Immaginare la teologia

Saluto di cuore tutti voi che partecipate a questo seminario di studio sulla teologia e il suo compito nella Chiesa e nella società di oggi e di domani. Siamo quasi tutti collegati e l’orario scelto, ci permette di allargare i partecipanti sia a Oriente che a Occidente. La riflessione e l’ascolto deve oggi essere largo. Ringrazio i tre relatori: Pierangelo Sequeri, Theobald e Salmann, assieme alla coordinatrice Lucia Vantini e a Cesare Pagazzi per la disponibilità della Cattedra Gaudium et Spes del Pontificio Istituto Teologico ospita che ha organizzato questo evento. E siamo lieti di farlo nell’imminenza del quarantesimo anniversario della sua fondazione avvenuta il 13 maggio del 1981 per iniziativa di San Giovanni Paolo II. Quel giorno, purtroppo, l’attentato avvenuto in piazza San Pietro ne impedì l’annuncio pubblico, ma l’Istituto è cresciuto sia nella sede centrale che in quelle nel mondo. L’Istituto vive oggi una nuova stagione, di cui questo colloquio è un frutto che ne evidenzia la prospettiva. Del resto siamo ben consapevoli – come continua a ripetere Francesco – che siamo nel mezzo di un cambiamento d’epoca e non semplicemente in un’epoca di cambiamento.

Per la prima volta nella storia l’uomo ha la capacità di distruggere l’intero pianeta, l’umanità e sé stesso. Può farlo con la guerra nucleare, con la distruzione dell’ambiente ed ultimamente, con le nuove tecnologie emergenti e convergenti, che possono scardinare l’umano stesso. Il Covid-19 – che ci ha messo tutti e tutti in ginochhio – mentre eravamo nel pieno dell’euforia tecnologica – ha come riassunto in unità questa terribile sfida che ha il sapore appunto di una deflagrazione totale. C’è chi parla di “catastrofe intelligente”, chi di “apocalisse climatica”, chi di “ultima generazione organica”, parlando dell’umano. La letteratura continua a suscitare allarmi. Non mi dilungo su questo.

Più volte mi è tornata in mente in questo tempo la nota frase di Ignazio di Antiochia (c. 35-107), convertito da san Giovanni Evangelista e secondo successore di san Pietro alla guida della Chiesa antiochena, rispetto ai tempi difficili per il cristianesimo: «Non è opera di persuasione ma di grandezza». Non è vero anche per la teologia? Opera di grandezza, più che di convincimento.

L’impetuosa avanzata di un individualismo radicale, insieme con la perdita di affezione per l’umanità condivisa, ha aperto un varco pericoloso per l’affinamento della qualità etica e affettiva, comunitaria e spirituale dell’umanesimo. Questo degrado ha colto di sorpresa gli stessi eredi della modernità, che avevano immaginato il congedo dalla testimonianza religiosa della trascendenza come un fattore decisivo di promozione dell’umanesimo civile. Papa Francesco, per parte sua, con le due encicliche, Laudato sì e Fratelli tutti, ha offerto un orizzonte nel quale iscrivere il futuro che ci aspetta e che la pandemia ha reso ancor più drammatico. Alle Chiese, alle comunità cristiane e alla teologia spetta svolgere i loro compiti. Il cristianesimo europeo, ad esempio, non rischia di aver perso la sua spinta propulsiva nel nostro continente? Si intuisce il perché della presenza in questo dibattito di tre teologi europei. Li ascoltiamo volentieri. Nonostante tutto, il patrimonio di fede che abbiamo ricevuto rappresenta il seme per il quale, sempre di nuovo, viene seminato nel mondo l’avvento del regno di Dio, che coinvolge l’intera storia dell’uomo. La responsabilità di discernere il tempo che il Signore ci dona, mettendo mano con entusiasmo all’aratro che deve tracciare il solco per la semina, è la ragione stessa della nostra esistenza. Dobbiamo farlo senza volgerci indietro, come dice il Signore: il fondamento della nostra speranza non è il nostro passato, ma il futuro di Dio. E direi che Papa Francesco, in questo, ci sta davanti. Il nostro compito è imparare a fare bene il nostro lavoro, non il suo. Il Signore assicura lo Spirito necessario: per il pensiero e per l’azione corrispondente.

Il JP2 e la Pav, due istituzioni della Santa Sede che ho l’onore di servire, che sono anzitutto laboratori di pensiero, oltre allo svolgimento responsabile e creativo delle mansioni di loro competenza, due accademie di pensiero, hanno avvertito l’esigenza di coinvolgere alcuni ricercatori nell’ambito della teologia, nell’allestimento di un percorso mirato e concreto sul futuro del pensiero cristiano in ordine alla comunicazione della fede e alla forma della teologia nel quadro della forma ecclesiale, umana e civile che, dopo la pandemia, dovrà congedarsi da alcuni cliché di un’epoca cristiana che tramonta e del nuovo kairos della condizione umana che si annuncia.

Questo nostro incontro è come l’evento inaugurale di questo processo, il suo “preludio” simbolico. Il percorso che seguirà – e che avrà come indirizzo di apertura un appello dal titolo “Salvare insieme la fraternità. Un appello per la fede e il pensiero”, di prossima pubblicazione – vedrà una successione di eventi che avranno lo scopo di attivare una “polifonia” di contrappunti e di sviluppi di questa duplice domanda. La nostra teologia potrà avere un futuro degno della sua tradizione? E reciprocamente: il futuro che abiteremo potrà avere una teologia all’altezza del suo kairos? L’interrogativo è rivolto a tutti coloro che sono interessati, in diverso modo, a ragionare su ciò che “dà da pensare” a partire dall’esperienza religiosa e dalla testimonianza della fede. E intende coinvolgere, alla pari, in questo confronto, gli intellettuali credenti che sono lealmente disposti a considerare la parola di Dio – e la parola Dio – come un bene comune e non come una proprietà privata. Inizieremo con cento teologi e cento intellettuali che si confrontano. La teologia accetta il dialogo diretto con il pensiero e le prove della storia, per rendere ragione, con la trasparenza di una lealtà intellettuale che deve rappresentare un punto d’onore per l’intelligenza della fede, del logos della speranza che la fede porta agli umani. Non si ferma ai suoi adepti. La speranza che ci accomuna, infatti, è almeno questa: quella di aiutarci, insieme, a non abitare la terra ferocemente e invano. E per ciò stesso, ad onorare il mistero di una origine e di una destinazione che ci sovrastano.

Contiamo sul fatto che l’evento inaugurale di questo progetto, già simbolicamente indirizzato all’illustrazione di una possibile “fraternità intellettuale” che coinvolge la teologia in modo diretto e con stile dialogico, possa offrire una chiave di accesso orientativa e coinvolgente per questo cammino. Desidero esprimere sin d’ora la mia gratitudine per coloro che vorranno partecipare alle fasi successive di questo cammino. Intanto, auguro a tutti voi, che avete raccolto il nostro invito a questa apertura, la soddisfazione di sentirvi convinti protagonisti del suo inizio. Grazie.

(Saluto iniziale al convegno Oggi e domani. Immaginare la teologia)