“Bergoglio come Wojtyla nella pastorale dei migranti”

di GIACOMO GALEAZZI

La “pastorale dei migranti” di Francesco sulle orme di San Giovanni Paolo II. Come l’esortazione apostolica Amoris laetitia risulta in perfetta continuità con la sollecitudine per le situazioni familiari canonicamente irregolari e le aperture verso i divorziati risposati dell’allora arcivescovo di Monaco e Frisinga, Joseph Ratzinger, così affonda le proprie radici nel pontificato di Karol Wojtyla l’attenzione di Jorge Mario Bergoglio per le condizioni storiche all’origine delle migrazioni.

«La predicazione di Francesco sui migranti è strettamente collegata a quella dei suoi predecessori e del Concilio Vaticano II in quanto si collega indiscutibilmente alla sensibilità evangelica per i temi sociali», afferma a Vatican Insider, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita. «Ricordiamo tutti la foto di Giovanni Paolo II a Gorée sull’isolotto senegalese dove si trova la Casa degli schiavi. Di fronte all’oceano disse: “Quest’isola rimane nella memoria e nel cuore di tutta la diaspora nera, occorre che si confessi in tutta verità e umiltà questo peccato dell’uomo contro l’uomo, questo peccato dell’uomo contro Dio e da questo santuario africano del dolore nero imploriamo il perdono del cielo”. Ciò dimostra la determinazione di Giovanni Paolo II contro le forme di moderne schiavitù che aveva compreso in maniera assolutamente chiara».

Nel 1992, infatti, durante l’ottavo dei suoi 14 viaggi africani, Karol Wojtyla si recò a Gorée, luogo carico di secolari sofferenze e spietati retaggi coloniali, delimitato da forti militari ed enormi boabab, dove per gli scenari suggestivi fu girato il film “I cannoni di Navarrone”. Stanze buie e rocce per ammassare uomini, donne e bambini, portati qui dai mercanti schiavisti da ogni terra e da ogni foresta africana, in attesa di essere caricati sulle navi per attraversare l’ oceano. «Al primo piano si aprono ancora le sale dove i padroni negrieri vivevano nel lusso e nei piaceri, senza curarsi di ciò che accadeva sotto di loro – raccontò Domenico Del Rio -. C’è una porta, che dà sull’oceano, a livello dell’acqua, sulla cui soglia di basalto ora batte lentamente l’onda, ma che allora immetteva su un ponte di legno che portava alle stive delle navi ferme al largo. Il grido dei secoli Da quella porta e su quel ponte venivano incamminati gli schiavi. Era l’addio all’Africa. Chi avesse voluto scappare, gettandosi in acqua, non avrebbe avuto scampo: questo tratto di mare brulicava di pescecani. Quanti milioni di africani in catene siano passati da quel varco nero senza ritorno, nessuno lo sa con precisione».

Dall’isolotto-simbolo in cui gli africani in catene venivano caricati sulle navi per un viaggio senza ritorno verso il nuovo mondo, Giovanni Paolo II fece mea culpa davanti a Dio e agli uomini per i cristiani che, nei secoli passati, si sono macchiati del «crimine enorme» della tratta dei neri. E a compiere tale ignominia furono i cristiani, cioè uomini che dicevano di avere fede in Cristo. «Sono venuto qui per rendere omaggio a tutte queste vittime, vittime senza nome», affermò Karol Wojtyla, in piedi, nella polvere del cortiletto della Casa degli schiavi. «È l’ingiustizia, è il dramma, di una società che si diceva e che si dice cristiana». È la stessa ingiustizia che nel Novecento «ha ricreato la medesima situazione di schiavi anonimi nei campi di concentramento: la nostra è una civiltà piena di debolezze, piena di peccati». Anche nel ventesimo secolo «si depreda il mondo del poveri» e ci sono «nuove forme di schiavitù», come «la prostituzione organizzata, che sfrutta vergognosamente la povertà delle popolazioni del Terzo Mondo».

Il Papa polacco si fermò a guardare l’oceano, in silenzio, per sette minuti. Racconterà poi di aver sentito «il grido dei secoli, il grido di generazioni di neri fatti schiavi». Con la sua sensibilità di antropologo-filosofo avvertì «il simbolo dell’orribile aberrazione di coloro che hanno ridotto in schiavitù i fratelli e le sorelle», «teatro di una eterna lotta tra la luce e le tenebre, tra il bene e il male, tra la grazia e il peccato». E commentò: «Uomini, donne e bambini sono stati condotti in questo piccolo luogo, strappati dalla loro terra, separati dai loro congiunti, per esservi venduti come mercanzia. Essi venivano da tutti i Paesi e, in catene, partivano verso altri cieli, conservando come ultima immagine dell’Africa natia la massa della roccia basaltica di Gorée. Si può dire che quest’isola rimane nella memoria e nel cuore di tutta la diaspora nera».

Aggiunse Wojtyla: «Quegli uomini, quelle donne, quei bambini sono stati vittime di un vergognoso commercio, cui hanno preso parte persone battezzate, ma che non hanno vissuto la loro fede. Occorre che si confessi in tutta verità e umiltà questo peccato dell’ uomo contro l’uomo, questo peccato dell’uomo contro Dio. Da questo santuario africano del dolore nero, imploriamo il perdono del Cielo».

Nessuna «monotematicità» o «discontinuità», quindi, nel magistero sociale ed economico di Papa Francesco rispetto a chi lo ha preceduto sul Soglio di Pietro. Spiega l’arcivescovo Paglia: «Tutto il Concilio Vaticano II e in particolare la costituzione pastorale Gaudium et Spes hanno al centro la preoccupazione di restituire ai poveri il primato nella vita pastorale della Chiesa e una conferma di ciò la troviamo nella scelta prioritaria per i poveri manifestata dall’intero episcopato latino-americano».

Monsignor Paglia ricorda «le espressioni sconvolte e addolorate di Giovanni Paolo II al ritorno dal suo primo viaggio in Brasile per la povertà che aveva toccato con mano nelle megalopoli brasiliane». Il presidente della Pontificia Accademia per la Vita, oltreché all’ispirazione evangelica, all’intera dottrina conciliare e alle successive encicliche papali, fa riferimento anche alla «giustizia universale che anima molte pagine dei Padri della Chiesa, a partire da chi diceva che “mio” e “tuo” sono parole diaboliche» e che la proprietà della terra è “innanzi tutto di Dio” e non di qualcuno». Una sensibilità di cui è «tradizionalmente imbevuta la sapienza del magistero papale».

«In una cronaca medievale – aggiunge monsignor Paglia – al viandante che entrando in una città domandava dove fosse la casa del vescovo veniva risposto di seguire la fila dei poveri e sarebbe arrivato all’episcopio», quindi «in tutta la storia dell’Occidente ogni volta che la Chiesa si è allontanata dai poveri si è indebolita nella sua testimonianza e tutte le volte che la Chiesa ha voluto ri-formarsi è sempre ripartita dai poveri».

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