Intervento all’incontro Uomini e Religioni di Lione

Umanesimo laico e umanesimo religioso


Umanesimo laico e umanesimo religioso


 


Non è mai mancato nei nostri incontri un momento di confronto più specifico tra laici e credenti. La differenza non ci spaventa e non viviamo nell’ossessione di eliminarla. Certo cerchiamo di sottolineare quel che ci unisce, ma non in modo ingenuo e acritico. Siamo comunque convinti che dobbiamo evitare le due sponde estreme, ossia il relativismo e il fondamentalismo, sia della fede che della ragione o, se si vuole, sia del credente che del non credente. Sono come due patologie che attecchiscono nella misura in cui non si tiene stretto il rapporto tra le due dimensioni.


Faccio anzitutto una premessa. La fede senza la ragione rischia di dissolversi o di diventare disumana. E la ragione senza la sponda della fede, o del mistero, scivola verso un relativismo dogmatico. In tale contesto potremmo dire che anche la fede deve essere “laica”, ossia legata anche alla ragione, sebbene non sia da essa definita. La fede infatti è da intendere non semplicemente come l’adesione ad alcune verità astratte, ma l’essere coinvolti totalmente da una chiamata che viene da fuori e che tocca profondamente il cuore del credente. Se stessimo in Italia, riprendendo la nota affermazione di Benedetto Croce, potrei dire anche del cristiani “perché non possiamo dirci laici”. Ma in che senso? Il laico non è colui che rifiuta o deride il sacro, semmai è colui che lo discute, che lo interroga, che si mette di fronte al senso del mistero che anche il sacro porta con sé. Ma è laico anche il credente che non è superstizioso, che non è fanatico, che non è arrogante, che non è chiuso alla ricerca di una verità sempre più chiara e piena. E’ laico altresì ogni non credente che non assolutizza e non idolatra il proprio relativo punto di vista e la propria ricerca. Insomma, il laico non credente sa riconoscere la profonda analogia che lo lega alla domanda del credente e alla sua continua ricerca del vero e del bene. Su ambedue, sia sul laico che sul credente, incombe la soglia del mistero. Il mistero chiede ad ambedue l’umiltà di riconoscere il proprio limite e quindi di aprirsi all’Altro. La laicità, in tale contesto, non è una ideologia che sta al di sopra e che tutto governa; la laicità è piuttosto una sensibilità profonda che tocca il modo stesso di vivere e di sentire. Essa non si identifica con nessun credo preciso, con alcuna filosofia, è una attitudine critica ad articolare il proprio credo filosofico o religioso secondo regole e principi logici che non possono essere condizionati da nessuna fede, perché in tal caso si cadrebbe in un torbido pasticcio, sempre oscurantista. Laicità significa quindi tolleranza, demistificazione di tutti gli idoli, anche dei propri. Laicità è capacità di credere fortemente in alcuni valori, sapendo che ne esistono altri, pure essi rispettabili. In questo senso la laicità è utile sia alla fede che alla ragione, ad ambedue infatti impedisce di cadere in un pericoloso estremismo.


Fatta questa premessa, entro un po’ più direttamente nel tema della tavola rotonda: umanesimo religioso e umanesimo laico. Inizio con una affermazione sintetica: il cristianesimo è un umanesimo. Lo suggeriva già Teofilo di Antiochia, un vescovo del II secolo. In quell’epoca i cristiani erano una esigua minoranza all’interno dell’Impero, e spesso anche perseguitati perché ritenuti atei. E i pagani, i credenti di allora, interrogavano i cristiani a proposito del loro Dio. Ebbene Teofilo, in un suo scritto, rispondeva più o meno con queste parole alla loro domanda. “Voi mi chiedete: Mostraci il tuo Dio! Non è questa la domanda che dovete rivolgermi. La domanda giusta è la seguente: Mostraci l’uomo. E così sarò in grado di dirvi chi è il mio Dio”. Teofilo non poteva parlare di Dio se non a partire dall’uomo. Egli aveva capito bene che nel cristianesimo l’immagine dell’uomo rivela quella di Dio.


Questa affermazione oggi si inserisce nel nuovo orizzonte che mette alla prova l’intero umanesimo, anche cristiano. Non dobbiamo dimenticare che per la prima nella storia umana ci troviamo di fronte alla possibilità che l’uomo, con l’arma nucleare può autodistruggersi totalmente. E per la prima volta nella storia l’uomo può superare la soglia della creaturalità per divenire creatore. Insomma, oggi viene messo in gioco radicalmente l’umanesimo. Le tre rivoluzioni contemporanee, quella biotecnologica, informatica ed ecologica, interpellano laici e credenti in maniera nuova e assolutamente inedita. Esse, tra l’altro, in qualche modo fanno già sistema tra loro. Ma se non sono governate, se non sono cioè guidate con saldi principi morali, portano alla distruzione dell’umanità stessa dell’uomo. La letteratura in materia è ormai abbondante. Basti pensare ad autori come Jurgen Habermas che scrive, I rischi di una genetica liberale; a Paul Virilio il quale, dopo aver pubblicato La bomba informatica, si scaglia contro il fondamentalismo tecnoscientifico, L’incidente del futuro. Tutti conosciamo Jeremy Rifkin lo studioso che si occupa dell’innovazione scientifica e tecnologica, il quale nel volume Il secolo biotech avverte: “La rivoluzione della biotecnologia ci obbligherà a riconsiderare molto attentamente i nostri valori più profondi e ci costringerà a porci di nuovo seriamente la domanda fondamentale sul significato e sullo scopo dell’esistenza…Tutti gli aspetti della nostra realtà individuale e di quella parte della vita che dividiamo con gli altri saranno toccati e seriamente modificati nel secolo della biotecnologia”.


Queste sfide d’inizio millennio coinvolgono sempre più le dimensioni della libertà, dei diritti dell’uomo, della coscienza, insomma riguardano la centralità stessa dell’uomo. E’ una singolare parabola del pensiero moderno che ha preteso di cacciare Dio per esaltare l’uomo. Il grande teologo De Lubac, accennando a questo processo, scriveva Il dramma dell’umanesimo ateo. Un umanesimo senza Dio avrebbe portato all’eliminazione stessa dell’uomo. Salvatore Natoli, un filosofo italiano, non credente, critica l’ateismo che potremmo chiamare fondamentalista. In un piccolo scritto dal titolo Il cristianesimo di un non credente scrive: “L’uomo moderno ha cercato di conquistare l’infinito in termini positivi, ha perseguito la propria autoaffermazione contro Dio per prenderne il posto. Per l’uomo moderno il farsi Dio (da parte dell’uomo) ha coinciso con lo sforzo di espandere la propria potenza fino a pervenire a un assoluto delirio di onnipotenza”. L’esito di questa esaltazione da onnipotenza – continua Natoli – porta l’uomo “ad aspettative che non può soddisfare e l’accresciuta potenza non lo scioglie affatto dalla sua costitutiva finitezza, ma gliela rende solo insopportabile. Nel tentativo di ‘prendere il posto di Dio’, l’uomo si scopre un Dio mancato. La modernità, specie nei suoi esiti estremi, si è tormentata da una tracotante negazione di Dio e un bisogno di salvezza senza Dio. Ma gli uomini moderni non riescono più a credere. Non resta loro che la disperazione. E, allora, sono ‘orfani di Dio’. L’esito non poteva essere più fallimentare”. Così Natoli che mostra l’esito della parabola dell’uomo moderno tra onnipotenza e nichilismo con la scienza unica regina.


Già Martin Heidegger metteva in guardia dal pericolo dalla dittatura della scienza e della tecnica. Di qui il suo grido: “Ormai solo un Dio ci può salvare!”. Non si riferiva al Dio della fede, ma ad un oltre, potremmo dire al mistero. Comprendeva infatti che affidare il destino dell’uomo alla ragione scientifico-tecnologica e quindi alla calcolabilità, alla misurabilità e in definitiva alla manipolabilità, significava ridurre l’uomo a un oggetto. Ed è il processo messo in atto in questo tempo. Jean-Claude Guillebaud, in un libro coraggioso, Le principe d’humanité, denuncia che da una ventina d’anni a questa parte si sta distruggendo a poco a poco quell’idea di uomo acquisita da secoli e che faceva dire a Kant che l’uomo non può mai essere un mezzo, ma solo e sempre un fine (lo diceva nel 1785 all’inizio della industrializzazione che condannava uomini, donne e bambini ad essere strumenti di lavoro). A ragione ha potuto scrivere Shamuel Trigano che Le monothéisme est un humanisme (2000).


Credenti e laici sono accomunati da questa convinzione: la vittoria del fondamentalismo scientifico porta al naufragio dell’uomo. Norberto Bobbio, poco tempo prima di morire, affermava che lo scontro nel futuro sarebbe avvenuto tra fede e scienza e non tra fede e ragione. “La Scienza, è la sola religione dell’avvenire” scrive Francois Raspail. E’ in questo orizzonte che abitano i grandi contrasti dei giorni nostri. Ma il problema più che la scienza in se stessa, che di per sé è neutra, è negli uomini che dispongono del potere scientifico, i quali possono manipolare gli esseri umani sino a renderli oggetti e strumenti nelle loro mani. Rifkin giunge a dire, riferendosi alla ingegneria genetica, che “colui che controllerà i geni controllerà il XXI secolo”. Anche qui le riflessioni potrebbero continuare a lungo; dovrebbe però metterci sull’avviso il fatto che i primi esperimenti genetici sull’uomo siano iniziati nei campi di sterminio nazisti, quando uomini e donne erano divenuti appunto materiale di sperimentazione. Il problema, come si vede, va diretto verso la concezione stessa dell’uomo e della intangibile dignità della persona umana, anzi del senso stesso della vita e della morte.


Questi brevissimi cenni fanno comprendere quanto siano delicate le sfide che ci sono poste dalle nuove frontiere di una scienza sganciata da un orizzonte etico e religioso. La fede e la ragione sono chiamate a mostrare tutta la ricchezza della loro riflessione sull’uomo e sulla sua dignità. In questo senso sono chiamate ad un nuovo patto appunto per la difesa dell’uomo, per avere un umanesimo che sia di pace, di solidarietà, di giustizia. E a mio avviso, in particolare il cristianesimo europeo e l’umanesimo laico, sono chiamati ambedue ad incontrarsi per aiutare anche le altre culture, le altre civiltà e le altre religioni a trovare quelle basi etiche comuni che permettono a tutti di vivere nella pluralità, senza l’egemonia dell’uno o dell’altro. Ma questo non deve significare affatto relativismo, ossia abbandono dei propri valori assoluti. Al contrario è necessario un impegno ampio perché i rispettivi trovino una giusta scomponibilità. Il futuro non è nell’egemonia dell’uno o dell’altro, ma nella capacità di comporre i propri valori perché sia possibile una convivenza tra diversi. Un nuovo incontro tra cristianesimo europeo e umanesimo laico rende più facilmente possibile questa via, non solo nell’Europa ma anche nel mondo.

Lione: il coraggio di un umanesimo di Pace