Globalizzazione e crisi della famiglia

Intervento al convegno “Ortodossi e cattolici insieme per la famiglia” – Roma, 13 novembre 2013

Sono particolarmente lieto di aprire questo incontro su “Ortodossi e Cattolici, uniti per la Famiglia”, organizzato congiuntamente dal Dipartimento delle Relazioni Esterne del Patriarcato di Mosca, dal Pontificio Consiglio per la Famiglia e il Pontificio Consiglio per l’Unità. E’ un evento che, mentre consolida il già fecondo rapporto tra le due Chiese, manifesta l’intenzione di offrire una comune testimonianza sulla preziosità del grande dono che il Signore ha fatto all’umanità con il matrimonio e la famiglia. Ed oggi è ancor più necessario che nel passato. Lo sottolineava sua Santità il Patriarca Kirill, nell’incontro che ebbi con lui nel dicembre scorso: “oggi – affermava il patriarca – il tema della famiglia è uno dei temi centrali nelle relazioni della Chiesa con il mondo circostante. Se dobbiamo poi parlarne nel contesto delle relazioni bilaterali tra la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica, la famiglia è quel tema, attorno al quale noi oggi possiamo insieme attivamente cooperare, perché condividiamo la stessa visione praticamente su tutte le questioni”. E aggiungeva: “sia gli ortodossi che i cattolici si confrontano nel tempo presente con tendenze inquietanti alla distruzione dell’istituto della famiglia nella società contemporanea, che sono da molti ritenute come non costruttive e pericolose”.

Questo incontro segna una tappa significativa che vede le due Chiese l’una accanto all’altra – era già in parte avvenuto nel quadro europeo in occasione del Forum cattolico-ortodosso a Trento nel 2008 – nel promuovere e nel difendere la famiglia, “motore del mondo e della storia”, come ha detto Papa Francesco. Se la famiglia è in crisi lo è anche la società, così come il benessere della famiglia rifluisce su quello della società. Questa convinzione spinge ad affrettare i passi. L’indizione del Sinodo Straordinario dei Vescovi voluto da Papa Francesco sul tema “Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione” è un provvidenziale momento per realizzare passi significativi.

 Una situazione paradossale

E’ davanti ai nostri occhi la profonda crisi che oggi sta traversando la famiglia in tutti i paesi industrializzati che hanno fatto propria la cultura occidentale; ma lo è anche negli altri paesi quando tale cultura viene accolta e quando cresce il tenore di vita, indipendentemente dall’identità religiosa delle popolazioni.  L’egemonia di una cultura individualista e consumista – che va di pari passo con la globalizzazione del solo mercato – sembra avere come primo effetto l’indebolimento sino alla distruzione della famiglia e, con la famiglia, di ogni forma associata stabile. Non è un progetto esplicito, anche perché tutti si rendono conto della grande utilità dell’istituto familiare nel creare una forma stabile di tessuto sociale, è piuttosto la conseguenza di una serie di processi economici, sociali e culturali messi in moto dal progresso economico e dalla modernizzazione culturale.

La situazione che si è creata nei confronti della famiglia è paradossale: da un lato si attribuisce un grande valore ai legami familiari, sino a farne la chiave della felicità e il luogo della sicurezza, del rifugio, del sostegno per la propria vita; dall’altro lato, la famiglia è divenuta il crocevia di tutte le fragilità: i legami vanno a pezzi, le rotture coniugali sono sempre più frequenti e, con esse, l’assenza di uno dei due genitori. Le famiglie si disperdono, si dividono, si ricompongono, e c’è chi afferma che “la deflagrazione delle famiglie è il problema numero uno della società odierna”. Per di più si stanno moltiplicando le forme di “famiglia”. E’ ormai scontato che gli individui possono “fare famiglia” nelle maniere più diverse, l’importante – si sottolinea – è l’“amore”. La famiglia non viene più negata, ma posta accanto a nuove forme di esperienza relazionale che sono apparentemente compatibili con essa, anche se in verità la scardinano.

Processo di “individualizzazione” della società

L’orizzonte culturale dominante nel quale si pone la questione del matrimonio e della famiglia è il processo di “individualizzazione” della società stessa. L’affermarsi della soggettività – un passo decisamente positivo che ha permesso il manifestarsi della dignità delle singole persone – sta però portando verso la deriva patologica di un individualismo esasperato. C’è chi parla di una seconda rivoluzione individualista”, come il noto filosofo francese, Gilles Lipovetsky, o dell’affermarsi di un “individuo ipermoderno”, come il sociologo francese, Nicole Aubert. Uno psichiatra italiano, Massimo Recalcati, rileva una “esasperazione interna” della modernità, passata dalla centralità teologica di Dio a quella morale e psicologica dell’io. Ed ecco l’io prevalere ovunque sul noi e l’individuo sulla società, così pure i diritti dell’individuo avanzare su quelli della famiglia. In una cultura individualista si preferisce la coabitazione al matrimonio, l’indipendenza individuale alla dipendenza reciproca. La famiglia, con un capovolgimento totale, più che “cellula base della società” viene sempre più concepita come “cellula base per l’individuo”.  Nella coppia matrimoniale ciascuno dei due cerca la propria singolare individualizzazione più che la creazione di un “noi”, di un “soggetto plurale” che trascende le individualità senza ovviamente annullarle, semmai rendendole più autentiche, libere e re-sponsabili. L’io, nuovo padrone della realtà, lo è anche della famiglia. La cultura dominante esaspera a tal punto la nozione di individualità, che finisce per provocare una vera e propria idolatria cinica dell’io. E’ quanto il sociologo italiano, Giuseppe De Rita, intende dire quando parla di “egolatri”, il nuovo culto dell’io.

In effetti, non è lo “stare insieme”, ma lo stare separati ad essere diventata la principale strategia per sopravvivere nelle megalopoli contemporanee. E’ sotto gli occhi di tutti la crisi della socialità e delle numerose forme comunitarie conosciute siano ad oggi, dagli storici partiti di massa alla comunità cittadina, alla famiglia stessa intesa come dimensione associata di esistenza. Alain Touraine, un sociologo francese, parla esplicitamente di La fin des sociétés.

Globalizzazione senza amore e indebolimento dei rapporti

E’ una sorpresa amara constatare la crescita delle famiglie “unipersonali”, per usare un ossimoro. Se da una parte c’è il crollo dei matrimoni e delle famiglie ordinarie (padre-madre-figli), dall’altra crescono le famiglie formate da una sola persona (in Italia – per fare un solo esempio – quest’ultime sono passate da 5,2 milioni nel 2001 a  7,2 milioni tra il 2001 e il 2011). La diminuzione dei matrimoni religiosi e di quelli civili non si è trasferita nella formazione di altre forme di convivenza (le cosiddette coppie di fatto), ma nella crescita di persone che scelgono di stare da sole. Insomma, qualsiasi legame impegnativo è insopportabile. La deriva è chiara: ci avviamo verso una società de-familiarizzata, fatta di persone sole che si uniscono senza alcun impegno. All’esaltazione assoluta dell’individuo corrisponde lo sgretolamento di qualsiasi legame saldo e duraturo.

La globalizzazione dell’individualismo indebolisce ogni legame e rende incerto il futuro sia dei singoli che delle società. Quando qualche studioso – penso a Zygmunt Bauman – parla di “società liquida” fotografa una società strutturalmente incerta nei legami: non ci si può fidare di nessuno. I rapporti stabili, ritenuti impossibili, non sono neppure da cercare. E il profondo desiderio di stabilità che c’è nell’animo umano, viene falciato non appena spunta allo scoperto. Tuttavia, i legami affettivi forti, che durano nel tempo e capaci di aiutare nelle vicende difficili della vita, continuano a essere un’aspirazione di tutti. Quando la cultura contemporanea prospetta l’obiettivo dell’autonomia assoluta dei singoli, inganna perché propone un obiettivo del tutto irreale e per di più non prepara le persone ad affrontare le fatiche e i sacrifici che ogni rapporto duraturo e vero fra esseri umani richiede. Tale inganno è il risultato di facili ideologie delle quali l’ultima, quella propagandata dalla rivoluzione sessuale, resta tra le più perniciose. E gli effetti sono drammatici: quanti abissi di dolore e di solitudini ci sono nelle nostre città contemporanee!

C’è qui un nodo spirituale profondo del nostro tempo, che ha risvolti esistenziali, sociali e culturali di grande rilievo. Nikolaj Berdjaev, con capacità di analisi e di giudizio penetrante, scriveva nel 1931: “Il mondo è ridotto allo stato liquido, non vi sono più corpi solidi, sta vivendo… un’epoca di anarchia spirituale. L’uomo vive nell’angoscia come mai in passato, è sotto una costante minaccia, è sospeso sull’abisso”. Il pensatore russo individuava il punto centrale della crisi culturale e spirituale del mondo contemporaneo nella negazione del valore dell’uomo, privato dello spazio della contemplazione e del rapporto con Dio: “Il problema fondamentale dei nostri giorni non è il problema di Dio, il problema fondamentale dei nostri giorni è innanzitutto il problema dell’uomo. Il problema di Dio è un problema eterno… Gli uomini hanno rinnegato Dio, ma così facendo non hanno messo in dubbio la dignità di Dio, bensì la dignità dell’uomo”.

Vi è una stretta connessione tra l’eliminazione di Dio e l’eliminazione dell’altro. Olivier Clément ha scritto: “Dio è talmente uno, che non è solitudine neanche in lui stesso. E’ talmente uno che porta in se stesso il mistero dell’altro, il mistero della comunione e dell’amore. E gli uomini, che sono ad immagine di Dio, sono quindi chiamati a vivere questo stesso mistero dell’unità e della diversità. […] Bisogna capire che l’alterità è altrettanto assoluta che l’unità. Questo è assolutamente fondamentale per la tradizione biblica e per la tradizione evangelica: il mistero dell’alterità associata al mistero dell’unità, è la comunione”. La percezione dell’alterità come dimensione qualificante l’esperienza umana è radicata nella coscienza cristiana. Joseph Ratzinger ha scritto parole che echeggiano una sensibilità simile: “Nella sua natura profonda l’io è sempre collegato al tu e viceversa: una relazione autentica che diviene ‘comunicazione’ non può nascere che dalla profondità della persona”.

È in questa dinamica del rapporto con l’altro che si colloca la famiglia. Lo rilevava con finezza Sergej Averintsev in alcune sue note sul concetto cristiano di famiglia, un luogo – scriveva – “dove ciascuno di noi si avvicina in modo inaudito al personaggio più importante della nostra vita: l’Altro”. E aggiungeva: “Ma questo Altro è, secondo la parola del Vangelo, il Prossimo. […] All’infuori dell’Altro non c’è salvezza. Il cammino cristiano verso Dio è attraverso il Prossimo… Mt 25 ci insegna a cercare Dio prima di tutto nel prossimo: la diversità assoluta di Dio nella relativa diversità dell’Altro, le esigenze di Dio nelle esigenze del prossimo”. Mettere l’io al posto di Dio conduce alla eliminazione dell’altro.

La famiglia deve tornare  al centro della cultura, della politica, dell’economia

E’ urgente ridare centralità alla famiglia nella politica e nell’economia, nel diritto e nella cultura, ed anche nelle nostre Chiese. La società globalizzata potrà trovare un futuro di civiltà se e nella misura in cui sarà capace di promuovere una cultura della famiglia. La famiglia resta la risorsa più importante delle società. Nessun’altra forma di vita, infatti, può realizzare quei beni relazionali che la famiglia crea. Ha scritto Vladimir Solov’ëv: nella famiglia “ogni membro è uno scopo per tutti, non solo nelle intenzioni e nelle aspirazioni, ma realmente; ognuno è riconosciuto come qualcuno che ha una importanza assoluta percettibile, ciascuno è insostituibile. Da questo punto di vista, la famiglia appare come il modello e la cellula elementare costitutiva della fraternità universale o della società umana, così come deve essere”. La famiglia è unica nella sua capacità generatrice di relazioni. In essa si apprende il noi dell’oggi e si pongono le basi per il futuro attraverso la generazione dei figli. Papa Francesco ci diceva qualche giorno fa che essa “è il luogo dove si impara ad amare, il centro naturale della vita umana. E’ fatta di volti, di persone che amano, dialogano, si sacrificano per gli altri e difendono la vita, soprattutto quella più fragile, più debole. Si potrebbe dire, senza esagerare, che la famiglia è il motore del mondo e della storia”.

Oggi ci troviamo in un delicatissimo crinale storico che, in maniera sintetica, possiamo semplificare in questo modo: da una parte vi è la chiara affermazione biblica che dice: “non è bene che l’uomo sia solo” (da cui è originata la famiglia e la stessa società), e dall’altra l’esatto opposto della cultura contemporanea, ossia: “è bene che l’individuo sia solo” (da cui deriva l’individualismo sociale ed economico). L’io, l’individuo, sciolto da qualsiasi vincolo, viene contrapposto al noi, alla famiglia e alla società. Di conseguenza, la famiglia, pur essendo il fondamento del disegno di Dio sull’umanità, diviene l’ostacolo più forte per frenare un individualismo senza freno.

La responsabilità di comunicare la buona notizia della famiglia

In tale contesto si staglia per le nostre Chiese la grave responsabilità di comunicare al mondo il “mistero grande” di cui parla l’apostolo Paolo nella lettera agli Efesini: “questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!”(Ef 5,32). La Chiesa ha ricevuto da Dio questo “tesoro” straordinario che nel corso dei secoli è stato sempre più compreso nella sua ricchezza spirituale ed umana. Esso trova la sua fonte originaria nel mistero stesso della Trinità, in quel “Noi” che è amore, relazione e dono. Giovanni Paolo II scriveva: “Dio è amore (1Gv 4,8) e vive in se stesso un mistero di comunione personale d’amore. Creandola a sua immagine e continuamente conservandola nell’essere, Dio iscrive nell’umanità dell’uomo e della donna la vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell’amore e della comunione. L’amore è pertanto la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano”(Familiaris consortio, 11). Il matrimonio, possiamo dire, è come un “sacramento primordiale” nel piano della creazione e diviene “sacramento di grazia” in quello della redenzione.

Dobbiamo essere consapevoli di questo grande tesoro. Non è una dottrina, ma una realtà donata. E’ decisivo che i cristiani, in particolare gli sposi e le famiglie cristiane, accolgano e vivano questo tesoro perché risplenda come una realtà bella e appassionante, nonostante le difficoltà e i problemi che la vita comporta. In un mondo segnato dalla solitudine e dalla violenza, il matrimonio e la famiglia cristiana sono una “buona notizia” di cui la società contemporanea ha estremo bisogno. Il momento è peraltro favorevole, non perché sia semplice comunicare tale buona notizia, ma perché è l’unica risposta davvero efficace al bisogno di amore che sale da ogni parte del mondo.

Certo, il nuovo contesto culturale e le numerose problematiche ancora irrisolte chiedono alle nostre Chiese il coraggio e l’audacia di riproporre il messaggio del matrimonio e della famiglia in  maniera alta, senza sconti, sapendo che la dimensione di “eroicità” propria del Vangelo coinvolge anche i coniugi cristiani e l’intera famiglia. E’ in questa prospettiva alta che si deve collocare anche il nostro incontro. Si tratta infatti di suscitare una comune responsabilità perché il matrimonio e la famiglia siano via di santità per le famiglie cristiane e fermento di fraternità per l’intera società. Dobbiamo estrarre dal grande tesoro delle nostre Chiese la ricchezza teologica, spirituale, culturale per affrontare in maniera più efficace la grande sfida dei tempi moderni. Se saremo capaci di coniugare le nostre tradizioni potremo offrire agli uomini e alle donne contemporanee una prospettiva più ricca, più robusta e più attraente circa il matrimonio e la famiglia. Se penso anche solo a quanto Pavel Evdokimov scrive sul matrimonio e sulla famiglia come non gustarne il prezioso il nutrimento sia teologico che spirituale? “Il tipo dell’amore coniugale è essenzialmente pneumatoforo – scrive il teologo russo –; la materia del sacramento è l’amore reciproco che ha il suo fine in se stesso, perché il dono dello Spirito Santo ne fa ‘unione di amore indistruttibile’ e consente a san Giovanni Crisostomo di darne una mirabile definizione: ‘Il matrimonio è il sacramento dell’amore’”.

E’ urgente che il patrimonio cristiano fermenti la cultura contemporanea cogliendone le novità (penso, ad esempio, alla maggiore consapevolezza della dignità che l’uomo e la donna hanno della propria soggettività, o anche alla valorizzazione della donna anche nella vita della Chiesa) e arricchendole ancor più di senso. Vi sono poi non poche questioni di ordine culturale e politico che debbono essere affrontate. Penso, per fare un solo esempio, alla questione dell’identità di genere, ossia di cosa significhi oggi essere un uomo ed essere una donna. La distruzione della specificità sessuale, proposta dalla nuova cultura di genere, trionfante oggi in tutti i contesti internazionali, deve trovare da parte nostra risposte chiare e convincenti. Averintsev sottolineava che nel matrimonio “la caratteristica dell’Altro di essere assolutamente Altro” si realizza nel rapporto tra uomo e donna: “L’uomo deve unirsi con la donna e assumere la sua visione femminile delle cose, accogliere il suo animo femminile fino alla profondità della propria anima. E la donna ha un compito altrettanto difficile nei confronti del maschio”. Il card. Bergoglio, da parte sua, affermava: “Non si può uniformare ciò che è diverso… L’essenza dell’essere umano tende all’unione dell’uomo e della donna come reciproca realizzazione, attenzione e cura, e come la via naturale per la procreazione. Ciò conferisce al matrimonio trascendenza sociale e carattere pubblico”.

Così pure si deve riflettere – ed è un altro tema particolarmente delicato – sulla trasmissione culturale fra le generazioni che coinvolge la stessa trasmissione della fede. Senza famiglia – e le donne in particolare – è di fatto impossibile trasmettere la fede alle generazioni che salgono. L’esperienza della Chiesa ortodossa russa è esemplare: durante i drammatici anni della persecuzione comunista, sono state le donne anziane a mantenere e a trasmettere la fede alle nuove generazioni. E’ un insegnamento di cui si dovrebbe fare tesoro anche oggi in Occidente.

Altri temi dovrebbero essere iscritti in una rinnovata pastorale familiare che vuole raggiungere i cuori e la mente delle generazioni di oggi, da quello dei diritti della famiglia a quello della intergenerazionalità, dai diritti dei bambini a quelli degli anziani, dei malati, al diritto al lavoro, al riposo, e così oltre. E’ un campo vasto e complesso che richiede interventi culturali e politici oltre che spirituali. E le nostre Chiese debbono percorrerlo, ararlo e seminarlo assieme, ma con una sapienza nuova, una forza nuova. E’ quel che ci auguriamo possa realizzarsi anche attraverso questo nostro incontro, consapevoli – per riprendere un’affermazione di Benedetto XVI – che “il matrimonio costituisce in se stesso un Vangelo, una Buona Notizia per il mondo di oggi, in particolare per il mondo scristianizzato”.