Corpus Domini

Corpus Domini

 


Corpus Domini,


 


ogni anno ripetiamo questa processione che ci porta ad uscire di casa per accompagnare Gesù Eucaristico che traversa le strade della nostra città. Mi tornano in mente le folle del Vangelo che seguivano Gesù mentre traversava le strade delle città del suo tempo. Dovunque andava creava sempre attorno a sé un clima nuovo, un clima di speranza, un clima di attesa per un futuro migliore. E accorrevano in tanti: erano malati e peccatori, bambini e giovani, donne e uomini, tutti accomunati dal bisogno di aiuto, di conforto, di speranza. Certo, non mancavano coloro che, infastiditi per questo accorrere di gente, lo criticavano perché disturbava abitudini, anche religiose, ben salde. Gesù era venuto per aiutare e per guarire, per raccogliere e per dare speranza. E non fu facile. Mi commuovo ogni volta che leggo queste parole di lamento sulla città santa: “Gerusalemme, Gerusalemme…quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!”(Mt 23, 37). Gesù amava Gerusalemme. L’intera sua vita è un viaggio dal suo villaggio verso Gerusalemme. E quando i discepoli cercarono di dissuaderlo perché Erode lo minacciava, rispose: “E’ necessario che io vada per la mia strada… perché non è buono che un profeta muoia fuori da Gerusalemme”(Lc 13, 32-33).


Questa sera noi stiamo seguendo Gesù eucaristico per le nostre strade, come allora lo seguivano gli ebrei. Gesù ama Terni, ama le altre città di questa nostra terra. E continua a tornare per offrire speranza. Torna perché nessuno più sia solo come la povera vedova di Nain a cui risuscitò l’unico figlio morto; torna perché nessuno sia più allontanato dalla città come quei lebbrosi; torna perché nessun bambino sia abbandonato come quei piccoli che voleva attorno a sé; torna perché nessun giovane sia tormentato come quel giovane epilettico sbattuto per terra. Gesù torna perché anche la nostra città sia una città di pace, di giustizia e di amore. Lui è la pietra angolare che sta alla radice di ogni convivenza umana; la pietra angolare della Gerusalemme del cielo, archetipo della città. Ebbene, care sorelle e cari fratelli, ogni domenica, nell’Eucarestia che celebriamo, ci viene donata dal cielo la città santa. Nell’Eucarestia non c’è solo Gesù, ma l’intero suo corpo. Nella prima lettera pastorale che vi ho indirizzato, quella sulla Eucarestia, vi dicevo che la Messa è uno spicchio di paradiso che scende sulla terra. E’ la Gerusalemme celeste che ci viene donata. Ecco perché la Messa della domenica deve essere lieta, festosa, con i canti e nella pace, in chiese pulite e belle. Ecco perché non può essere un rito da ripetere stancamente, ma un festoso incontro con Gesù risorto e i suoi fratelli. Sì, la domenica è la Gerusalemme celeste che inizia sulla terra.


E noi siamo costruiti assieme in un solo corpo dalla Eucarestia che celebriamo. Senza la Messa siamo come membra sparse e divise le une dalle altre; anzi spesso siamo ossa aride, prive di amore e di pace. L’Eucarestia della domenica ci riunisce, ci lega gli uni gli altri sino a farci diventare il Corpo stesso di Cristo, come scrive l’apostolo Paolo: “Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo”(1Cor 10,17). E’ il miracolo che avviene ogni volta che celebriamo la Messa. Lo ricordavo nella prima Lettera Pastorale quando dicevo che l’Eucarestia è il cantiere ove si costruisce la comunità cristiana. E la comunità cristiana è una realtà di persone che si legano vicendevolmente l’una all’altra attraverso l’Eucarestia, attraverso il nutrimento dell’unico pane e dell’unico calice.


Questa fraternità dei cristiani che si costruisce ogni domenica a Messa,  è un tesoro prezioso che non può restare chiuso nelle proprie stanze. Gesù non ci raduna per farci restare chiusi nel cenacolo, come fecero i discepoli dopo la risurrezione. Gesù ha istituito la Chiesa per servire il mondo, per servire la città trasformandola dal profondo. Possiamo paragonare la Chiesa ad un lievito, santo e forte, che è destinato ad essere messo nella pasta della vita civile, nella pasta della città perché sia fermentata. Per questo i cristiani non possono restare chiusi nelle loro chiese, e tanto meno nelle loro sacrestie. Noi cristiani siamo chiamati a vivere per gli altri, per le nostre città. Siamo un lievito particolare, com’è particolare l’Eucarestia. L’Eucarestia ci trasforma il cuore legandoci tra noi, perché siamo capaci di fermentare d’amore la pasta della città. Sì, la comunità cristiana ogni domenica riceve una forza d’amore per entrare dentro la vita degli uomini e trasformarla, renderla migliore, più giusta, più umana, meno violenta. Purtroppo spesso accade che, finita la Messa, ognuno torna a casa propria a pensare alle sue cose, perdendo la forza di fermento. Così tradiamo l’Eucarestia e non serviamo la città.


Un antico Padre della Chiesa, Sant’Ignazio di Antiochia, consapevole di questo diceva che i cristiani sono coloro che “vivono secondo la domenica” (iuxta dominicum viventes). Cosa significa “vivere secondo la domenica”? Significa vivere come uomini e donne eucaristici, che sanno cioè essere fermento di amore e di convivenza tra gli uomini, fermento di solidarietà e di pace, di misericordia e di amicizia. I cristiani non si costruiscono una loro città. Essi vivono assieme agli altri, parlano la lingua degli, si vestono come gli altri, lavorano i lavori degli altri, ma in ogni luogo sono un lievito di amore. Sì, noi cristiani, care sorelle e cari fratelli, dobbiamo essere eucaristici, dobbiamo lasciarci trasformare il cuore dall’Eucarestia per divenire “pane spezzato” e “sangue versato”, come Gesù. Quante volte invece ostacoliamo l’amore e lasciamo vincere dall’egoismo e dalla pigrizia. L’Ostia santa ci ricorda di dare tutto noi stessi per gli altri, di non starcene da parte, ma di mischiarci nella vita della nostra città. Un mio amico vescovo, qualche anno fa, scriveva: “Rendere nuova la città può essere un programma dei cristiani: deve esserlo. Per questo, lavorare insieme, impegnarsi, ricercare, studiare: per questo la fatica di ogni giorno”. E aggiungeva che dobbiamo operare “perché le nostre città non vengano meno alla loro missione di abitazione dell’uomo e per l’uomo. Occorre dire che c’è una speranza anche per le città”. E’ l’Eucarestia a spingerci a non vivere per noi stessi ma per tutti. E’ in questo orizzonte d’amore che ci prepariamo a vivere, insieme a chiunque lo vorrà, un momento di riflessione comune per rendere ancora più bella questa nostra amata città.


Care sorelle e cari fratelli, ho intitolato la terza lettera pastorale “La via dell’amore”. Questa via inizia dalla domenica, parte dall’Eucarestia e si inoltra nelle strade della nostra vita, nelle strade della nostra città. Gesù questa sera ce ne da un esempio. Seguiamolo!