Dove sono i cortei?

di Mauro Zucchelli

«Dalla “corona” mediterranea le tensioni internazionali risalgono la penisola balcanica e arrivano fino all’Est Europa con l’attuale situazione in Ucraina: non si pensi che il rischio di guerra sia limitato a una zona lontana e possa essere circoscritto dentro un perimetro».

Monsignor Vincenzo Paglia è nato poche ore prima che terminasse la seconda guerra mondiale: e adesso che a Firenze è iniziato l’incontro di pace, lui che è alla guida della Pontificia Accademia per la Vita lancia un appello: «Non scherziamo con il fuoco, non esiste incendio che non porti con sé il pericolo di propagarsi».

Ma lei vede in campo forze che puntano alla guerra o è un bluff tattico?
«Non credo che nessuno parta con la deliberata volontà di innescare una guerra. Questo però conta fino a un certo punto: può esserci la leggerezza o l’incidente, possono contagiarsi le tensioni o i soprassalti inconsulti. Alla fine ci si ritrova con la foresta incendiata e nessuno dice di averlo voluto ma è un deserto di cenere e morte».

Perdoni monsignore, ma lei è convinto che bastino incontri come quello di Firenze a spegnere l’incendio?
«Ma sono importanti perché creano un clima di dialogo. È importante che il papa abbia invitato tutti a digiunare per la pace il 2 marzo…».

Con un digiuno non si fermano i carriarmati…
«Però chiunque – io, lei o il suo vicino di casa – può compiere un gesto per riprendersi la parola. La pace e la guerra non lasciamoli nelle mani dei vertici degli stati. E poi una cosa mi meraviglia…».

Tradotto?
«Non vedo nessuna voglia di ribellarsi a questa deriva di guerra. “Fermatevi”: possibile che non ci sia una manifestazione di piazza per gridarlo? Avverto poco scandalo, poco sdegno».

Lei è uno dei principali riferimenti della Comunità di Sant’ Egidio che è stata la protagonista di una “diplomazia dei popoli” per costruire la pace dal basso.
«La pace è troppo importante perché se ne occupino solo i leader politici: nei miei 77 anni ho sempre visto la pace in Europa. La diamo per scontata? Errore: deve alzarsi la voce dei popoli. Ecco, lo sdegno e il rifiuto: qui e ora».

A dar retta a lei, cosa dovrebbe fare l’Europa?
«All’Europa chiedo più coraggio, più forza d’iniziativa, più proposte per impedire che si tramuti in conflitto aperto l’aria violenta che respiriamo».

Mi sembra che lei si tenga alla larga dal pesare torti e ragioni degli uni e degli altri.
«Un grammo di ragione ce l’hanno tutti, non esiste il male assoluto. Ricordo quand’ero ragazzo la crisi e la paura quando i sovietici volevano mettere i missili a Cuba: allora era in Occidente, adesso è dall’altra parte del campo. La soluzione? A ciascuno dev’ essere chiesto di rinunciare a qualcosa. Lo dico avendo ben presente che qui abbiamo un problema: riguarda le religioni…».

Finora le tensioni in Medio Oriente erano fra cristiani, ebrei e musulmani: qui sono interne al mondo cristiano, quello cattolico-protestante e quello ortodosso…
«A tutti i cristiani è richiesto un sovrappiù di consapevolezza e di capacità di inventare cammini di pace. Lo dico sapendo che negli ultimi anni abbiamo assistito a tensioni fra il Patriarcato di Mosca e quello di Istanbul, e si ripercuote sulla crisi in Ucraina. È indispensabile che tutte le confessioni cristiane tirino fuori un supplemento di fede, di preghiera. O si costruiscono ragioni di pace o c’è già un secondo focolaio che cova sotto la cenere. Ed è pronto a diventare incendio».

Dove?
«Nei Balcani».

I Balcani sono già stati incendio. E che incendio: Srebrenica, Sarajevo, Mostar, Vukovar ce li siamo dimenticati? La guerra nell’ex Jugoslavia è durata dieci anni con massacri e pulizie etniche: e mica negli anni ’40…
«In Bosnia si riaffacciano tensioni e strappi interni fra i differenti tasselli del puzzle: gli accordi Dayton avrebbero richiesto soluzioni politiche che tardano a venire. In Kosovo, altro nome che ci riporta alla mente tanti lutti, le difficoltà economiche rischiano di riaprire ferite fra il mondo albanese e quello serbo. Non basta: a un grado meno dirompente, metterei nel conto anche l’istanza indipendentista catalana in Spagna…».

C’è un minimo comun denominatore in tali tensioni?
«I confini. C’è da fare una scelta: smettiamola di pensare che i contrasti si possano risolvere con la guerra. Impariamo a farlo in altro modo: è possibile. Ecco dov’ è lo spazio per l’incontro di Firenze, in scia allo straordinario spirito profetico di Giorgio La Pira: serve l’incontro anziché lo scontro. E che ciascuno metta sul tavolo la disponibilità a rinunciare a un pezzetto di qualcosa».

(da Il Tirreno del 24 febbraio 2022)