Il mediterraneo e le tre religioni monoteiste: la sfida del dialogo

Il Mediterraneo pur essendo uno dei mari più piccoli del pianeta, è uno dei “mondi vitali” del pianeta: crocevia di ricchezze e di contraddizioni a livello culturale, politico, economico, sociale e religioso. Ci sono ricchezze da individuare e sollecitare nello sviluppo come anche contraddizioni da risolvere e rimuovere. Il Mediterraneo è una sfida da raccogliere: può beneficare o danneggiare il nuovo ordine mondiale. Insomma, il “mare nostrum” potrebbe diventare il “mare monstrum”.

In questa mia breve riflessione mi fermo soprattutto sulla dimensione religiosa che traversa il Mediterraneo. Con una premessa: se è vero che le grandi ideologie politiche del XX secolo (liberalismo, socialismo, anarchismo, corporativismo, marxismo, democrazia d’ispirazione cristiana…) hanno un’impronta occidentale, è anche vero che dall’Occidente non è venuta nessuna grande religione. E’ infatti dal Mediterraneo che sono nate le tre grandi religioni monoteiste che hanno condizionato e continuano a condizionare l’Occidente, e ovviamente lo stesso Mediterraneo. Esse, in certo modo, sono nello stesso tempo motivo di coesione e di divisione. Fanno certamente pensare i lunghi secoli di coabitazione tra cristiani e musulmani, come mostra la storia della Sicilia, di Malta, della Spagna; oppure la vicenda di città come Istanbul, Alessandria, Gerusalemme, Sarajevo.

Oggi, il Mediterraneo è molto cambiato, e sembra sottolineare piuttosto la difficoltà della coabitazione. Il viaggio di Papa Francesco in Irak è di caratura storica perché vuole cambiare verso a quanto sino ad ora è accaduto. Possiamo datare l’inizio di tale cambiamento tra Otto e Novecento, quando le nazioni sono entrate prepotentemente nella scena, fissando frontiere, riorganizzando territori, rendendo più omogenee popolazioni e ristabilendo nuove barriere. E sappiamo che le nazioni si costruiscono con un popolo, con una tradizione, con una religione, con una terra, con la separazione da altri popoli che magari vivevano fino a ieri negli stessi territori. Abbiamo così assistito alla ridefinizione dei Balcani (un cambiamento che continua sino ai nostri giorni) e a quella della lunga riva orientale e meridionale del Mediterraneo, con una situazione completamente nuova. E’ un fatto che alla fine della Prima Guerra Mondiale la coabitazione tra gente di fede diversa è stata sconvolta, soprattutto nella riva Sud del Mediterraneo.

Negli ultimi decenni di questo secolo, con il Concilio Vaticano II, la Chiesa Cattolica innova profondamente la sua riflessione e il suo rapporto con le tre religioni monoteiste. Il dialogo ecumenico e interreligioso diviene un elemento costitutivo della missione stessa della Chiesa cattolica, e un appuntamento importante per porre alle religioni monoteiste la questione della mutua comprensione e collaborazione. Sono tre i campi ove si attua questo sviluppo. Il primo è quello che riguarda le Chiese ortodosse e le antiche Chiese d’Oriente (i cristiani precalcedonesi), le cui sedi ci dicono già quale sia la loro condizione di vita e quale la loro vocazione: Istanbul, Alessandria, Antiochia, Damasco, Atene. Non è qui il caso di affrontare l’attuale condizione del cammino ecumenico, ma certo è urgente un salto qualitativo per poter affrontare un nuovo e più efficace cammino. Viene poi il ritrovato rapporto con l’ebraismo. Non si deve dimenticare il peso che ha avuto nei rapporti con il cristianesimo la tragedia dell’Olocausto; e poi, sebbene siamo su un versante più schiettamente politico, non si deve dimenticare il riverbero sul piano religioso della questione palestinese e di Gerusalemme. Tuttavia si debbono registrare passi notevoli nella comprensione e nella collaborazione reciproca. Il terzo fronte è stato quello del dialogo islamo-cristiano, il più complesso dei tre, considerando anche la vastità del mondo islamico. Sono state tuttavia superate barriere di incomprensione secolare. Ma quest’ultimo è forse il campo in cui le distanze tra Nord e Sud si accentuano maggiormente anche per le incidenze civili, culturali e legislative che l’Islam porta con sé; basti pensare alla diversa concezione del rapporto tra religione e società che c’è tra cristianesimo e islam. Oggi, all’interno dell’Islam, stiamo assistendo ad una lotta intestina, quella ad esempio che divide gli sciiti dai sunniti, ma non solo, che ha portato il terrorismo sino alla edificazione di uno stato islamico che fortunatamente è stato sconfitto.

L’accettazione cristiana dell’Islam e dell’ebraismo come interlocutori religiosi ha portato buoni frutti ma molto cammino resta da fare: dalla metà degli anni Cinquanta agli anni Settanta – periodo di intenso dialogo interreligioso – si assiste in verità alla crisi della convivenza. Il fenomeno dell’emigrazione cristiana dai paesi arabi avviene in modo sempre più massiccio; iniziano le élites, colpite economicamente dalle nazionalizzazioni, e poi anche gli strati più umili della popolazione. Non si deve ovviamente dimenticare l’attrattiva dell’Occidente per i cristiani che trovavano sempre più difficile vivere in paesi a maggioranza musulmana. La realtà che appare alla fine degli anni Settanta è quella della crisi della coabitazione tra ebrei, cristiani e musulmani nella riva Sud del Mediterraneo.

Il problema della coabitazione non si ferma solo sulla riva Sud ed Est, si allarga anche sulla riva Nord. Già nel 1962 su “Confluent” si leggeva che il problema dell’emigrazione in Europa sarebbe stato il più importante della fine secolo: “l’europeo è un industriale ricco che invecchia e che fa pochi figli; l’africano è un giovane contadino… alla testa di una famiglia bisognosa”. In effetti lo sviluppo dell’economia del Nord, il calo demografico delle popolazioni europee, la spinta migratoria dal Sud fanno sì che, negli anni Ottanta, il problema della coabitazione tra cristiani e musulmani si ponga appunto sulla riva Nord, come un fatto inedito nella storia degli ultimi secoli. Questa esperienza avviene all’interno di Stati laici, in cui le frontiere nazionali non coincidono con quelle religiose. Quando la laicità sembra essere arrivata al termine del suo viaggio storico in Occidente, si trova di fronte all’emigrazione islamica che sembra mettere in forse tale concezione. Questo fatto suscita non poche preoccupazioni tanto più che in tutto il Mediterraneo, e non solo, il mondo musulmano è caratterizzato da una forte ripresa di coscienza riguardo al ruolo della religione nella società. Questa non è dovuta, come talora si crede, unicamente alle correnti integriste, alla rivoluzione komeinista o ai Fratelli Musulmani; la sua origine risale molto addietro, e sarebbe necessario analizzarla con cura per evitare facili e pericolose incomprensioni.

Certo è che in un secolo la geografia del Mediterraneo è cambiata: le minoranze si sono assottigliate nella riva musulmana, mentre sono comparse comunità islamiche sulla riva Nord. Ma è cambiata anche la geografia del mondo. E’ ormai solo un ricordo l’euforia dell’89. E la miscela di ansietà, preoccupazione, incertezza e diffidenza per il futuro dell’intero pianeta è esplosa con la pandemia. Il mondo è travolto come da una grande tempesta: facciamo fatica a non esserne travolti e ancor più a uscirne. Certo è che il futuro di ciascuno sarà legato alla capacità che avremo di costruire una civiltà della convivenza.

La condizione umana sta diventando sempre più complessa e plurale. I popoli e le culture, le civiltà e le religioni sono ormai legate tra loro. Non c’è altro futuro che quello della convivenza. Altrimenti viene il conflitto. L’unica via possibile è dunque la capacità di convivere tra diversi. Papa Francesco con el due encicliche Laudato sì e Fratelli tutti ha delineato il cammino dell’umanità: abbiamo una sola casa (il pianeta) e siamo tutti un’unica famiglia (la famiglia dei popoli). Certo, la convivenza richiede una notevole capacità relazionale. La globalizzazione spaventa e tutti cerchiamo di rinchiuderci nei nostri recinti. La gente si sente spaesata di fronte a nuovi vicini e il mondo appare troppo grande. Ed ecco persone, gruppi e popoli innalzare barriere, vicino e lontano da noi. Dopo il crollo del muro di Berlino abbiamo costruito 40.000 kilometri di muri (in mattoni e filo spinato). E non pochi chiedono alle religioni di proteggere la loro paura, magari con le mura della diffidenza. Nascono così fondamentalismi di generi diversi che, come fantasmi, pullulano e inquietano. Crescono anche fondamentalismi di carattere etnico o nazionalista, che giungono sino al terrorismo. Il fondamentalismo è una grande semplificazione che affascina giovani disperati, gente spaesata per cui questo mondo è troppo complesso, inospitale, ma che può interessare politici spregiudicati alla ricerca di scorciatoie per il potere. E i fondamentalismi hanno il marchio dell’odio, se non della lotta al diverso religiosamente o etnicamente. Ma la sfida del futuro, anche se il terrorismo viene domato, è racchiusa nella capacità che i popoli hanno di vivere assieme pur restando diversi. Questo sta a dire che la prima e più urgente educazione da fare è quella, appunto, del convivere tra diversi.

Ecco perché il dialogo appare come l’unica via per comprenderci gli uni gli altri. Non dobbiamo perciò lasciarsi sopraffare dalle ondate di pessimismo, generatrici di diffidenza, di chiusura, di ripiegamenti amari su di sé. Le religioni sono decisive per stabilire un legame di fraternità tra i popoli. È vero che possono essere coinvolte nell’alimentare i conflitti, nel sacralizzare i confini, nel benedire le diffidenze ataviche e nel battezzare quelle nuove. E in effetti dobbiamo rilevare che le religioni sono attualmente sottoposte all’ambigua pressione delle passioni di parte e di quelle nazionalistiche. Tanti cercano, anche nelle religioni, motivi per elevare muri protettivi e per tagliare ponti ritenuti pericolosi. Ne nascono temibili fondamentalismi (che sono la malattia infantile delle religioni) per cui la vita umana può essere sacrificata. Tutti ci rendiamo conto della crescita del tasso di odio e di risentimento lungo le strade del mondo ed è facile che qualcuno imbocchi i sentieri della violenza e perfino del terrorismo folle. Non c’è dubbio che ci siano motivi per dire che è l’ora di chiudersi e non di dialogare, che è l’ora del ferro e non della mano tesa. Ma non è questo comunque l’atteggiamento che le religioni, pur nella differenza della loro spiritualità e dei loro cammini di fede, hanno verso l’uomo. Esse, nella loro diversità, parlano ad un uomo che considerano debole e peccatore e a cui indicano una via (o delle vie) per raggiungere la perfezione. Le religioni comunicano all’uomo la speranza che, con le armi spirituali della fede, può divenire migliore. E’ la grande lezione di Papa Francesco in Irak.

Grande è la responsabilità delle religioni, oggi. Forse, per la prima volta nella storia, le comunità religiose debbono considerare la comune responsabilità della pace tra i popoli. Non nell’uniformità delle fedi. Ma nella in una loro comune tensione di fraternità. Di qui l’esemplarità della enciclica di Papa Francesco: Fratelli tutti. I credenti, se scendono nel profondo del loro credo, trovano nelle diverse religioni una scuola di convivenza e di pace. Tutte le religioni conservano almeno la regola d’oro: non fare agli altri ciò che non si vuole sia fatto a se stessi. È vero che le religioni non hanno la forza politica per imporre la pace ma, trasformando l’uomo dal di dentro, invitandolo a distaccarsi dal male e lo guidano verso un atteggiamento di pace. Le religioni hanno pertanto una responsabilità decisiva nella convivenza tra i popoli: il loro dialogo tesse una trama pacifica, respinge le tentazioni a lacerare il tessuto civile e libera dalla strumentalizzazione delle differenze religiose a fini politici. Ma questo richiede audacia e coraggio. E spinge ad abbattere con la forza morale, con la pietà, con il dialogo, tutti i muri che separano gli uni dagli altri. Grande è anche il compito delle religioni nel ricordare che il destino dell’uomo va al di là dei propri beni terreni – come molte insegnano -, e che si inquadra in un orizzonte universale, nel senso che tutti gli uomini sono creature di Dio, da Dio tutti veniamo e a Dio tutti torniamo. E da sempre i loro santi e i loro saggi scrutano un orizzonte globale.

Certo, la fede, le diverse fedi debbono diventare cultura di riconciliazione e di dialogo, ossia un modo di vedere largo, un modo di amare senza confini, un modo di vivere che non riduce le cose ai nostri schemi, che non restringe il mondo alle nostre abitudini mentali. Ognuno deve aprire le finestre della propria mente e allargare le pareti del proprio cuore. E’ facile, molto facile, essere sensibili solo a quello che ci sta vicino, solo a quello che ci tocca e ci commuove; e ignorare ciò che sta lontano da noi. L’amore è anche un cuore ospitale a ciò che non ci tocca direttamente. L’ignoranza è funzionale all’egoismo. E nell’ignoranza appassiscono l’amore, la generosità, l’audacia, la passione. La forza dell’amore spinge ad uscire da sé per recarsi nei cuori degli altri al fine di creare una cultura d’amore, una civiltà dell’amore. La forza della riconciliazione è una energia concreta che fa superare ogni ripiegamento su di sé e aiuta ad alzare il proprio sguardo e la propria azione verso l’universalità della famiglia umana. E questo chiede ascolto rinnovato del Vangelo e attenzione critica a quel che accade nel mondo. Ci troviamo, infatti, in una situazione complessa che chiede a noi di essere uomini e donne evangelici che sono esperti di umanità.

Nonostante tutte le inquietudini di questo inizio di millennio, dobbiamo conservare intatta la nostra speranza in Dio, Signore della Pace e della Misericordia. L’arte del dialogo è un’arte della profondità spirituale, del confronto con i problemi odierni, ma è anche arte dell’incontro umano. Un poeta brasiliano, Vinicius de Moraes, che esprime bene il sentire di quel paese di convivenza tra culture che è il Brasile, diceva: “la vita, amico mio, è l’arte dell’incontro”. Ed ecco perché coloro che hanno praticato questa arte hanno compreso quello che molti anni fa, nel 1961, diceva Martin Luther King: “Ho cercato la mia anima, ma non l’ho vista, ho cercato il mio Dio, ma mi è sfuggito, ho cercato mio fratello, e ho trovato tutti e tre, l’anima, Dio e il fratello”. Cari amici, l’anima, Dio e il fratello, sono tappe della ricerca decisiva di ogni religione e della stessa vita vissuta appunto come l’arte di sapersi incontrare, scoprire e amare.