimana.

Ma non basta. L’Occidente non deve scivolare nella logica del conflitto, nell’assuefazione che porta dritti verso una guerra globale e lo scontro di civiltà. Non c’è e non deve esserci uno scontro di civiltà per il puro e semplice motivo che la comunità umana è una ed una sola soltanto, pur nella diversità. Siamo una sola umanità, una sola famiglia umana, ed il dovere è la convivenza pacifica e civile tra tutti noi, per risolvere le differenze sociali, economiche, culturali; non dobbiamo ampliarle, non dobbiamo aumentarle. Si ripete oggi una vicenda antica, la tentazione di volersi arrogare il diritto di decidere le sorti di tutti. Il Vangelo delle tentazioni di Gesù che abbiamo letto domenica scorsa è una pagina straordinaria ed oggi ci parla in modo stringente. Il diavolo non tenta Gesù per fargli compiere azioni cattive o peccaminose. Non stiamo parlando di una discoteca nel deserto o di un night club nella Palestina di duemila anni fa. Il racconto evangelico si riferisce a tentazioni molto più radicali: impedire a Gesù di compiere la volontà del Padre, di compiere la sua missione e liberare gli uomini dalla schiavitù del “male”. Il diavolo voleva che Gesù non adorasse Dio, ma il potere malvagio, il possesso a qualsiasi costo, il dominio totale sugli altri.

Ecco, cominciamo a capire l’attualità ed il senso profondo del racconto? Il brano evangelico è trasparente nella sua chiarezza. Il tentatore dice a Gesù: se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo. Cioè se iniziamo a seguire la strada del dominio sugli altri, non ci saranno limiti al desiderio di avere sempre maggiore potere e controllo. Vivevamo già nella pandemia che ha messo tutti a dura prova. E abbiamo capito che nessuno si salva da solo. E la pandemia c’è ancora, anche se ne parliamo di meno. Ma c’è e continua a metterci in difficoltà. E da dodici giorni si è aggiunta alla pandemia un’altra prova – un’altra tentazione direbbe il Vangelo di domenica scorsa – che spinge tutti a riabilitare il linguaggio della guerra e della violenza, alzando pericolosamente e ovunque il livello della lotta e dell’odio contro l’altro. E purtroppo le divisioni tra i cristiani si aggiungono al conflitto, ci portano ad essere complici del male che divide. Gesù rifiuta la logica del diavolo e dice che la guerra è sempre una rovina. Si mette alle spalle la tentazione del potere, del dominio, della sopraffazione. E afferma il primato della fraternità tra tutti. Così dobbiamo fare anche noi, soprattutto noi oggi.

Il conflitto – se non lo fermiamo subito – ci spinge sino al limite dell’orlo dell’abisso. Quando si afferma sul terreno ed anche nei pensieri la logica delle armi contemporanee, abbiamo già perso tutti. Dobbiamo arrestare in ogni modo la devastazione che la brutale invasione continua a realizzare. Il rischio – dobbiamo ripetercelo – è di precipitare in un conflitto mondiale nuovo, devastante, lacerante. Davvero oggi si può pensare di vincere, con le armi che tutti i gli eserciti hanno a disposizione? Non ci saranno vincitori, soltanto sconfitti e distruzioni inutili di vite umane e una catastrofe senza precedenti. Dobbiamo scegliere la pace. La giustizia si fa con la pace e nella pace, non si genera a colpi di armi da fuoco. I miti, i fragili, i pacificatori, non sono delle persone deboli. Sono invece le persone più forti e resilienti perché sanno resistere alla tentazione, dentro di ognuno di noi, di rispondere con la violenza, con la sopraffazione.

Chi usa il dialogo vince, chi usa le armi perde sempre anche se al momento sembra uscire indenne e vittorioso. Se rileggiamo la storia di questi nostri decenni lo vediamo. Con le armi abbiamo risolto le guerre. Ma non abbiamo risolto i problemi veri, e oggi nel 2022 siamo ancora alle prese con le divisioni irrisolte di un Continente europeo che ha smarrito la capacità di incontrarsi, comprendersi, trovare soluzioni e strategie pacifiche. Purtroppo le Chiese cristiane in questa parte dell’Europa sono divise. Un grande Patriarca del Novecento, Atenagora, diceva: “Chiese sorelle, popoli fratelli”. E, ovviamente, aggiungo io: “Chiese divise, popoli divisi”. Se la voce del Papa continua a levarsi per gridare pace, per implorare che si fermino le guerre – tutte le guerre – e per avvertire che siamo davvero sull’orlo della catastrofe, dobbiamo ascoltare e tornare al Vangelo perché ci racconta una vicenda attuale. Gesù ha superato le prove (le tentazioni) rifiutando di soggiacere alla logica del male per seguire la “forza debole” ma potente della parola, quella della pace. In seguito, fermò la mano del discepolo che con la spada voleva opporsi al suo arresto, accettando di morire ingiustamente. E da lì è partita la rivoluzione cristiana che ha cambiato per sempre il nostro mondo. Lo ha già fatto una volta, dobbiamo farlo ora, adesso, per sconfiggere questa nuova follia. E la guerra è sempre una follia, senza giustificazioni, senza futuro. Dobbiamo costruire il futuro, non distruggerlo sul nascere.