La giustizia non è vendetta: la rivoluzione si fa con il perdono

In queste settimane siamo stati capaci di altruismo e rispetto delle regole: tutelando noi stessi abbiamo tutelato anche gli altri. Una prova dura per tutti noi che ha smentito il più forte luogo comune che ci descrive come un popolo di egoisti e anarchici. Siamo stati capaci di compiere un passo avanti! Il problema è ora la capacità di imboccare strade nuove,  sicuramente difficili e piene di conseguenze civili positive. Vorrei fermare l’attenzione su una dimensione che richiede una riflessione e soprattutto una decisione più audace. Può  sembrare una domanda peregrina. In realtà è parte essenziale di un nuovo umanesimo da realizzare. Ed anche, di un cristianesimo davvero evangelico da vivere. Insomma, diventiamo capaci di perdonare?

Guardando alle “risse” che punteggiano la vita politica, pane quotidiano per i media che sulle «risse» aumentano (o credono di aumentare) gli indici di ascolto; guardando alle «risse» a volte tra le nostre Regioni; oppure alle “risse” europee tra Paesi “virtuosi” e altri no, per finire ai litigi in famiglia e magari anche nella vita quotidiana in strada (tra auto, scooter, pedoni, ciclisti…).

Ebbene possiamo immaginare una società avviata sulla strada del “perdono”, abbandonando quella tristissima consuetudine al conflitto permanente, alla vendetta illimitata?

Non è un tema (solo) religioso; è un tema politico e sociale di ampia portata. Insomma, di vero umanesimo. E per questo diventa anche economico: si risparmierebbe molto in quantità di tempo personale, di tempi della giustizia, se ci fosse maggiore capacità di dialogo, ascolto, “perdono”. Perché l’altro comunque è una persona fallibile. E a ben guardare me stesso, sono fallibile anch’io allo stesso modo.

Perdono e giustizia sono inestricabilmente collegati. Anzi rappresentano l’uno l’altra faccia della medaglia dell’altra. La giustizia è l’aspirazione di tutti noi, auspicando una società dove situazioni e persone vengano valutate in maniera equa ed imparziale. Questo è davvero un processo lungo: coinvolge le leggi – sempre migliorabili – e le istituzioni da queste scaturite – migliorabili sempre anche loro – e infine coinvolge le persone il cui compito è applicare e discernere.

È un tema attualissimo nell’Italia di oggi: ha a che fare con le risorse da investire per snellire i tempi dei processi e per fornire risposte rapide ai problemi del cittadino, migliorando la «qualità» della sua vita.

La giustizia in questo senso è un cantiere sempre aperto; non basta mai e tutti abbiamo il compito di fare qualcosa per includere tutti gli uomini e tutte le donne in un “grande disegno” di giustizia: uomini e donne di ogni età, ceto, condizione sociale, italiani o nati non in Italia. Per diventare cittadini a pieno titolo.