Cattolici e sciiti in dialogo sulle responsabilità dei credenti in un mondo plurale per la pace

Parlare della famiglia nel contesto delle “responsabilità dei credenti in un mondo globale e plurale” credo sia quanto mai opportuno. Anche nella famiglia, infatti, si gioca la grande sfida di questo inizio di millennio, ossia convivere in pace tra diversi. Cos’è infatti la famiglia se non il vivere insieme tra persone diverse? E se questo non accade emergono già in questo ambito quei conflitti che, in maniera ben più larga, ovviamente, affliggono i popoli e le nazioni. L’uomo e la dona che decidono di unirsi per la vita generando una famiglia, mostrano che la più radicale delle differenze, quella di genere, diviene luogo di comunione umanizzante e, per chi crede, segno dell’amore di Dio per il suo popolo, e frammento dell’esperienza ecclesiale.

Nel primo libro della Bibbia, la Genesi, al capitolo secondo, si narra che Dio, subito dopo aver creato l’uomo, disse: “Non è bene che sia solo, gli voglio fare uno che gli sia simile”(Gn 2, 18). E nel primo capitolo è scritto: “maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra”(Gn 1, 27-28). Nel disegno di Dio per l’intera umanità – già al momento della creazione – la famiglia resta la prima e fondamentale manifestazione della comunione, la prima cellula – se cosi possiamo dire – del “vivere insieme” tra diversi. E in effetti sappiamo bene quanto impegno richieda anche nella famiglia la convivenza pacifica. Non a caso le religioni, nonostante le diverse modalità di realizzazioni storiche, ritengono la famiglia un patrimonio originario del proprio bagaglio di fede.

Purtroppo nell’ultimo scorcio del Novecento – soprattutto nei paesi più industrializzati, ma non solo – si è attuata una frattura profonda rispetto al passato. Per la prima volta nella storia è stato messo in discussione quel trittico originario donato da Dio al mondo, ossia il matrimonio, la famiglia e la vita. Oggi è facile destrutturare questo trittico e ricomporlo a proprio piacimento: qualsiasi legame si chiama matrimonio, qualsiasi forma di stare assieme è famiglia e la vita può costruirsi persino in laboratorio. Quel che è stato pacifico per millenni, ora non lo è più. Non è questa la sede per percorrere quanto è avvenuto. Tra gli antesignani degli attacchi alla famiglia possiamo porre un piccolo volume intitolato La morte della famiglia scritto  da David Cooper, uno psichiatra sudafricano nel 1970. La tesi di fondo era chiara: la famiglia è la principale cinghia di trasmissione di un sistema sociale, il capitalismo, che porta alla distruzione dell’individuo. Questo piccolo libro ebbe una incredibile fortuna e si giunse sino al punto da ritenere la “morte della famiglia” una sorta di slogan comune. L’autore del volumetto, contrappone la famiglia all’individuo. Scrive ad esempi: “La famiglia nelle sue metamorfosi sociali rende anonimi gli individui che lavorano o vivono insieme in una qualsiasi struttura istituzionale”. E poco più avanti, riferendosi al compiuto educativo della famiglia, scrive: “Tirare su un bambino equivale in pratica a buttare giù una persona”. Insomma, a parere dell’autore: basta con la famiglia immagine della società globale. Un’affermazione analoga si applica al rapporto tra donna e famiglia: la famiglia per se stessa è la condizione della schiavitù femminile; per la liberazione della donna vanno modificate le idee convenzionali di coniugalità e maternità. Al testo di Cooper si può aggiungere quello di A. Mitscherlich, uno studioso di psicologia sociale, un volumetto degli anni Settanta dal titolo: Verso una società senza padre. L’autore sostiene che la società deve emanciparsi da gerarchie rigide e ingombranti per esaltare il soggetto e la sua autonoma libertà.

Tali auspici sembrano giunti a maturazione: in effetti, viviamo in una società composta di individui ove l’io prevale sul noi, l’individuo sulla società, mentre la solitudine guadagna sempre più terreno rispetto alla comunione, e i diritti dell’individuo prevalgono su quelli della famiglia. Il conflitto tra lo “spirito di famiglia” e i “diritti dell’individuo” sembra insanabile. La famiglia, in una sorta di ribaltamento culturale, non è più “cellula base della società” ma “cellula base dell’individuo”, mentre l’individuo è divenuto il nuovo padrone. Tutto ruota attorno a lui. Le famiglie si disgregano e il padre – per dirla con Lacan – è evaporato. In tale orizzonte culturale si afferma sempre più una concezione della vita labile e “movimentista”: tutto è “liquido”, afferma il sociologo Baumann. E’ saltata ogni pretesa del “per sempre”, anche nel matrimonio. Quando i giovani si sposano è ormai normale avere sempre il piano “B”, il divorzio. La paura del futuro, la crisi economica, aggravano e giustificano tale posizione. Insomma, per dirla con papa Francesco, è difficile prendersi cura per sempre gli uni degli altri. Siamo nel terreno del trionfo dell’individualismo!

La famiglia – così come è stata concepita per secoli – non trova più un orizzonte nel quale iscriversi ed essere quindi considerata nella sua effettiva forza e dignità. Rischia di scomparire quella che poteva chiamarsi una cultura della famiglia. Ovviamente, non si deve sottovalutare la conquista dei diritti individuali che in questi ultimi decenni è stata ottenuta, ma questo non dovrebbe avvenire a scapito della dignità dei diritti della famiglia e del suo ruolo nella società. Purtroppo stiamo assistendo – nell’ambito della società civile – alla perdita delle protezioni che la famiglia aveva nel passato, mentre – anche a livello legislativo – si è sempre più attenti a sostenere i diritti degli individui. E questo accade anche se è proprio la famiglia che, soprattutto in tempi di crisi come quello che stiamo vivendo, sostiene in maniera capillare il tessuto sociale ed economico. Della famiglia, più che il nucleo in quanto tale, interessa il singolo, mentre le sue altre “qualifiche” (marito-moglie, padre-madre, fratello-sorella, genitori-figli…) sembrano non riguardare la vita pubblica. Se pensiamo a quanto affermava Cicerone a proposito della famiglia: “principium urbis e quasi seminarium rei pubblicae”, vediamo sia grande la distanza rispetto alla considerazione che la cultura contemporanea ha di essa.

Di qui scaturisce il compito urgente di ridare dignità culturale alla famiglia, di riportarla nel cuore del dibattito sociale, di proporla al centro della vita politica e della stessa economia, come pure nella vita delle comunità cristiane. La preoccupazione predominante dell’io e della propria soddisfazione individuale sta, di fatto, tradendo la famiglia e quindi la stessa società. Si tratta di un tradimento teorico oltre che pratico. Anche perché la famiglia resta nei fatti la risorsa più importante della società. Nei sondaggi la famiglia resta comunque al primo posto come luogo di sicurezza, di rifugio, di sostegno per la propria vita. E resta l’obiettivo della vita da parte della maggioranza.

La famiglia pertanto non è un residuo del passato, non è una sopravvivenza di una realtà tramontata, non è un luogo che ostacola l’emancipazione degli individui, particolarmente della donna, per favorire magari una società più libera, più egualitaria, più felice. Al contrario – e sono molte le indagini che lo dimostrano nei fatti – la famiglia resta la risorsa più preziosa della società, il luogo ove si apprende la decisività del noi per l’edificazione e il sostegno di una società più giusta e più solidale. E non si può dimenticare che la famiglia resta il luogo ove i più deboli possono essere più facilmente aiutati: penso ai bambini, agli anziani, ai malati, ai soli. Per quest’ultimi la famiglia resta l’ambito ove possono trovare protezione. Restano vere queste parole di Benedetto XVI nel messaggio per la giornata mondiale della Pace del 1 gennaio del 2006: “A ragione la famiglia è qualificata come la prima società naturale, «un’istituzione divina che sta a fondamento della vita delle persone, come prototipo di ogni ordinamento sociale». E aggiunge: “In effetti, in una sana vita familiare si fa esperienza di alcune componenti fondamentali della pace: la giustizia e l’amore tra fratelli e sorelle, la funzione dell’autorità espressa dai genitori, il servizio amorevole ai membri più deboli perché piccoli o malati o anziani, l’aiuto vicendevole nelle necessità della vita, la disponibilità ad accogliere l’altro e, se necessario, a perdonarlo. Per questo la famiglia è la prima e insostituibile educatrice alla pace. Non meraviglia quindi che la violenza, se perpetrata in famiglia, sia percepita come particolarmente intollerabile. Pertanto, quando si afferma che la famiglia è «la prima e vitale cellula della società», si dice qualcosa di essenziale. La famiglia è fondamento della società anche per questo: perché permette di fare determinanti esperienze di pace”.

Queste parole ci spingono a promuovere tra i credenti delle diverse religioni e gli uomini di buona volontà una convergenza di attenzione per riportare la famiglia al centro dell’attenzione della società, sia civile che politica. In tutte le religioni è depositata la convinzione della centralità della famiglia per la vita sia delle persone che della società oltre che per le stesse comunità dei credenti. E in tutte le religioni la tensione verso il noi, ossia alla comunione tra gli uomini, resta una dimensione fondamentale. Per i cristiani – come per gli ebrei e i musulmani – resta un punto di riferimento saldo la narrazione biblica della creazione, sulla quale si è sviluppato un ricco bagaglio umanistico. L’affermazione fatta da Dio stesso, ossia “Non è bene che l’uomo sia solo” è la pietra che sta a fondamento inamovibile del disegno di Dio sull’umanità. L’affermazione biblica oggi si trova ad essere all’esatto opposto di quanto afferma la cultura dominante contemporanea che pone l’io, l’individuo, al di sopra del noi. Un noto sociologo italiano. Giuseppe De Rita, parla a ragione di “egolatria”, ossia di un nuovo culto, quello dell’io. Al contrario, nel profondo delle religioni c’è una tensione alla comunità, al noi, particolarmente radicata. Potremmo dire che la tensione al noi è il filo rosso che regge la storia e la salva.

La famiglia – nella tradizione cristiana – si iscrive all’interno di questo grande disegno di amore e di comunione di Dio sul mondo. E’ la visione che le Sante Scritture ci manifestano e che il Concilio Vaticano II ha riproposto con forza all’attenzione dei credenti e di tutti gli uomini. La Bibbia apre la storia umana con la famiglia dei progenitori, Adamo ed Eva e i loro figli, e fa terminare la vicenda umana – lo hanno indicato prima i profeti e manifestato l’Apocalisse – con la famiglia dei popoli radunata attorno all’unico Padre nella celeste Gerusalemme. E’ in questa storia di comunione che si iscrive in maniera originalissima il matrimonio e la famiglia cristiana. Nella Chiesa cattolica, la famiglia viene elevata a Sacramento perché sia iscritta in maniera più robusta nel primato del noi, ossia nella realizzazione del grande disegno di Dio sul mondo. Così arricchita e irrobustita la famiglia cristiana non solo è aiutata a non chiudersi in se stessa – come il ricorrente virus individualista spinge a fare – ma è esortata e sostenuta nell’allargamento degli orizzonti per partecipare, come famiglia, alla missione stessa della Chiesa “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità della famiglia umana”. E’ la grande sfida che papa Francesco ha raccolto con l’indizione di due Sinodi proprio su questo tema.