Ascensione del Signore

Dal vangelo di Matteo 28,16-20

Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.

“Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?”. La domanda dei due uomini in bianche vesti sorprende gli apostoli oppressi da un senso di vuoto, sospesi tra nostalgia del passato e sconforto del presente. Non è più a Gesù che essi pensano, mentre sono presi dal senso di loro stessi e della propria solitudine.

Il loro cielo è veramente vuoto perché essi contemplano il proprio abbandono senza attendersi nessun conforto. Il cielo che gli apostoli guardano non è quello della Scrittura, ma il proprio futuro privo di speranza. Un cielo chiuso e perciò inevitabilmente vuoto: da esso non proviene la voce di Dio, non vi si vedono né gli angeli salire e scendere, né il figlio dell’Uomo. Eppure i discepoli insistono nel fissare questo cielo. È così anche per noi quando guardiamo il cielo già sapendo che cosa può venirne o quando lo consideriamo solo negativamente come astrazione e fuga dalla concretezza dell’immediato quotidiano. Ma la voce che svela l’inutilità di questo modo di guardare il cielo, è voce di angeli. È la Parola di Dio infatti che ci distoglie da un modo falsamente religioso di guardare il cielo.
La Parola di Dio ci distoglie dall’attenzione a noi stessi e dalle proiezioni che facciamo di noi stessi, talora innalzati fino al cielo. La Parola di Dio ci invita a guardare Gesù, non il vuoto del nostro cielo. Il cielo di Gesù non è chiuso. La festa dell’Ascensione ci dice che il cielo non è più vuoto, anzi è divenuto il luogo da cui dobbiamo aspettarci il ritorno di Gesù: “verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”. Sperare vuol dire credere che egli si è certamente “sottratto ai loro occhi” ma che è vivo e tornerà. Se Gesù non è più in mezzo a noi non è perché si è dissolto; al contrario, la sua presenza si è diffusa: egli sta con noi e anche con il mondo intero. È questo il senso del mistero dell’ascensione. Gesù, pertanto, più che allontanarsi dal mondo, si è sottratto a un modo limitato di essere tra gli uomini. Si è sottratto al nostro possesso, al nostro cielo ristretto. Per questo, il cielo – quello nostro non quello di Dio – ci appare vuoto e non riusciamo più a vederlo. Si possono alzare gli occhi come gli apostoli senza vedere nulla, perché si vede soltanto quel che si vuole vedere: tante conferme ai sentimenti tristi che sono dentro il cuore di ognuno.
Il messaggio dell’ascensione è un altro. L’angelo ci invita a seguire Gesù che si rende presente in tutto il mondo o, se si vuole, a renderlo presente in ogni parte della terra. È la prospettiva missionaria che deve coinvolgere il cuore di ogni discepolo di Gesù. Il cielo che dobbiamo guardare è quello dell’intera umanità. Il Signore ci invita ad “ascendere” sino agli estremi confini della terra. E lui sarà sempre accanto a noi. È indispensabile lasciare il proprio piccolo cielo e accogliere la dimensione universale propria del Vangelo. Per troppi uomini e per troppe donne il cielo è chiuso anche per il peccato della indifferenza e della cattiveria che ci vede tutti complici. Sono le moltitudini a cui non compaiono uomini in bianche vesti per annunciare che Gesù tornerà un giorno. Noi non li vediamo, come non vediamo il Figlio dell’uomo asceso al cielo, ma essi ci sono. Sono coloro che vivono fuori del nostro paese, della nostra città, dei nostri Stati. Talvolta parlano la nostra lingua, tal-
altra il colore della loro pelle è diverso. Ma Gesù è asceso al cielo per loro, perché potessero far parte di quella famiglia di cui noi per grazia siamo partecipi. L’ascensione significa che non ci sono più tanti cieli, ma uno solo, quello di Dio, quello che deve radunare tutti i popoli nell’unica famiglia di Dio.