“Ero straniero e mi hai accolto. Il resto è retorica”. Intervista con RossoPorpora

di Giuseppe Rusconi

Monsignor Paglia, come è stato concretizzato nei lavori dell’Assemblea annuale (svoltasi tra il 15 e il 27 giugno 2018) il tema “Nasciamo uguali. E dopo? Una responsabilità globale”? Quali gli aspetti più trattati e quali quelli più delicati? C’è stato dibattito interno? Sono emersi aspetti controversi?

Il tema della Global Bioethics ha anzitutto offerto una prospettiva, che si è voluta anche precisare più approfonditamente per la delicatissima fase materno-infantile: la vita umana e le questioni etiche connesse possono essere comprese e affrontate solo esaminando con attenzione anche il contesto in cui si pongono, con tutte le sue articolazioni. Si nasce in un mondo, in una cultura, dentro una trama di relazioni che segnano in modo essenziale la realtà, e la dignità, di ogni individuo. Con uno slogan, potremmo dire che l’Assemblea di quest’anno ha ricollocato il tema della vita umana all’interno della cornice disegnata dall’enciclica Laudato Si di Papa Francesco.

La PAV è stata ‘rinnovata’: in che cosa consiste tale rinnovamento? Come si riflette sulla sua attività’? Si è concretizzato anche durante l’Assemblea?

La prospettiva cui ho appena fatto riferimento dice bene il rinnovamento che Papa Francesco ha chiesto all’Accademia. E nella stessa logica si pongono i diversi progetti aperti su cui l’Accademia sta lavorando: la robo-etica, il gene-editing, le neuroscienze, le intelligenze artificiali, le cure palliative. La “vita” non è una realtà astratta: la vita è l’intero genere umano composto da tutti gli uomini e le donne nella loro concretezza storica.

La PAV comprende tra i suoi membri anche non cattolici. Perché? Può ancora definirsi a giusta ragione Accademia ‘Pontificia’?

Essere cattolici significa avere a cuore il destino di tutti, nessuno escluso. Questo richiede di affrontare, essendo radicati nel Vangelo e nella tradizione ecclesiale, le grandi questioni della vita umana insieme a tutti gli uomini di buona volontà. A suo modo la Chiesa cattolica è responsabile di tutti gli uomini e, proprio perché il suo orizzonte è universale, la nostra Accademia ospita tra i suoi membri alcuni che in certo modo rappresentano i diversi “mondi” della famiglia umana. Ovviamente è saldo il pilastro della identità cattolica. Ed è Pontificia, anche perché per vocazione la Chiesa – e in particolare il Pontefice – è chiamata a “gettare ponti” con tutti. Non è a caso che in un mondo globalizzato il Papa sia il leader a cui tutti guardano. E lui, anche attraverso l’azione della Accademia, intende svolgere questa sua missione.

I temi ’nuovi’ della PAV: è giusta l’impressione che la difesa della vita nascente e quella della vita declinante non siano più “il” ma “uno dei temi” – neppure il più importante – dell’attività dell’Accademia?

No! Spesso i pregiudizi creano brutti scherzi. Per l’Accademia tutti i momenti della vita – nessuno escluso – sono importanti. E se proprio si deve fare una preferenza, l’attenzione deve essere più forte là dove la vita è più debole o ferita. E badi bene: se Lei vuole aiutare davvero la vita nascente e quella  declinante – non l’idea della vita, ma la vita vera – è molto più efficace difenderla sempre, accompagnarla sempre, promuoverla sempre. Ripeto, avendo maggior attenzione quando è più debole. Non possiamo dividere la vita che Dio vuole sia una e bella per tutti.

Difesa e promozione della vita umana: per la PAV ciò in che rapporti sta con la difesa e cura della vita della natura? Sono equivalenti?

Ovviamente non può esserci equivalenza. E tuttavia c’è una inscindibile relazione. Per questo non si può affrontare una questione senza assumere anche l’altra. Non a caso – se si legge la Genesi – scopriamo che il Creatore ha affidato all’alleanza dell’uomo e della donna la custodia del creato e la responsabilità della generazione e delle generazioni. E’ un messaggio che va riscoperto nella sua integralità.

Aborto, eutanasia: in questi casi si uccide consapevolmente. Che rapporto c’è con la cura della vita dei migranti? Che rapporto c’è (se c’è) tra l’uccisione di un bimbo in grembo e il naufragio di un barcone/traghetto di migranti?

La Chiesa non è una “accademia di teorie astratte”. La Chiesa (e quindi anche la Pontificia Accademia per la Vita, con la maiuscola) ha come suprema lex – così si legge nell’ultimo canone del Codice di Diritto canonico – la salus animarum. E, come una madre, la Chiesa non può sopportare che si faccia morire un bimbo mentre è ancora nel grembo della madre, e neppure che lo si lasci morire annegato nel mare perché nessuno lo accoglie o perché non si permette che si riunisca alla mamma; e non sopporta neppure che si muoia nelle guerre, come pure non sopporta che la vita sia soppressa con la pena di morte (nessuno mai ha potere sulla vita altrui!). La domanda che Dio rivolse a Caino: “Dov’è tuo fratello?” risuona forte in questo nostro tempo. La risposta decide della umanità o meno delle nostre società.

L’opinione pubblica italiana (e non solo) – in essa anche molti cattolici – sembra non seguire, sul tema dell’immigrazione, gli appelli all’accoglienza che vengono da una parte delle gerarchie ecclesiastiche. Eppure i critici non solo si dicono cristiani, ma sono spesso anche cattolici praticanti che nel loro agire si fondano ad esempio sul catechismo della Chiesa cattolica (vedi numero 2241, accoglienza nel limite del possibile: “Le nazioni più ricche sono tenute ad accogliere, nella misura del possibile, lo straniero alla ricerca della sicurezza e delle risorse necessarie alla vita, che non gli è possibile trovare nel proprio Paese di origine…). Quella dei molti cattolici critici dell’accoglienza come intesa da una parte delle gerarchie ecclesiastiche è una constatazione che, se rallegra noi e molti fedeli lettori di www.rossoporpora.org , preoccupa Lei. O no? Monsignor Paglia, che conseguenze ne trae?

Il Catechismo dice una cosa profondamente giusta e saggia. Il limite possibile è determinato da un lato da una precisa conoscenza della situazione (sono molte le indagini che mostrano un grave scollamento tra la percezione e la realtà del fenomeno migratorio in Italia e nel mondo) e dall’altro da una visione complessiva del mondo e delle relazioni che lo strutturano. Le radici cristiane dell’Europa, che giustamente vanno custodite, offrono esattamente tale visione fondata sulla centralità della vita umana e sulla prossimità fra le persone, con un’attenzione peculiare a chi è più povero. E comunque non basta essere o dichiararsi cristiani praticanti per essere davvero discepoli del Vangelo. E, in questi tempi difficili, i cristiani debbono offrire una testimonianza di grandezza nell’amore. Diceva monsignor Romero che il Vaticano II chiede a tutti i cristiani di oggi di essere martiri, ossia di “dare la vita per gli altri”, ad alcuni fino al sangue, a tutti comunque. Oggi ai cristiani più che essere “praticanti” è chiesto di essere martiri, appunto di “dare la propria vita per salvare quella degli altri”. Per questo Gesù non disse: “Entra perché sei stato praticante”, ma “Entra perché ero straniero e mi hai accolto”. Il resto è retorica, è politichetta, è interesse particolare. Noi, nel mondo, siamo tutti fratelli. Questa è la base. Di qui si parte per discutere.

Lei ha più volte evidenziato che “Quando uno non è guaribile, non è mai comunque incurabile”. Ci spiega che significa concretamente con qualche esempio?

E’ la continuazione della risposta precedente. Nessuno va mai abbandonato, anche quando la medicina non può più guarire. Sempre però bisogna prendersi cura, ossia dare la propria vita, il proprio tempo, le proprie risorse per stare accanto a chi vive momenti così difficili. In questa prospettiva le cure palliative sono oggi la più scientifica e al contempo umana attenzione alla vita di chi sta concludendo la sua stagione terrena.

Il caso emblematico di Alfie Evans. Per Lei è stato un omicidio?

La domanda la rivolgo io a Lei. E Lei che ne pensa? Ha visto tutte le carte per dare un giudizio così grave? Per parte mia non posso dare questo giudizio non avendo potuto vedere tutti i documenti necessari. Senza la visione delle carte si fanno discussioni sulle idee e non sulle persone, con un grave rischio di deriva ideologica. Per parte mia ho insistito che non si rompesse il circolo di amore tra medici, genitori, infermieri e amici. Il ricorso ai tribunali non è mai un progresso. Come non è mai un progresso tagliare il rapporto con i genitori. In casi come questi è decisivo evitare in ogni modo la rottura del circolo terapeutico. Ho ritenuto importante riferirsi anche alle affermazioni dei vescovi inglesi,che sono state di grande sapienza.

Irlanda e voto sull’aborto: un risultato atteso? Perché’ Poteva la Chiesa irlandese fare qualcosa di più nella campagna referendaria?

L’esito del voto irlandese si iscrive in un più vasto e ormai sedimentato movimento culturale occidentale. Purtroppo ha pesato anche la drammatica storia della pedofilia che ha lacerato la Chiesa al suo interno e creato abissi con la società. Mi permetto di dirLe che sono stato io – ero allora Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia – a proporre al Papa di tenere l’Incontro Mondiale delle Famiglie a Dublino, proprio perché volevo che la presenza del Papa aiutasse la Chiesa di quella terra a riscoprire la forza della testimonianza evangelica. Un Papa mancava dall’Irlanda dal 1979. E sono certo che Papa Francesco saprà confortare ed esortare.

Argentina e primo voto sull’introduzione dell’aborto legale. Voto della Camera di strettissima misura. Secondo Lei è probabile ci sono state pressioni di organismi finanziari internazionali?

Non ho notizie specifiche per rispondere in modo pertinente alla sua domanda. Sono però intervenuto pubblicamente sia prima che dopo il voto. Ho detto: “Come si fa ad essere lieti per una legge che accompagna il lavoro sporco della morte?” E, se è vero quel che Lei dice, si tratta di una violenza insopportabile. E purtroppo ci sono visioni socio-economiche che sviliscono la dignità delle persone, fino a reputare la vita di alcuni inutile, improduttiva. È la cultura dello scarto di cui parla spesso il Papa, che dobbiamo contrastare fortemente. In ogni caso, noi cristiani siamo chiamati a lavorare sempre per la vita. Ogni aborto è anche una tragedia per le mamme. Per questo si deve state vicino a queste donne, cercare di aiutarle, senza mai abbandonarle, sostenendole in ogni modo.

Famiglia: una sola, tra uomo e donna. Il Papa l’ha ribadito e dunque il discorso dovrebbe essere chiuso. Nella Chiesa emergono però sempre più anche voci diverse, anche ad alto livello, da cui consegue una confusione non da poco in molti fedeli… Da presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Famiglia – che ha indicato anche Dublino come sede del prossimo Incontro mondiale delle famiglie – come considera tale situazione?

Che la famiglia sia una, quella di un uomo e una donna che si uniscono per formare una famiglia era ed è sempre stato l’insegnamento della Chiesa. L’Esortazione Amoris Laetitia – frutto di due assemblee sinodali – vuole promuovere questo ideale che non ha messo in discussione. Il punto cardine attorno a cui ruota l’Esortazione Apostolica è come aiutare le famiglie – anche quelle ferite, anche quelle anche solo abbozzate – a intraprendere un cammino perché giungano sino all’ideale proposto. Papa Francesco è talmente convinto dell’ importanza cruciale delle famiglie per la vita della Chiesa e per la vita del mondo, che esorta tutti ad aiutare tutte le famiglie, anche quelle più problematiche, a crescere. Ed è ovvio che il matrimonio e la famiglia che ne consegue è quella descritta sin dalla Genesi. D’altra parte rimane la domanda su come accompagnare e prendersi cura anche delle persone per cui non è possibile stabilire i legami che sono propri di una famiglia così intesa, ma non per questo privi di una loro rilevanza sociale. Su questo c’è molto da lavorare, perché le riflessioni sagge e rispettose della realtà chiedono intelligenza, disciplina e passione. La neonata Cattedra Gaudium et Spes, sorta presso l’Istituto Giovanni Paolo II, credo possa essere un buon esempio di questo servizio caritatevole alla verità offerto al popolo di Dio.

(da ROSSOPORPORA)