Il malato e la comunità cristiana

Il malato e la comunità cristiana

Il rapporto tra il malato e la comunità cristiana affonda le radici nelle origini stesse della Chiesa e l’accompagna per tutto il corso dei due ultimi millenni. Non è facile tracciare una sintesi della lunga e complessa storia di questo rapporto che talora ha segnato in modo determinante la stessa società occidentale. Basti pensare alla nascita dell’istituzione ospedaliera dovuta all’iniziativa delle comunità cristiane e all’opera delle confraternite e in particolare all’impegno degli ordini ospedalieri. Si potrebbe dire che l’ospedale è stato un dono della fede cristiana al mondo moderno. Il breve spazio di questa comunicazione non consente di affrontare in modo esaustivo questa complessa vicenda né nei suoi aspetti storici né in quelli più propriamente teorici relativi alla concezione della malattia, della salute, della salvezza, della cura, della sofferenza, del dolore e così oltre.
 Per parte mia cercherò semplicemente di delineare alcune piste che aiutino a comprendere la ragione dell’impegno della comunità cristiana verso i malati. Per questo mi fermerò a delineare l’atteggiamento che Gesù aveva verso il malato perché, a mio avviso, resta normativo per i discepoli di ogni tempo. Ritengo pertanto necessario  – e questo anno giubilare è davvero un tempo opportuno anche per questo – che le comunità cristiane volgano il loro sguardo verso Gesù e apprendano da lui nuovamente a rivolgere il loro cuore, la loro mente e le loro mani verso i malati come faceva lui. E ricomprendano altresì la forza della profezia che emerge dalle pagine evangeliche relativamente alla guarigione dalla malattia.
 Nei Vangeli, l’attenzione di Gesù ai malati, occupa una posizione di primo piano. Ed è così fin dalle prime pagine quando Gesù inizia la sua vita pubblica. Non si tratta semplicemente di un primum in ordine temporale; la cura dei malati è una dimensione essenziale della sua stessa missione. Gesù si prende cura dei malati non in modo generico ma con l’impegno di guarirli dalla malattia. I Vangeli, infatti, parlano di guarigioni più che di generica attenzione, ossia di azioni che ridanno la salute ai malati. Sono più di trenta i racconti di guarigione riferiti nei Vangeli su un totale di 53 miracoli. L’alto numero sta a significare l’importanza che Gesù annetteva alle guarigioni nella sua missione. E lo vediamo nella sua risposta ai discepoli del Battista che gli chiedevano se era lui, o no, il messia: “Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona novella. E beato è chiunque non sarà scandalizzato di me!” (Lc 7, 22-23).


Gesù taumaturgo


L’opera di guarigione, in effetti, è una costante non secondaria nella vita di Gesù, appunto perché legata strettamente alla sua missione. I Vangeli sinottici sono concordi nel sintetizzare l’opera di Gesù attorno a due inscindibili poli: l’annuncio del Vangelo del Regno e la guarigione dei malati. Scrive Matteo: “Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe predicando la buona novella del Regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità.”(4,23). L’evangelista continua sottolineando la grande rispondenza di questa attività di Gesù presso la gente: “La sua fama si sparse per tutta la Siria e così condussero a Lui tutti i malati tormentati da varie malattie, indemoniati, epilettici, paralitici, ed Egli li guariva.”(4, 24-25). Andavano in molti da Gesù, malati provenienti dalle diverse città della regione, anche pagani o comunque non appartenenti alla religione ebraica come quelli provenienti dalla Siria. Fin dall’inizio appare la dimensione universale dell’opera di Gesù: egli non fa distinzioni di persone, distinzioni di malati. L’evangelista Luca, analogamente a Matteo, scrive: “Al calar del sole, tutti quelle che avevano infermi colpiti da mali di ogni genere li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva” (Lc 4,40). E più avanti nota: “La sua fama si diffondeva ancor più; folle numerose venivano per ascoltarlo e farsi guarire dalle loro infermità” (5, 15). Anche nel Vangelo di Marco l’inizio della vita pubblica di Gesù è segnata dalla cura dei malati: “Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era radunata davanti alla porta. Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demoni”(Mc 1, 32-34), nota l’evangelista. La sua fama si espandeva nella regione e “dovunque arrivava, in villaggi o città o campagne, ponevano i malati nelle piazze e lo pregavano di potergli toccare almeno la frangia del mantello; e quanti lo toccavano, guarivano” (Mc 6, 56). E’ singolare vedere quanto spazio occupi nel terzo Vangelo l’azione di guarigione di Gesù: più di un quarto dei primi dieci capitoli (120 versetti su 425). Questo mostra l’importanza che aveva la cura dei malati, o meglio la loro guarigione, nella vita di Gesù e quindi nella predicazione della prima Chiesa, in questo caso proprio qui a Roma dove il Vangelo fu scritto. Ed è persino ovvio dire che queste pagine evangeliche interpellano non poco le nostre comunità cristiane, se esse cioè le vivono concretamente, se sono come la casa di Cafarnao alla quale accorrevano tutti per ottenere guarigione e salvezza.
La cura dei malati che giungeva sino alla guarigione manifestava l’intervento concreto ed efficace di Dio nella storia. Con essa, infatti, si poneva termine al tempo della disperazione e dell’abbandono, al tempo in cui le donne e gli uomini dovevano rassegnarsi alla loro condizione di malattia, di solitudine e di segregazione. Una energia efficace di liberazione era entrata nella storia degli uomini e si manifestava in questi segni. Il male non era più il padrone assoluto del corpo e dell’anima degli uomini. Gesù sottraeva il corpo, la vita, il cuore, la psiche delle donne e degli uomini al potere oscuro del male. E’ bella l’immagine che Gesù stesso dà di questa sua azione quando si paragona ad uno che per liberare un uomo sequestrato in una casa, vi entra, lega l’energumeno che lo tiene legato e gli sottrae la preda (Mt 12, 29).
L’azione taumaturgica di Gesù si differenziava da quella dei normali guaritori dell’epoca. Gesù, infatti, si inserisce nella tradizione biblica che presentava Dio stesso come guaritore e liberatore da ogni schiavitù e da ogni debolezza. E’ vero che solo una volta è presente l’affermazione di Dio come medico: “Io sono Jhwh, colui che ti guarisce”(Es 15, 26), si legge nel libro dell’Esodo, tuttavia quest’affermazione più che un punto di partenza è un punto di arrivo della riflessione spirituale del popolo d’Israele che aveva sperimentato la cura del Signore per la sua salute, intesa in senso ampio. Si potrebbe, ad esempio, parlare di un vero e proprio “salterio dei malati” se si raccolgono le preghiere, le invocazioni, e anche le proteste, che il salmista rivolge a Dio durante la malattia, intesa come un momento di abbandono. Ma il Signore viene a visitare il suo popolo per salvarlo. Su questo sfondo si innesta l’attesa della liberazione dalle malattie per il tempo messianico. E Gesù si appella proprio a questa tradizione quando, inaugurando la sua missione pubblica, unisce l’accoglienza dei peccatori e la guarigione dei malati.


Il potere dei discepoli


Anche i discepoli sono chiamati a compiere le opere del loro Maestro: “Egli diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e di infermità”. E poco più avanti: “predicate che il Regno di Dio é vicino, guarite gli infermi, resuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni”. La missione dei discepoli deve perciò modellarsi su quella di Gesù nell’annunciare il Vangelo e nel guarire dalle malattie. Ancora una volta, la guarigione è inseparabile dalla parola: non c’è annuncio senza guarigione né guarigione senza annuncio. Come ho già detto, guarire i malati non è un’azione laterale all’annuncio, è piuttosto il segno concreto e visibile che la salvezza del Regno è iniziata e riguarda l’uomo in tutta la sua interezza. Ecco perché Gesù insiste: “Guarite, resuscitate, sanate, cacciate gli spiriti immondi!” Era necessario che i discepoli continuassero le opere di Gesù. Egli stesso, nel discorso di congedo, disse loro: “In verità, in verità vi dico, anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi. Perché io vado al Padre, qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io  la farò”. Queste parole, che prendono la solennità del momento, esprimono chiaramente il potere dato ai discepoli. Essi potranno continuare a fare, o meglio potranno fare, le opere che Gesù stesso aveva compiuto. Anzi, potranno farne di più grandi, perché il Figlio é presso il Padre e li ascolterà, donando loro tutto quello che manca alle loro povere forze. E se non avranno il cuore, se non avranno l’energia, se non avranno l’intelligenza per compiere le sue opere, potranno rivolgersi a lui nella preghiera ed egli risponderà con molta larghezza, come avevano già sperimentato. Ricordiamo la scena del ritorno dei settantadue: “Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome!”, dissero a Gesù. Ed egli: “Io vedevo Satana cadere dal cielo, come una  folgore. Io vi ho dato potere di camminare sopra i serpenti, gli scorpioni, la potenza del nemico”. Gesù, il mite e umile di cuore, assieme ai suoi piccoli discepoli, disarciona lo spirito del male che tiene schiavi gli uomini.
Le guarigioni, come si può vedere, hanno una importanza determinante nella missione di Gesù e dei discepoli. Significano impedire che la vita degli uomini e delle donne resti sotto il potere di Satana, di cui la malattia è una manifestazione. La malattia, infatti, non è un bene; essa è frutto del potere oscuro del male. In tal senso Gesù non può non combatterla. Gesù è colui che annuncia un nuovo tempo in cui anche le malattie sono sconfitte. Pietro, nella casa di Cornelio, parlò di Gesù in questa prospettiva: “Dio consacrò in Spirito e potenza Gesù di Nazareth, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con Lui”. Gesù “passò beneficando e risanando”. Non guariva per stupire, come fanno i falsi profeti che compiono segni e portenti. Egli guariva perché voleva ridare la salute a chi era malato. Non voleva dimostrare la sua potenza agli increduli quanto ridare salute a chi era ferito e malato. E mai nei Vangeli si parla di rassegnazione alla malattia; e mai Gesù ha accettato le spiegazioni correnti sul legame diretto tra malattia e peccato personale. Al contrario, egli passava beneficando e sanando. Questa lezione evangelica è ancora lontana dall’essere compresa da molti fedeli ancora oggi, convinti che sia Dio a mandare le malattie. E’ urgente una riflessione in questo contesto per allontanare questa radicata concezione.
Emerge, piuttosto, dai Vangeli lo stretto legame tra liberazione e salvezza, tra salute del corpo e salute spirituale. E’ quanto Gesù opera: egli guarisce e perdona. L’episodio del paralitico portato davanti a lui mentre era in casa a Cafarnao è esemplare in questa prospettiva. “Coraggio, figliolo, ti sono rimessi tutti i tuoi peccati”, dice Gesù a quell’uomo. “Costui bestemmia!”, pensano i farisei. E Gesù: “Che cosa é dunque più facile dire: ‘ti sono rimessi i tuoi peccati o alzati e cammina?’. Ora perché sappiate che il Figlio dell’Uomo ha il potere in terra di rimettere i peccati, ‘Alzati!’, disse al paralitico: prendi il tuo letto e vattene a casa tua!” Questa pagina evangelica richiama il salmo 102: “Dio perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue malattie, salva dalla fossa la tua vita”. In un certo senso, si potrebbe dire che se uno non crede che le malattie possono essere guarite, non crede nemmeno che i peccati possono essere rimessi. Gesù guarisce e perdona; è il medico buono, come canta la liturgia di S. Giovanni Crisostomo dopo l’invito del diacono a inchinare il capo davanti al Signore: “Tu, dunque, o Sovrano, rendi piane le vie di noi tutti per il nostro bene e secondo il bisogno di ciascuno. Naviga con i naviganti, a chi viaggia accompagnati nel cammino, guarisci i malati, medico delle nostre anime e dei nostri corpi”. 


La comunità cristiana e il malato


La Chiesa fin dall’antichità non ha esitato a chiamare Gesù “medico dei cristiani”. E’ nota l’espressione di Ireneo: “Il Signore è venuto come medico di coloro che sono malati”. E Origene insegnava: “Sappi vedere (nei vangeli) che Gesù guarisce ogni debolezza e malattia non solo in quel tempo in cui queste guarigioni avvenivano secondo la carne, ma ancora oggi guarisce; sappi vedere che non è disceso solo tra gli uomini di allora, ma che ancora oggi discende ed è presente. Ecco, infatti, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo”. Potremmo continuare a lungo in citazioni di questo genere, da quella della Liturgia di San Marco: “Signore…Medico delle anime e dei corpi, visitaci e guariscici”, a un’antica iscrizione cristiana: “Ti prego, Signore, vieni in mio aiuto, tu solo medico”. Questo non voleva ovviamente dire un disprezzo per la medicina, sebbene la storia soprattutto del primo millennio presenti un cammino complesso a tale riguardo. Certo è che la preghiera della Chiesa ha sempre accompagnato il malato, senza peraltro disprezzare il medico, cosa già chiara nel libro del Siracide: “Onora il medico, come si deve secondo il bisogno, anche egli é creato dal Signore. Da Dio viene la guarigione, la scienza del medico lo fa procedere a testa alta. Il Signore ha creato i medicamenti della terra, e l’uomo assennato non li disprezza. Dio ha dato agli  uomini la scienza, perché potessero gloriarsi. Con essa il medico cura ed elimina il dolore, e il farmacista prepara le miscele, non verranno meno le sue opere, da lui proviene il benessere sulla terra. Figlio, non avvilirti nella malattia, ma prega il Signore ed Egli ti guarirà. Offri incenso, e un memoriale di fior di farina e sacrifici pingui, secondo le tue responsabilità. Poi fai passare il medico, perché il Signore ha creato anche lui, che non stia lontano da te. Ci sono casi in cui il successo e nelle loro mani, anch’essi pregano il Signore perché li guidi felicemente ad alleviare la malattia e a risanarla, perché il malato ritorni alla vita”(Sir 38, 1-14).
Non posso dilungarmi, ma almeno un cenno va fatto alla comunità cristiana intesa come ambito di guarigione e di salvezza nel senso più ampio dei termini. L’unità della persona umana, in tutte le sue dimensioni, corporali, psichiche e spirituali, è quel che Dio è venuto a salvare, e la comunità cristiana è l’ambito di questa salvezza. Tale concezione rimanda all’idea della malattia, sia fisica che psichica, presente nella Scrittura. Nel linguaggio biblico la malattia è la manifestazione della debolezza dell’uomo, della sua debolezza radicale: l’uomo è fatto di terra, si potrebbe dire con la Genesi, oppure è un “vaso di creta”, come scrive Paolo. Il malato fa emergere quella debolezza che ci riguarda tutti. “La malattia – scrive il cardinale Martini – è parte della vita…Non è un incidente, ma la rivelazione della condizione normale di limite insita in ogni soddisfazione umana, è qualcosa che mi definisce nel mio essere fragile, debole, incerto, mancante. Rivela chiaramente ciò che è nascosto in me anche quando sto bene. E la temo, la malattia, perché non voglio che emerga la verità della mia limitatezza, della mia povertà”.
La salvezza che Dio è venuto a portare consiste nell’essere strappati da questo destino di debolezza ed essere accolti nella comunità dei salvati. In tal senso la comunità cristiana è salvezza e salute. La malattia, perciò, non è un problema solo di medicina: è una domanda di aiuto, di amore, perché si intensifichi la vita attorno a chi la sente ferita e indebolita. E’ importante far emergere questa dimensione terapeutica della comunità cristiana soprattutto in una società come quella attuale che, con i suoi squilibri sociali e i suoi processi di emarginazione, aggrava la già connaturale debolezza. In tale contesto vorrei leggere le guarigioni nei Vangeli. Esse rappresentano oggi una provocazione ai discepoli perché amino con maggior forza e siano un luogo reale di guarigione. I miracoli delle guarigioni, intese nel senso più ampio, spingono le comunità cristiane ad essere più audaci nel rapporto con i malati, a sentirli come la loro parte privilegiata su cui riversare molta cura. C’è bisogno di maggiore audacia nell’amore, è necessario osare al di là dei limiti rassegnati di chi sta male e andare al di là dei limiti rassegnati dell’ambiente. Purtroppo, questa dimensione sembra come attutita nella vita della Chiesa. La sua lunga storia, invece, parla di santi taumaturghi. Il miracolo si connette sempre ad una particolare santità, ad una energia di amore. Cipriano di Cartagine assegna alla santificazione personale anche un’efficacia taumaturgica: “Quando saremo casti e puri, modesti nelle nostre azioni, frenati nelle nostre parole, potremo guarire anche i malati”. Ricordiamo anche i santi Cosma e Damiano, morti martiri nel 285. Essi si trovano raffigurati a Roma, nella omonima Basilica, vestiti con le vesti bianche, come i medici, accanto a Cristo vestito con le vesti bianche. Ebbene la tradizione dice che questi due medici andavano al capezzale dei malati e, prima di informarsi sulla loro salute, pregavano. Solo dopo si informavano sulla loro salute e decidevano la cura. I loro miracoli erano come un misto di fede e di attenzione concreta. La guarigione é sempre un insieme di fede e di attenzione umana. E se talora il corpo non guarisce, lo spirito ritorna più vigoroso. Nella storia delle guarigioni ci sono i tipi più diversi di essa, e mai si deve spegnere nella Chiesa l’audacia per la guarigione.
Non posso non fare un cenno al fatto che, malgrado l’imperante mentalità razionalista, c’è un’enorme domanda di guarigione attorno a noi, che spesso si sviluppa lontanissima dalla tradizione cristiana. Quanta gente oggi va alla ricerca di pratiche magiche, occulte, miracolistiche, astrologiche! Credo che questa affannosa ricerca di protezione, sicurezza e guarigione è una domanda che spesso non trova ascolto. Le nostre comunità cristiane sono chiamate a raccogliere questa sfida. La domanda di guarigione, anche se spesso è mal posta, non è altro che una grande domanda d’amore. Ecco perché la nostre chiese, le nostre comunità, debbono essere come la casa di Cafarnao alla cui porta tutti portavano malati perché Gesù li toccasse. E quando queste porte sono chiuse, ci si rivolge a culti idolatri. Torna allora la domanda: i discepoli del Signore non sono più capaci di guarire e di salvare? Non si è forse perso il potere di guarire perché si ha troppo poca fede? O perché preghiamo poco e non amiamo chi soffre fino a ingegnarci con insistenza, quasi con disperazione per aiutarlo?


La preghiera


Questa tensione per guarigione dei malati sembra farci entrare nel mondo dell’impossibile. Ma questo è il  mondo della preghiera e della fede. Infatti, sia i sani che i malati, con la preghiera si affidano a Dio, al suo amore e alla sua potenza. E nelle preghiera fatta con fede c’è già, in qualche modo, il superamento del limite appunto perché non si confida in se stessi ma in Dio. Per questo se non si crede al miracolo della guarigione, in fondo si accetta la forza ineludibile del male. Sarebbe la sconfitta stessa di Dio. Ma non dobbiamo dimenticare che senza i miracoli, l’annuncio cristiano è come mutilato. Il Vangelo apre alla prospettiva dell’impossibile: “tutto é possibile a chi ha fede”, dice il Signore.
E il mezzo per ottenere l’impossibile è la preghiera. Perché, possiamo chiederci, i discepoli pur avendo ricevuto da Gesù il potere di guarire, di compiere miracoli, spesso non vogliono, non possono, non sanno? La risposta è nella mancanza di fede e di preghiera. Gesù, ai discepoli che gli chiedevano perché non erano riusciti a guarire un ragazzo da uno spirito immondo che lo possedeva, disse: “Questa specie di demoni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera”. E la preghiera per i malati, da sempre, nella comunità cristiana ha accompagnato la guarigione e la cura per i malati. Già nella guarigione della suocera di Pietro, la seconda guarigione narrata da Marco, si legge che appena Gesù entrò in casa di Pietro, subito gli “parlarono di lei”. L’intercessione per la guarigione dei malati era insistente nella Chiesa antica. Nella lettera di Giacomo si legge: “Chi tra voi è nel dolore preghi, chi è malato chiami a sé i presbiteri della chiesa e preghino su di lui dopo averlo unto con olio nel nome del Signore. Il Signore lo rialzerà e  se ha commesso dei peccati gli saranno perdonati”. Torna ancora una volta il senso pieno della guarigione che è la salute del corpo e il perdono dei peccati.