Arrigo Levi si definiva un non credente che ha fede nell’Uomo

«Sì, lunga e molto feconda, culturalmente e spiritualmente. Tutto risale alla fine degli anni ’80. Dopo gli incontri di Assisi con le preghiere della Pace, nacque la forte esigenza di un dialogo con il mondo laico. Eravamo sotto il Pontificato di Giovanni Paolo II, proprio nello snodo della caduta del Muro di Berlino…. Il dialogo era in qualche modo rimasto bloccato al confronto cristianesimo/comunismo. Il mondo “semplicemente” laico non rientrava in quello schema».

E cosa accadde allora?

«Che la Comunità di sant’Egidio si pose subito il problema, appunto, del confronto col mondo laico nella nuova situazione internazionale. Arrigo Levi fu tra i primissimi a comprendere l’importanza della novità ed entrò, con istintiva cordialità, in contatto con la Comunità. Il rapporto con Levi fu particolarmente significativo perché aveva un atteggiamento molto originale».

In che senso?

«A differenza, per esempio, di Giuliano Amato, Arrigo si definiva un non credente ma aggiungeva anche di avere fede nell’Uomo. Perché, questa era la tesi di Levi, c’è una fede in Dio ma c’è anche una fede nell’Uomo. Tante furono le sollecitazioni dopo questa sua affermazione che alla fine decise di scrivere il suo libro “Le due fedi”. Scrissi nella prefazione a quel volume: “Non credo di andare lontano dal vero se dico che esso nasce anzitutto da un inciampo – questa volta non del Papa con la Comunità, come Arrigo ama dire – ma da tuo inciampo con la Comunità, provocato da noi ; ne siamo lieti e, se mi è permesso, anche un po’ compiaciuti. Ma tu che certo non ti tiri indietro costringi anche noi, e ne siamo ugualmente lieti e compiaciuti, ad inciampare in queste tue riflessioni’. La sua prospettiva era insomma questa….»

Levi partecipava anche ai vostri incontri?

«Molto spesso e anche con piacere. Affermava di sentirsi “avvolto”da un clima per lui diverso. Raccontava di essere molto soddisfatto nel sentirsi membro di una comunità più vasta. A Levi piaceva immaginare una parità tra chi ha la fede in Dio e chi ha la fede nell’Uomo… Scrisse Levi a proposito del dialogo: “Si dialoga soprattutto perché si ha paura e speranza; si ha paura della solitudine e dell’impotenza di fronte alle incognite e minacce del nostro tempo, e il dialogo dà conforto e tiene viva la speranza”. Una posizione di estremo interesse che mantiene tutta la sua straordinaria attualità».

Lo sfondo internazionale era e resta complesso. Come ragionava su questo punto?

«Sapeva benissimo, come lo sappiamo ancora tutti, che dopo il crollo del Muro di Berlino erano scomparsi gli equilibri fondati sulla paura reciproca tra i due blocchi. Levi spesso paventava una possibile guerra atomica capace di distruggere il Pianeta. Per questo credeva fortemente nel dialogo tra i credenti e i non credenti, in sostanza con gli umanisti. Le parole che ci scambiavamo in quei dialoghi rappresentavano un tessuto per costruire un futuro. Lui amava ripetere: io non credo in Dio, ma so che la parola Dio ha cambiato l’uomo».

Un episodio tra i tanti?

«Nel 1999 quando accettò l’invito di partecipare all’incontro in san Giovanni in Laterano. Arrigo Levi era un uomo anche molto ironico e disse: credo di essere il primo ebreo, dopo san Pietro, a parlare in questo luogo. Poi fece un bellissimo discorso in cui sostenne che il monoteismo, prima ebraico e poi cristiano, era al fondamento della cultura occidentale così come la conosciamo. E, soprattutto, è ciò che ha permesso al pensiero occidentale di riscoprire la dignità della persona umana».

Corriere della Sera