Il Vescovo
Quando in una grande città entra un nuovo vescovo, anche la stampa è attenta e commenta. Del resto, il vescovo è significativo nella vita della città. Non di rado però nascono forti fraintendimenti, magari volendone individuare le “appartenenze”. E’ importante guardare più in profondità. E’ impossibile comprendere il vescovo senza tener conto dei suoi due poli di riferimento: Gesù e la Chiesa. Iniziamo da quest’ultima. Non c’è vescovo senza la Chiesa che è chiamato a guidare. Come è difficile pensare ad un pastore senza il gregge, così ad un vescovo senza la Chiesa di quella città. Lo stesso termine “vescovo” lo indica: egli è “colui che sorveglia” il gregge affidatogli. E suo primo compito è amare quella Chiesa. Egli sa bene che quella Comunità non è di sua proprietà, è del Signore che ha versato il suo sangue per riscattarla. Personalmente cerco di dire il meno possibile: questa è la “mia” diocesi. Perché è anzitutto di cristo. E qui viene l’altro punto di riferimento: Gesù. Ce lo ricorda l’apostolo Pietro: “eravate come pecore erranti, ma ora siete ritornate al pastore e al guardiano (vescovo) delle anime vostre”(1Pt 2,25). E, rivolgendosi ai “vescovi”, dice: “Pascete il gregge di Dio a voi affidato, vegliate (episcopountes) su di esso non come costretti a forza, ma spontaneamente, secondo lo Spirito di Dio”(1Pt 5, 2). Mi hanno sempre colpito queste parole scritte dal vescovo Ignazio di Antiochia, mentre veniva portato in catene a Roma. Egli chiese ai romani di pregare per la sua Chiesa che aveva dovuto abbandonare: “Ricordatevi nella vostra preghiera della Chiesa di Siria, che al posto mio ha Dio come pastore. Soltanto Gesù Cristo, sarà il suo vescovo”. Per Ignazio, la sua Chiesa ora aveva Gesù come “vescovo”. In effetti, i vescovo sono chiamati a “vegliare” sulla Chiesa come Gesù stesso. “I vescovi – scrive il vaticano II – reggono le Chiese particolari a loro affidate, come vicari e delegati di Cristo, col consiglio, la persuasione, l’esempio, ma anche con l’autorità e la sacra potestà, della quale però non si servono se non per edificare il gregge nella verità e nella santità, ricordandosi che chi è il più grande si deve fare come il più piccolo, e colui che governa, come colui che serve”(LG 43). In passato, e qualche volta anche oggi, è accaduto che non pochi cristiani fuggivano piuttosto che accettare di diventare vescovi. Avevano compreso le grandi responsabilità che avrebbero avuto. Faccio solo qualche nome: sant’Ambrogio, san Gregorio Magno, Sant’Agostino, San Cipriano e altri fuggirono quando seppero che volevano nominarli vescovi. Poi, fortunatamente, li convinsero ad accettare. E’ un compito arduo, quello del vescovo. L’arte pastorale, che è l’esercizio dell’autorità, è un’arte complessa, difficilissima. Molto più che in passato. Anche perché la cultura contemporanea ha fatto saltare una serie di regole di comportamento gerarchico. Ma non è diminuito il bisogno di autorità o l’urgenza del suo esercizio. Nella Chiesa ha il sapore del servizio all’interno di una vera e propria famiglia: “L’esercizio dell’autorità nella Chiesa – si scrive nella Pastores dabo vobis – non può essere concepito come qualcosa d’impersonale, di burocratico, proprio perché si tratta di un’autorità che nasce dalla testimonianza…Se mancasse l’autorevolezzza della santità del vescovo, cioè la sua testimonianza di fede, speranza e carità, il suo governo difficilmente potrebbe essere recepito dal Popolo di Dio come manifestazione della presenza operante di Cristo nella sua Chiesa”. Essere come Gesù. Questo è l’ideale del vescovo. Papa Giovanni, quando era patriarca di Venezia, scrisse: “Della mia vita pastorale cosa dire? Ne sono contento perché invero mi da grandi consolazioni. Non mi occorre adoperare forme dure per tenere il buon ordine. La bontà vigilante, arriva ben più al di là e più rapidamente che non il rigore e il frustino”. Del resto è proprio del vescovo essere “preoccupato” dei suoi fedeli e di tutti coloro che hanno bisogno, a partire dai più poveri. Benedetto XVI, nella Messa d’inizio del suo pontificato, diceva: “La santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore: per lui non è indifferente che tante pecore vivano nel deserto…Vi è il deserto della povertà, della fame e della sete, dell’abbandono, dell’amore distrutto…Vi è il deserto dell’oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime… I deserti interiori si moltiplicano nel mondo”. Per questo c’è sempre più bisogno di vescovi, santi e sapienti, che abbiano autorità sulla vita dei fedeli e su quella della città. L’obbedienza divien così una via quanto mai opportuna. Il vescovo è dentro il mistero di Gesù, unico “pastore” delle nostre Chiese. Il resto rischia di venire dal “maligno”.