La dignità di vivere e di morire – confronto a Firenze sul libro di Monsignor Paglia

Firenze, 2 febbraio 2017 – C’è contrapposizione fra “buona morte” e “dolce morte”? E allora: dove comincia e dove finisce la dignità del vivere e del morire? Nella “babele dei significati”, nel tempo delle “postverità”, c’è la necessità di una grammatica. Pensiamo alla confusione che omologa in maniera impropria i termini di eutanasia, suicidio e martirio. Se è vero che “nomina sunt substanzia rerum”, “I nomi sono la sostanza delle cose”, è anche vero che per effetto delle semplificazioni, che sono un corollario pericoloso di modi ideologici, estremizzati, di affrontare questioni delicate, i termini finiscono per avere più significati. “Vi è certo dietro questa esasperazione – scriveva Enrico Chiavacci (1926-2003) nelle sue ‘Lezioni di bioetica’ – l’opera dei media che in primo luogo e come primario interesse debbono dar profitto. Una seria informazione scientifica viene assai spesso sopraffatta dalla necessità di creare sensazione: solo così il prodotto mediatico offre il massimo profitto…”. Di fronte alla “logica dell’immagine, dell’immediato, dell’emozione”, tanto più esaltata con l’offerta digitalizzata di questi anni, “un’igiene mentale ci occorre, che sappia coniugare la semplicità del Vangelo con la estrema complessità della realtà materiale e delle correnti di pensiero in cui siamo immersi”.

Sorella Morte. La dignità del vivere e del morire‘ di Vincenzo Paglia (ed. Piemme), presentato nella Sala Luca Giordano di Palazzo Medici Riccardi su iniziativa del sindaco di Firenze Dario Nardella, aiuta in modo circostanziato e mai offensivo una riflessione serena e decisa al tempo stesso sui temi del fine vita. “La confusione sul significato – spiega Paglia – viene rafforzata dalla forte ideologizzazione del dibattito che spesso è diretto a ottenere un facile consenso nell’opinione pubblica – a partire da casi limite – piuttosto che a sviscerare il contenuto e chiarire i confini del tema anche in vista di scelte legislative”. Le prime pagine del volume prendono spunto da un romanzo di Carl-Henning Wijkmark, sull’ “inutilità” degli anziani mentre stiamo diventando una società “a quattro generazioni”. C’è bisogno di più riflessione. Si tratta di non cedere alla tendenza alla contrapposizione, scegliendo piuttosto la sfida, o se vogliamo, meglio, il gusto della comprensione. E’ quello che è stato fatto nei giorni scorsi in Palazzo Medici Riccardi a partire dal libro di monsignor Paglia, arcivescovo, uno dei più autorevoli esponenti della Chiesa di Francesco, presidente della Pontificia accademia per la vita e gran cancelliere del Pontificio istituto Giovanni Paolo II, assistente spirituale della Comunità di Sant’Egidio. A confronto il sindaco di Firenze Dario Nardella con l’On. Luciano Violante, Ordinario di Istituzioni di Dirittto e Procedura Penale all’Università di Camerino e Presidente di Italiadecide, e Maurizio Faggioni, medico, professore di bioetica presso la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale e la Pontificia Università Antonianum di Roma. Presente l’autore.

All’inizio del confronto il cardinale Giuseppe Betori ha portato il suo saluto, sottolineando come entrano in gioco due questioni fondamentali: la persona umana in quanto tale, il suo valore insostituibile e unico, e il rapporto tra la persona e gli altri. Nel nostro cuore c’è un desiderio di vita e di felicità che aumenta quando si presenta la malattia. Come interloquire con questo desiderio? Nel libro di Paglia, ha osservato Dario Nardella, non c’è un approccio dogmatico, moralista, ma una riflessione condotta in modo molto laico. Si evidenziano da una parte l’impressionante ricorso all’eutanasia nel mondo e dall’altra una società completamente soggiogata dall’individualismo. L’individuo è tale se possiede. Nell’Occidente si verifica un paradosso: l’uomo è diventato assente in tutto ciò che lo riguarda.
La comunità si disgrega, l’essere umano è più solo, e questo porta alla paura della vita e quindi del fine vita: in una parola, la paura della morte, fino ad occultarla. Anche nel rapporto tra medico e paziente spesso non si incontra la volontà di accompagnare il paziente, quando piuttosto di affrettare la morte. Dunque si deve trovare un altro modello di società per evitare una deriva di solitudine che spesso porta a desiderare di morire e, non di rado, a far sì che siano i parenti del paziente, più del malato stesso, a desiderarlo. L’eutanasia è una cartina di tornasole di una società malata, diventa un modo per non affrontare la vita. Altro è rifiutare l’accanimento terapeutico, conseguire la proporzionalità delle cure rispetto alla malattia.

Luciano Violante ha ripreso le pagine di Wijkmark sugli anziani, nella cui fiction esperti a confronto convengono sul fatto che “la loro vita non è più necessaria”. Si induce alla soppressione facendola passare per un diritto. La tematica del fine vita è stata assorbita in una visione funzionale della vita, ma “non è che un uomo non è più tale se non riesce più a fare le cose”. Si vuole dire che un non autosufficiente non è più persona? Questa è “una visione meccanicistica che ci libera dai doveri di solidarietà”. Per Violante “non esistono diritti assoluti” e c’è un “eccesso giacobino” in rapporto alla volontà di legge su questi temi, nei quali, però “la legge non può servire a soddisfare le coscienze”.
Per Maurizio Faggioni “decodifichiamo i fatti della vita alla luce di orizzonti di senso. I paradossi della speranza trasfigurano la vita. Come guardiamo alle creature considerate marginali? La dignità degli altri è nel nostro sguardo”, dipende da esso, da questa condivisione di vita tra esseri umani. C’è una maturità del vivere comune che nasce e si sviluppa in un rapporto umano e solidale con chi sta male.

Michele Brancale (da La Nazione)

Su https://www.radioradicale.it/scheda/496981/presentazione-del-libro-di-vincenzo-paglia-sorella-morte-la-dignita-del-vivere-e-del l’audio integrale del confronto