Coronavirus: «Anziani a casa, non è utopia»

di Luciano Moia
domenica 8 novembre 2020

Com’era facilmente prevedibile il dramma anziani sta riesplodendo con conseguenze devastanti e, ancora una volta, le Rsa sono al centro della bufera. Lei è più volte intervenuto per sollecitare il superamento del concetto di Rsa. A che punto siamo?

«Era più che prevedibile quanto sta accadendo. Già nella prima ondata abbiamo assistito al dramma della morte di centinaia di migliaia di anziani nei diversi Paesi del mondo. In quei mesi si è calcolato che – almeno nei paesi occidentali – il 50% dei decessi sia avvenuto nelle nursing home, nelle case di riposo, negli ospedali per lungodegenti, insomma nei luoghi della assistenza residenziale a lungo termine», risponde l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita che, dal mese scorso, presiede anche la Commissione istituita dal ministero della Sanità per la riforma dell’assistenza degli anziani.

Non possiamo però pensare che tutto questo sia avvenuto semplicemente per inadempienze. Per fortuna ci sono tanti dirigenti di Rsa che fanno bene il loro dovere.
Ovviamente vanno accertate le responsabilità di quanto è successo. Ma la tragedia di queste migliaia di morti ha svelato contraddizioni già esistenti nella società che hanno ragioni più profonde, che hanno a che fare con i diritti degli anziani, con la qualità dell’assistenza ed anche con la sua efficacia ed efficienza. È chiaro ormai che è il modello stesso di cura residenziale, in istituto, ad essere sbagliato e ad esporre gli anziani ad ogni genere di emergenza. Proprio questa consapevolezza ha convinto il ministro della Sanità a creare un’apposita Commissione con il compito di ripensare globalmente la cura che la società deve prendersi degli anziani sempre più numerosi. È stata una grande conquista l’allungamento degli anni di vita. Sarebbe una crudeltà doverli passare in un istituto nella solitudine e nell’abbandono!

Quali rimedi allora la Commissione si prefigge di elaborare e suggerire?
Il testo del decreto di istituzione della Commissione chiede di prospettare una “transizione dalla residenzialità a servizi erogati sul territorio”. Questo è il punto centrale. Deve insomma finire la latitanza dei servizi sanitari e sociosanitari sul territorio. C’è bisogno di ridisegnare una sanità vicina alla vita degli anziani, alle loro case, nei loro quartieri. Quindi presenza di medici di famiglia, di infermieri, di assistenti sociali, di fisioterapisti, di educatori di ogni ordine e grado. Va superato il modello sanitario ottocentesco, tutto basato sugli ospedali e sulle residenze, per realizzare quello chiamato il continuum assistenziale.


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Che tradotto significa?
Servizi erogati con diverse intensità in ogni ambiente a partire da quello domestico. Va messa in primo piano la scelta della assistenza domiciliare. Sarebbe bello se l’Italia, da fanalino di coda europeo in questo ambito, diventasse leader di questo ripensamento. E in questo contesto anche il privato avrà un grande ruolo: c’è bisogno di tutti per questo epocale passaggio dall’istituto, dalla Rsa a forme di assistenza a domicilio, a case famiglie, ad esperienze di cohousing e molto altro. Il punto è che chiunque prende in carico un anziano deve potergli offrire una gamma di servizi e la possibilità di entrarne e uscirne.

Come state affrontando la questione all’interno della Commissione da lei presieduta?
Nella riunione del 3 novembre scorso la Commissione ha già preparato un primo testo nel quale si delinea questo nuovo paradigma di assistenza sanitaria e sociosanitaria dedicata alla popolazione anziana. E come si può intuire la preoccupazione centrale è quella di dare un robusto avvio alla assistenza domiciliare. La Commissione ha ascoltato alcune realtà che operano sul territorio con gli anziani (dalla Federanziani ad Auser, dall’Ada ad Anteas, da a W gli anziani…) e siamo rimasti sorpresi dalla unanime affermazione di tutti: gli anziani vogliono rimanere a casa! Aveva ragione Andrea Camilleri: la casa per gli anziani è la loro memoria; sradicarli per metterli nell’istituto è come togliere loro la memoria. Più volte anche papa Francesco ha parlato della necessità che gli anziani restino nella loro casa, tra i loro cari, tra i loro conoscenti, nel loro ambiente. Non vanno trattati come scarti.

E quando questo non è possibile? Esistono tante situazioni concrete in cui gli anziani sono soli oppure non autosufficienti.
Il piano deve prevedere soluzioni alternative, ricoveri in Rsa o in altre strutture, ad esempio quelle riabilitative, di elevata qualità. Sempre avendo in mente che il ritorno a casa – se possibile – è l’obiettivo principe della nostra assistenza. Un altro aspetto importante, emerso dalle audizioni in modo unanime da parte di tutte le organizzazioni, è l’esperienza dolorosa dell’isolamento, della solitudine, che ha colpito tanti anziani nelle loro case ma ancor più negli istituti. Vede, la solitudine è triste per tutti, ma per un vecchio ha ripercussioni devastanti anche sul piano fisico e mentale. Non si può solo pensare ad arginare il Covid nelle Rsa, occorre garantire il diritto ad un minimo di rete familiare, amicale, affettiva. È importante curare la socialità, anche come forma di prevenzione per tante patologie: per questo la Commissione lavorerà anche sulla regolamentazione ed incentivazione del co-housing da un lato e sulla promozione e moltiplicazione di centri diurni dall’altro, avendo in mente la situazione di tanti anziani con demenze e delle loro famiglie.

Tutto questo non rischia di rappresentare un “libro dei sogni” dai costi elevatissimi?
Al contrario, sono convinto che questa nuova sanità sul territorio aiuterà ad elevare la qualità delle cure ed anche a spendere meglio, e anche meno. Si favorirà per di più la crescita delle relazioni tra la gente. Intorno alla vita degli anziani, presso casa loro, nei loro quartieri, assieme ad una sanità più efficiente e più centrata sulla persona si umanizzeranno i nostri quartieri diffondendo servizi proattivi, dinamici, riqualificando l’habitat, certo per gli anziani ma poi per tutti. Faccio un solo esempio: quanti anziani non hanno l’ascensore nel loro palazzo e vivono in piani alti? Quale sarà il loro destino se non si migliorano le loro possibilità di muoversi? In questo orizzonte i credenti, le parrocchie hanno una grande responsabilità nel tessere i legami di amicizia e fraternità.

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