La Bibbia: il grande codice

La Bibbia: il grande codice

Sono particolarmente lieto di prendere la parola in occasione della riapertura della Biblioteca comunale, un evento particolarmente significativo per questa nostra città. Varie volte in passato mi è capitato di sottolinearne l’importanza. Del resto, un futuro nuovo per Terni richiede l’impegno a moltiplicare centri di ricerca, di cultura e di dibattito. E la presenza dell’Università ne rende ancor più evidente l’urgenza. Se mi è permesso direi anzi che la riapertura della Biblioteca comunale è da intendersi come un primo passo in vista di ulteriori iniziative in questo senso. Per quanto concerne la Diocesi è ormai in via di attuazione un piano di ristrutturazione dell’ala accanto al Duomo perché divenga sede dei tre archivi storici diocesani di Terni, Narni e Amelia con il rafforzamento di una biblioteca di carattere religioso. Insomma, mi auguro che la riapertura della Biblioteca comunale sia di sprone per ulteriori iniziative di incontri, di conferenze e di dibattiti.



Permettete inoltre che esprima anche la mia personale soddisfazione ai responsabili dell’Assessorato e della Biblioteca per aver scelto, all’interno degli eventi di apertura, la riflessione sul tema: “La Bibbia, il grande codice”. Parlare della Bibbia, infatti, significa parlare di una biblioteca, come il termine stesso indica dal greco biblia (serie di libri). Ed in effetti, la Sacra Scrittura è una raccolta di libri di vari autori e di diversa natura; ci sono libri di carattere storico, di preghiera, di profezia, di sapienza spirituale, di edificazione, di legislazione. E’ vero che si tratta di una biblioteca particolare per l’antichità e la diffusione, ma soprattutto per il valore che ancora rappresenta per più di un miliardo di credenti. Anche se la Bibbia non è un libro che appartiene solo ai cristiani o, per quanto concerne l’Antico Testamento, agli ebrei. In verità, essa ha un valore universale, come cercherò di mostrare almeno in suo aspetto.


 


Con piacere inoltre ho accolto l’invito perché, proprio in questo anno, la nostra Diocesi ha avviato una attenta riflessione sulla Bibbia e la sua centralità nella vita della Chiesa. Vi è noto quanto io stesso sia impegnato in tal senso, visto che ogni anno mi sono obbligato a commentare un libro della Bibbia per consegnarlo a ciascun abitante della Diocesi. Lo ritengo uno dei miei primi doveri di vescovo. E penso di inserirmi nella lunga schiera dei bibliotecari o, se volete, dei bibliofili e in senso ancor più diretto di amanti della Bibbia. Ne sono profondamente convinto. Se la Bibbia non è frequentata ogni giorno, muore e con lei anche noi. E’ quanto accadrebbe anche a questa Biblioteca: se non venisse frequentata ogni giorni morirebbe lei e anche noi.


 


C’è bisogno della Bibbia, oggi?  



Vorrei aprire questa mia riflessione con un’affermazione e alcuni interrogativi. L’affermazione è la seguente: la Bibbia è uno dei libri meno convincenti che mai siano stati scritti; almeno finché il lettore non l’abbia accettata in modo del tutto speciale. E per di più è un libro difficile da accettare. E gli interrogativi, come l’altra faccia della medaglia, sono i seguenti: c’è ancora spazio per la Bibbia nella società post-moderna? La Bibbia non è un libro relegato nei secoli passati? E non è vana la sua pretesa di parlare ancora oggi come se fosse un testo contemporaneo nonostante tutti i suoi arcaismi? E, soprattutto, non è un testo inutile per l’uomo contemporaneo divenuto adulto ed emancipato? E’ ormai terminato quel regime di cristianità che racchiudeva tutti in un unico orizzonte e che vedeva nella Bibbia il libro di riferimento, non solo della religione, ma anche della cultura, dell’arte, della scienza, della letteratura, della poesia. Tutti avevano nella Bibbia una fonte di ispirazione.  Oggi non è più così, e sin dall’inizio dell’epoca moderna. Penso a Galileo e al metodo scientifico sperimentale. Come tutti ricordate lo scontro avvenne proprio sul campo dell’interpretazione della Bibbia. Restò famosa, a tale proposito, la sentenza che Galileo disse a sua difesa: “La Bibbia insegna ad andare in cielo, non come è fatto il cielo”. E aveva ragione. Ma la cultura maggioritaria, soggetta ad una interpretazione fissa della Bibbia, non comprese il nuovo itinerario della scienza. Non è questa la sede per delineare i passaggi storici che hanno poi portato a una sorta di divorzio tra fede e scienza, tra filosofia e teologia, tra religione e morale. Oggi l’uomo, sganciato dal senso religioso dell’esistenza, è solo con se stesso, senza punti di riferimento stabili. Sartre direbbe che l’uomo è solo con la sua libertà. Di qui l’angoscia. Ebbene, che senso ha la Bibbia in un contesto di emancipazione totale e di angoscia? A mio avviso, proprio in questo panorama a cielo aperto, la Bibbia è ancora più necessaria. E lo è perché, a differenza di altri libri, mentre la interroghiamo essa ci interroga. Mentre chiediamo “che libro è questo?” subito dobbiamo domandarci “chi ne è il lettore?”. Il grande teologo protestante Karl Barth diceva: “La domanda che poniamo diventa la domanda posta a noi e, nel rispondere, siamo gettati in una posizione stranamente imbarazzante tra il sì e il no”. E questo perché ogni lettura seria della Bibbia implica un coinvolgimento personale, non una semplice adesione mentale. La Bibbia solleva la questione della nostra identità: chi siamo? Ecco perché paragonerei la Bibbia alla stella che guidò i magi venuti dall’Oriente. Essa resta ancora oggi un punto di riferimento, appunto, un grande codice sia per i credenti che per i non credenti.


E lo è non solo perché quantitativamente i numeri sembrano dare ragione. Basti dire che negli ultimi due secoli, e precisamente dal 1815 al 1975 sono state distribuite più di 2 miliardi e mezzo di Bibbie (nel 1998 poco meno di 21 milioni), ed è stata tradotta – almeno in qualche sua parte – in 2.212 delle 6.500 lingue del pianeta. Ma è una stella soprattutto perché continua a sostenere uomini e donne di culture diverse che hanno fatto di questo libro la fonte della loro vita. Vorrei raccontare a tale proposito un significativo episodio. Evariste Kagorora, un giovane tutsi del Ruanda, nei primi giorni di aprile del 1994, esattamente dieci anni fa, dopo l’inizio del drammatico genocidio, si rifugia nella chiesa della “Sainte Famille” di Kigali pensando sia un luogo sicuro. Dopo tre giorni la chiesa venne circondata. Uomini armati hutu entrano e obbligano  gli uomini a uscire fuori (solo gli uomini, perché secondo la tradizione ruandese l’etnia si comunica per via maschile). Evariste è con loro. Sa cosa lo aspetta. Ha con sé solo la Bibbia. Mentre sta uscendo vede la sorella, gli consegna la Bibbia e le dice: “Mi uccideranno, prendi questa Bibbia, è la cosa più preziosa che ho: è la mia stessa vita”. Giunto sulla soglia della chiesa Evariste viene ucciso. Quella Bibbia è ora nella Basilica di San Bartolomeo a Roma, divenuta la Chiesa dei “nuovi martiri”. E’ solo un episodio tra i tanti che potrei raccontare. Esso mostra la forza che ancora oggi promana da questo libro. 

La Bibbia cristiana


Nelle riflessioni che seguono mi riferisco alla Bibbia cristiana che, come sapete, comprende sia l’Antico che il Nuovo Testamento. Oggi c’è chi, tralasciando  la dizione Vecchio Testamento, preferisce parlare di Primo Testamento, in modo da sottolineare che Dio non ha rinnegato la “Prima Alleanza” conclusa con il popolo d’Israele (in verità, varie sono state le alleanze che Dio ha realizzato prima di Gesù; ricordiamo, ad esempio, l’alleanza fatta con Adamo e poi con Noè, ambedue non ebrei). Comunque la prima comunità cristiana ha accolto interamente le Scritture ebraiche, anzi erano i soli libri che inizialmente esse avevano. La Bibbia ebraica comprendeva tre grandi blocchi: la Legge, i Profeti e gli altri Scritti. E quando, nel Nuovo Testamento, si afferma che tutto ciò che è accaduto a Gesù è avvenuto “secondo le Scritture”, si intendevano i libri santi ebraici. Il Nuovo Testamento non ha quindi cancellato il “Primo”; e “Nuovo” è da intendere nel senso di “ultimo”, di “definitivo”. “Dio – scrive la Lettera agli Ebrei – che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio”(Eb 1, 1-2). L’umanità, pertanto, non deve attendere nessun’altra rivelazione divina. Con il Nuovo Testamento sono terminate le rivelazioni di Dio, ossia le “ultime e più alte parole” che il Signore ha rivolto agli uomini. La Bibbia è compiuta. Non ci sarà più nessuna aggiunta. E compito della Chiesa è leggere la Bibbia e approfondirne il senso di generazione in generazione.

Il Nuovo Testamento è composto di ventisette libri: i primi quattro sono i Vangeli, che rappresentano il culmine della rivelazione, cui seguono gli Atti degli Apostoli, le Lettere di Paolo, di Pietro, di Giacomo, di Giovanni e l’Apocalisse. Sono stati tutti scritti nella seconda metà del primo secolo dopo Cristo, quindi qualche centinaio di anni dopo i libri del Vecchio Testamento. Quest’ultimo comprende quarantacinque libri, dalla Genesi, all’Esodo, ai Salmi e ai libri storici, sapienziali e profetici. L’intera Bibbia cristiana perciò, Vecchio e Nuovo Testamento, è composta di 72 libri. Ma c’è subito una precisazione da fare. La serie di questi libri, diversi tra loro per autore e per genere letterario, sono però considerati dai cristiani come un testo unitario, come un unico libro. E la ragione è semplice: perché unico è l’autore principale e unico è il tema. Prendo le parole per riassumere brevemente questa affermazione dalla Costituzione conciliare Dei Verbum sulla Sacra Scrittura. Scrive il Vaticano II: “Le realtà divinamente rivelate, che sono contenute ed espresse nei libri della Sacra Scrittura, furono scritte per ispirazione dello Spirito Santo. Infatti la santa madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia del Vecchio che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché scritti per ispirazione dello Spirito Santo (cfr. Gv 20,31; 2 Tm 3,16); hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa. Per la composizione dei libri sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità,  affinché, agendo egli in essi e per loro mezzo, scrivessero come veri autori, tutte e soltanto quelle cose che egli voleva fossero scritte”(11).

Ciò significa che l’intera Bibbia è stata scritta contemporaneamente da Dio e dall’uomo. E’ stata scritta da Dio perché la sostanza delle sue pagine viene dall’alto e sgorga dal cuore stesso di Dio. E’ stata scritta dagli uomini perché Dio ha scelto gli agiografi, se ne è servito, ha agito in essi e attraverso di essi per scrivere i testi. L’azione ispiratrice di Dio accompagna dunque tutto il processo di composizione del libro rispettando però la cultura e lo stile di ogni singolo scrittore. Due estremi sono perciò da evitare: da una parte dire che Dio ha dettato il testo e l’uomo l’avrebbe trascritto, dall’altra che l’uomo ha pensato e scritto e Dio si è limitato ad approvare. Non entro nella complessa questione dell’ispirazione e della redazione dei testi sacri. Però accenno alla differenza tra la concezione cristiana e quella musulmana circa l’ispirazione. Per l’Islam Dio ha dettato direttamente in arabo a Maometto il Corano; e questo spiega perché è intoccabile. E l’Islam si può dire a senso pieno religione del “Libro”. Non è così per il cristianesimo. Per noi la Bibbia non è stata dettata da Dio. E a rigore di termini non “è” la Parola di Dio; piuttosto la contiene e la manifesta. Questo rende possibile, ad esempio, l’applicazione del metodo storico critico ai testi biblici così come si applica per i testi comuni. Questo però non sminuisce il valore teologico della Sacra Scrittura. Quel che si dice di Gesù, ossia che è vero uomo e vero Dio, si può dire analogamente per la Bibbia: è pienamente di Do e pienamente dell’uomo.


Dicevo che la Bibbia, pur essendo composta da molti libri, è un libro solo perché ha un solo “vero” autore, lo Spirito Santo. Ed ha anche un tema unico: la storia dell’amore di Dio per gli uomini. Questo è il cuore della Bibbia: Dio che va in cerca dell’uomo. Nello stesso tempo però le pagine della Scrittura mostrano anche la storia dell’uomo che cerca il Signore. La Sacra Scrittura è perciò il crocevia di queste due ricerche, di questi due movimenti: quello di Dio che scende e quello dell’uomo che cerca di salire. E questo duplice movimento è ciò che rende la Bibbia un testo assolutamente unico. Ed è su questo che vorrei fermare un poco l’attenzione.


 


La Bibbia, lettera di Dio agli uomini


 


La Bibbia mostra anzitutto Dio che viene in cerca dell’uomo. Il prologo del Vangelo di Giovanni è la chiave per interpretare l’intero movimento della Bibbia. Scrive l’apostolo: “In principio era il Verbo (la Parola)…e il verbo (la Parola) si è fatta carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Se la Bibbia mostra la ricerca dell’uomo da parte di Dio, non è solo un libro da leggere e da consultare come si fa con qualsiasi altro testo. E neppure è il  libro ove trovare il significato scientifico dell’esistenza del mondo.  E neppure é un testo di morale, magari il più alto. E neppure spiega l’essenza filosofica Dio. Nella Bibbia si trovano elementi di tutto ciò, ma essa è molto di più, e comunque è molto di diverso da questo. La Bibbia, come sapientemente dicevano i Padri della Chiesa, è la “Lettera di Dio agli uomini”. In essa, infatti, ci viene rivelato, mostrato, spiegato il mistero dell’amore di Dio. La Bibbia è come una finestra aperta sull’amore di Dio, sul pensiero di Dio, sull’agire di Dio. Non ne parla però in una forma intellettualistica o teorica, come in una specie di Trattato sull’amore. Le pagine bibliche ci mostrano come l’amore di Dio si è rivelato lungo la storia. E se viene letta come un libro di esegesi o di morale non se ne percepisce l’efficacia. Chiunque vuole aprire correttamente la Bibbia – non importa se pensa che contenga o no la “Parola di Dio” – deve mettersi dalla parte degli autori, o meglio dell’Autore, deve avere cioè la convinzione che quelle parole manifestano il pensiero di una Persona (il Signore) che chiede un coinvolgimento personale. La Scrittura quindi non è volta semplicemente alla conoscenza ma all’incontro con Dio. E segue tutte le leggi dell’incontro.


Padre Men, una bella figura di prete ortodosso russo, di origine ebraica, ultima vittima del KGB in URSS nel 1990, affermava: “Solo uomini limitati possono immaginarsi che il cristianesimo si è compiuto, che si è completamente costituito, al quarto secolo secondo gli uni, al dodicesimo secolo secondo altri o in altri momenti secondo altri ancora. In realtà, il cristianesimo non ha fatto che i suoi primi passi, passi timidi nella storia del genere umano. Molte parole di Cristo non sono ancora comprensibili… La storia del cristianesimo non fa che cominciare. Tutto quanto è stato fatto nel passato, tutto quello che ora chiamiamo la storia del cristianesimo, non è che l’insieme dei tentativi – alcuni mancati, altri malriusciti – di realizzarlo”. Padre Men metteva in luce che c’è ancora tanto da scoprire della Bibbia. “La storia del cristianesimo non fa che cominciare”, ossia ogni generazione cristiana deve ascoltare e vivere la Parola di Dio per comunicarla al proprio tempo. Il cristianesimo non si presenta vecchio, ma continuamente risorge nei passaggi profondi della storia umana con il rinnovato ascolto della Bibbia. Il passaggio che stiamo vivendo all’inizio di questo nuovo millennio è di quelli che scavano nel profondo della vicenda umana e che richiedono un nuovo incontro con la Parola di Dio e una nuova semina del Vangelo.


 


La Bibbia, un libro di sapienza religiosa e umana


 


La Bibbia è un testo di incredibile sapienza religiosa e umana. Essa non tocca solo la mente, giunge al cuore. Anzi, ridona il “cuore” a chi l’ascolta, il senso della vita ha chi non lo trova, la luce a chi è nel buio, l’amore a chi è freddo, la via a chi è smarrito. Tutta l’esistenza umana, infatti, la vita, la morte, l’amicizia, la fraternità, la solidarietà, il dolore, la solitudine, la malattia, l’amore, la famiglia, il lavoro, i segreti del cuore, i grandi fenomeni umani, la fame, la guerra, l’ingiustizia, tutto viene illuminato dalla Santa Scrittura con una luce nuova. E non è così difficile che solo alcuni possono leggerla. Semmai, può essere difficile accoglierla e accettarla: appena si apre, infatti, interroga e inquieta perché chiede una risposta. E’ un libro per tutti, ma non è come gli altri libi. Può accadere che venga rifiutato o che sia messo da parte, oppure relegato in un angolo, magari ritenendolo un libro “sacro” per i credenti; è il loro libro – si dice – non il mio. Ed è anche vero. Tuttavia, la Bibbia non perde l’ambizione di essere una parola rivolta ad ogni uomo e ad ogni donna. La Bibbia non è un libro per specialisti, per preti o per religiosi. E’ un dono per tutti. Non è solo per i credenti; non è solo per l’Occidente. E’ per gli uomini e per le donne di ogni tempo e di ogni condizione, di ogni cultura e di ogni razza, di ogni lingua e di ogni civiltà. La Bibbia, anche se piena di sensi e di immagini del mondo semita (il mondo in cui è stata scritta), scende nelle profondità stesse dell’uomo, là dove c’è il cuore, ove tutte le differenze si ritrovano come in unità.


La Bibbia é un libro che mette al centro Dio come padre di tutti i popoli, che tutti vuole aiutare e salvare. Ogni sua pagina è traversata da una tensione morale che coinvolge chiunque si accosta con cuore sincero. Dalla Bibbia emerge quel primato della persona umana che continua a irrorare non poche culture contemporanee e che sta alla base della radicale uguaglianza di tutti gli uomini, dell’incancellabile dignità di ogni persona, della fondamentale unità della famiglia umana e della insopprimibile universalità della salvezza. La Bibbia scardina ogni muro, ogni etnia, ogni gruppo, ogni consorteria, ogni congrega, ogni volontà di potenza.


La Bibbia aiuta a comprendere la proprie radici e nello stesso tempo impegna al dialogo con l’Altro. Queste considerazioni hanno spinto alcuni – anche del mondo laico – a suggerire che venga studiata in tutte le scuole come testo che ha sostenuto in passato la nostra storia e che può ispirare anche il nostro futuro. Il cardinale Martini, anche da studioso del testo biblico oltre che da credente, qualche tempo fa affermava: “Tutta la Scrittura è pervasa da un clima di dialogo, perché racconta la storia del Popolo di Dio che è entrato via via in contatto con nuove culture e correnti di pensiero e in parte le ha assorbite, in parte ha operato su di esse un discernimento illuminante”. La Bibbia rende saggio chi la legge, anche chi cristiano non è e forse mai lo diventerà. L’arcivescovo di Algeri, Mons. Henry Tessier, mi raccontava questo significativo episodio. Ad un cristiano fu permesso di tenere tre trasmissioni sul Vangelo alla radio pubblica di Algeri. Il capo tecnico che curava la trasmissione, al termine della terza puntata, si avvicinò al predicatore e gli disse: “Ho ascoltato quello che lei ha detto sul Vangelo in queste trasmissioni radiofoniche. Sono entrato in questa sala (la sala di registrazione) che ero musulmano; ne esco che sono ancora musulmano; ma sono un uomo diverso”. Anche per chi non è cristiano la Bibbia resta un libro di grande sapienza spirituale che può cambiare il cuore. Ed in effetti la Bibbia manifesta una ricerca appassionata, esaltante ed anche drammatica da parte degli uomini per incontrare Dio. Nella Sacra Scrittura tutte le pagine sono un grande e pressante invito ad uscire da se stessi per immergersi in una prospettiva nuova. Ce lo insegna Abramo, chiamato a uscire dalla sua terra; ce lo insegna Giacobbe che di notte lottò con Dio, e poi Mosè che fece uscire il popolo d’Israele dall’Egitto. Ce lo insegnano i profeti che richiamavano alla conversione del cuore e Giobbe che nella disperazione della malattia non si allontanò da Dio. E l’intero Nuovo Testamento che allarga i cuori sino agli estremi confini. Tutta la Bibbia esprime questa ricerca esaltante, drammatica, affascinante e terribile di Dio da parte dell’uomo. Una ricerca impossibile e tuttavia irreprimibile. Dio disse a Mosè: “Nessun uomo può vedermi e restare vivo”(Es 33,20). La Bibbia non ci fa vedere Dio sì da morirne; ce lo fa ascoltare sì da viverne.


Sant’Efrem Siro, un antico padre della Chiesa, non esita a paragonare la Bibbia ad una fontana. Ognuno, dice sant’Efrem, può recarvisi per attingere acqua e la fontana continuerà a zampillare senza esaurirsi mai; e quel che resta nella fonte è sempre molto di più di quel che ciascuno riesce a portare via. E continua: “Il Signore ha nascosto nella sua Parola tutti i tesori, perché ciascuno di noi trovi una ricchezza in ciò che contempla… Colui al quale tocca una di queste ricchezze non creda che non vi sia altro nella parola di Dio oltre ciò che egli ha trovato. Si renda conto piuttosto che egli non è stato capace di scoprirvi se non una sola cosa tra le molte altre. Dopo essersi arricchito della Parola, non creda che questa venga da ciò impoverita; incapace di esaurirne la ricchezza renda grazie per l’immensità di essa. Rallegrati perché sei stato saziato, ma non rattristarti per il fatto che la ricchezza della Parola ti supera”.  E in uno dei suoi discorsi sul paradiso termina con questa preghiera: “Nel libro sacro, in compagnia della verità, o Signore, la carità e la scienza elevano lo spirito in alto e gli dischiudono una luce sempre più splendente e lo avvezzano a contemplare le cose arcane. Io desideravo vedere il paradiso. Lo vidi: è il porto preparato al termine della mia navigazione. O grande Iddio che me l’hai fatto conoscere, te ne prego, non negarmene l’entrata”.