XXIII Settimana del Tempo Ordinario – giovedì
In quel tempo, Gesù, quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa dicendo:
«Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi.
Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata».
Gesù, al vedere Gerusalemme, scoppiò a piangere. Era la città santa, mèta desiderata da ogni israelita, simbolo dell’unità del popolo, molto di più della semplice capitale di uno Stato. Gerusalemme, tuttavia, stava tradendo la sua vocazione di città della pace; l’ingiustizia e la violenza percorrevano le sue strade, i poveri erano dimenticati e i deboli oppressi, e soprattutto stava per respingere il principe della pace che veniva a visitarla. Non lo voleva neppure morto dentro le sue mura: “Venne tra la sua gente, ma i suoi non lo accolsero”. Alla vista della città Gesù pianse. Non piangeva su di sé, come in genere facciamo noi; egli piangeva sulla sua città e sulle tante città che ancora oggi rifiutano la pace e la giustizia. Gesù piange perché, se non si accoglie il Vangelo dell’amore, non rimarrà pietra su pietra delle città degli uomini. Per questo, nonostante il rifiuto, Gesù entra dentro la città, quasi a forzarne le mura. Egli sa – e la resurrezione ne è testimonianza – che l’amore è più forte di ogni violenza, anche dell’ultima violenza, che è la morte.