Una svolta storica per la famiglia

E ora la domanda che si fanno tutti è la stessa: concretamente cosa cambia? Che conseguenze avrà questa Esortazione nella vita delle nostre comunità?
«C’è un evidente cambio di passo e di stile che va a toccare la forma stessa della Chiesa. Sono parole, quelle di Francesco, che segnano un cambio di prospettive. Una svolta che non dobbiamo avere paura di definire storica».

L’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, ha seguito passo dopo passo da protagonista il percorso sinodale, è intervenuto in molte occasioni, ha orientato il dibattito rilasciando interviste e dichiarazioni ai media di tutto il mondo. Insomma, quasi inutile sottolinearlo, conosce a fondo gli argomenti dell’Esortazione e li ha visti nascere molto da “vicino”.

Eccellenza, perché dobbiamo considerare l’Amoris laetitia un passo decisivo della Chiesa nell’incontro con le famiglie?

La differenza fra l’atteggiamento notarile e la responsabilità morale nei confronti delle vicissitudini della famiglia, da parte della Chiesa stessa, è un punto d’onore iscritto nella sua stessa dottrina, non un adattamento imposto dalle trasformazioni mondane. Non solo. Nella logica che ispira la sintesi che il Papa offre della maturazione sinodale della coscienza ecclesiale. La stessa consacrazione del ministero ecclesiastico è per la vita di fede della famiglia, e non viceversa. La Chiesa, dunque, non potrà svolgere il compito che le è assegnato da Dio nei confronti della famiglia, se non coinvolgerà le famiglie in questo stesso compito, secondo lo stile di Dio. E pertanto, senza assumere essa stessa i tratti di una comunione famigliare.

Quali sono nel testo papale i passaggi concreti che evidenziano questa trasformazione?

I segni forti di questo raddrizzamento di rotta sono almeno due. Il matrimonio è indissolubile, ma il legame della Chiesa con i figli e le figlie di Dio lo è ancora di più: perché è come quello che Cristo ha stabilito con la Chiesa, piena di peccatori che sono stati amati quando ancora lo erano. E non sono abbandonati, neppure quando ci ricascano. Questo, come dice l’apostolo Paolo, è proprio un mistero grande, che va decisamente oltre ogni romantica metafora d un amore che rimane in vita soltanto nell’idillio di “due cuori e una capanna”.
Il secondo segno è la conseguente piena consegna al vescovo di questa responsabilità ecclesiale sapendo che il supremo principio è la salus animarum (un’affermazione solenne che chiude il Codice di Diritto Canonico, ma che spesso viene dimenticata). Il Vescovo è giudice in quanto pastore. E il pastore riconosce le sue pecore anche quando hanno smarrito la strada. Il suo scopo ultimo è sempre quello di riportarle a casa, dove può curarle e guarirle, mentre non lo può fare se le lascia dove sono abbandonandole al suo destino perché “se lo sono cercato”.

(da Avvenire)