Nuovi orizzonti antropologici e pastorale familiare

Relazione introduttiva all’Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per la famiglia (23 ottobre 2013)

Signori Cardinali,

Venerati confratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,

care sorelle e cari fratelli,

è con qualche emozione che apro questa XXIa Plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia; la prima per me. Grato per la vostra presenza mi auguro che in questi giorni possiamo vivere e gustare quello “spirito di famiglia” proprio della Chiesa e che qui deve possibilmente eccellere. Ce ne da l’esempio per primo Papa Francesco a cui va il nostro deferente saluto, anche come antico membro della Presidenza di questo Dicastero. Un grazie particolare glielo rivolgiamo per l’indizione di un Sinodo Straordinario dei Vescovi sulla Famiglia. E’ un chiaro segno del posto che il Papa intende dare al tema della famiglia nella Chiesa. Potremmo dire che è un grande atto d’amore per le famiglie cristiane e per quelle del mondo intero. E questa nostra Plenaria non può non tenerne conto.

Tanto più che non siamo qui per nostra scelta, ma perché chiamati dal Santo Padre per offrire un contributo su ciò che concerne la Famiglia e la Vita. In tal senso il nostro servizio è di natura prettamente ecclesiale, ossia un servizio alla Chiesa. E quello “spirito di famiglia”, ch’è proprio di essa, riveste per noi un significato particolare. Quanto scrive il Vangelo di Matteo: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”(18,20), vale anche per noi in questi giorni. C’è una grazia particolare del Signore quando ci raduniamo, quando siamo fisicamente gli uni accanto agli altri, quando discutiamo assieme, quando preghiamo insieme, quando trascorriamo ore del giorno assieme. E’ la grazia della “sinodalità”. Non mi dilungo su questo, ma è bene ricordare che stiamo qui per svolgere un’opera che richiede anzitutto l’ascolto dello Spirito e il discernimento della realtà per offrire al papa e alle Chiese il nostro contributo di sapienza.

Queste mie riflessioni vogliono essere un semplice aiuto per la nostra riflessione. Saranno scandite in tre tappe. Con la prima vorrei offrire uno sguardo generale sulla situazione della famiglia per immaginare un rinnovamento della pastorale familiare; con la seconda fermerei l’attenzione su due tempi più specifici, ossia la questione dei divorziati risposati e i procedimenti di nullità; mentre con la terza accennerei ad alcune linee di indirizzo del Dicastero. Ritengo indispensabili le vostre osservazioni mentre si avvia una nuova fase di vita del Dicastero, non tanto per la mia presenza, quanto per il nuovo pontificato di papa Francesco e, come ho accennato, per l’imminente Sinodo.

 I Parte

Per una rinnovata pastorale familiare

 La famiglia vive una situazione paradossale

La sta vivendo una situazione che potremmo dire paradossale: da un lato si attribuisce un grande valore ai legami familiari, sino a farne la chiave della felicità, dall’altro la famiglia è divenuta il crocevia di tutte le fragilità. Vediamo famiglie che si disperdono, si dividono, si ricompongono, tanto che è divenuto normale affermare che ci sono molte forme di famiglia. Si è convinti che gli individui possono “fare famiglia” nelle maniere più diverse: qualsiasi forma di “vivere insieme” può essere reclamata come famiglia, l’importante – si sottolinea – è l’amore. In tale orizzonte, la famiglia non è negata, ma viene posta accanto a nuove forme di vita e di esperienza relazionale che sono apparentemente compatibili con essa, anche se in verità la scardinano. E i dati già dimostrano l’affermarsi di una sorta di circuito disincentivante verso il fare famiglia.

 Processo di “individualizzazione” della società

Ci troviamo di fronte ad un mutamento antropologico che può condurre alla deflagrazione della famiglia. La sintesi di tale cambiamento si può leggere nell’affermazione sempre più forte dell’individualismo. Qualche studioso parla di una “seconda rivoluzione individualista”(Gilles Lipovetsky) nella quale anche le istituzioni vengono agli interessi individuali, alla affermazione dell’ “io” e al suo culto. In tale contesto, l’altro – anche il familiare – è sentito come un nemico di questo progetto, come un rivale, e non  invece come un compagno nel percorso di vita.

La società, in effetti, è sempre più un ammasso di individui, ove l’io prevale sul noi e l’individuo sulla società, i diritti dell’individuo su quelli della famiglia. Si preferisce la coabitazione al matrimonio, l’indipendenza individuale alla dipendenza reciproca. Un esempio tra i più drammatici di come una dissennata ricerca dei diritti individuali distrugge i diritti altrui è la pratica della “maternità surrogata”, ossia trovare donne che prestano a pagamento il proprio grembo per generare “figli” di altri. Questa pratica dell’utero in affitto in conto terzi, per il carattere mercantile che ha assunto e gli intrecci che consente nell’affidamento dei figli, testimonia la deriva drammatica di un individualismo esasperato, e per nulla frenato.

Si comprende bene perché in un contesto come questo, la famiglia così come è stata concepita per secoli, non trovi più un orizzonte nel quale iscriversi ed essere quindi non considerata nella sua effettiva forza e dignità. Ma con l’indebolimento della “cultura della famiglia”, si indebolisce anche quella della stessa società. Vediamo ovunque che non è lo “stare insieme” ma l’evitarsi e lo stare separati ad essere diventate le principali strategie per sopravvivere nelle megalopoli contemporanee. E’ una vera e propria crisi della socialità e delle tante forme comunitarie conosciute siano ad oggi, dagli storici partiti di massa alla comunità città, alla famiglia stessa intesa come dimensione associata di esistenza.

Verso una società de-familiarizzata?

Debbono far riflettere le riflessioni che alcuni studiosi ricavano dalle loro rilevazioni statistiche sull’andamento dei matrimoni e delle famiglie. I dati statistici fanno emergere la notevole crescita delle cosiddette famiglie “unipersonali”. Se, da una parte, c’è il crollo dei matrimoni e delle famiglie “normo-costituite”, ossia composte da padre-madre-figli, dall’altra crescono quelle formate da una sola persona, uni-personali (in Italia – per fare due soli esempi – quest’ultime sono passate da 5,2 milioni nel 2001 a  7,2 milioni tra il 2001 e il 2011, e in Francia i single rappresentano più del 28% dei nuclei familiari francesi). Insomma, la forte diminuzione dei matrimoni sia religiosi che civili non si è trasferita nella formazione di altre forme di convivenza, ma nella crescita di persone che scelgono di stare da sole. E questo perché qualsiasi legame che richiede all’individuo un qualche impegno, è insopportabile. E quindi da fuggire. La deriva è chiara: si va verso una società de-familiarizzata, fatta cioè di persone sole che si uniscono senza alcun impegno. E’ la contraddizione di fondo che oggi sembra schiacciare la società: mentre si cerca in ogni modo di fuggire la solitudine, di fatto è la conclusione ove porta una cultura individualista.

Solitudine delle famiglie e fragilità dei membri più deboli (bambini, anziani, malati)

E’ purtroppo una realtà generalizzata l’indebolimento e l’isolamento delle famiglie rispetto ad un orizzonte più ampio. Molte si sentono povere soprattutto di relazioni, sia fuori che al proprio interno. I genitori sono più disorientati che disimpegnati, in quanto non sentono la propria autorità riconosciuta dagli altri adulti e nelle relazioni con loro. L’inserimento delle famiglie in un insieme più ampio è comunque necessario anche per vivere i riti di passaggio nei momenti importanti della vita. In ogni caso, le famiglie soffrono ovunque della mancanza di coesione sociale. È venuta meno la famiglia allargata, con cugini, zii, nipoti, che in passato poteva essere pesante da sopportare, ma forniva anche un aiuto reciproco sia materiale che morale. Resistono ancora i nonni che, quando ci sono, danno stabilità. Le famiglie povere poi sono le più esposte all’assenza di un modello genitoriale, unita talvolta alla mancanza di un orizzonte culturale e alla difficoltà a proiettarsi nel futuro. Vivere con un solo genitore, costretto a stare tutto il giorno fuori casa per lavoro,  quando non ci sono i soldi per pagare qualcuno che se ne occupi, vuol dire lasciare  i figli nella solitudine e nell’abbandono. In tale contesto sono i più poveri ad essere i più aggrediti dalla società dei consumi, che sa essere molto violenta nella sua propaganda.

Fra i giovani degli ambienti popolari si riscontra una grande precarietà affettiva. Essi si scontrano con le difficoltà a inserirsi nella vita lavorativa e spesso non hanno nessuno a cui appoggiarsi e a cui chiedere consiglio. Questo lo si riscontra anche nelle famiglie con un solo genitore: in genere sono donne giovani che allevano da sole il proprio figlio o i propri figli. La società non le aiuta, ed esse non si sentono riconosciute e accettate dalla collettività. Sono la prova concreta di quanto la famiglia solida e duratura sia necessaria alla società.

Il problema dell’individualizzazione dei percorsi si estende anche alle separazioni nelle coppie anziane. Nemmeno invecchiare insieme è oggi automatico: la libertà individuale viene reclamata a tutte le età e il negoziato coniugale continua al di là dei 65 anni. L’idea di rinuncia o di sacrificio per gli altri appare incompatibile con la felicità del singolo.

Dal punto di vista educativo i genitori spesso non hanno fiducia in se stessi e non riescono a coordinarsi ragionevolmente con le altre istanze educative. Tipico è lo scollamento tra genitori e scuola, che spesso non riescono più a collaborare e che propongono modelli diversi. Non vi è più rispetto automatico per la parola dell’anziano e, visto che i rapporti familiari sono diventati rapporti puramente affettivi, i genitori non osano più dire «no» ai propri figli per timore di non essere più amati. È evidente che poi si fa fatica ad accettare a scuola il rispetto delle regole valide per tutti. Occorre imparare anche a dire «no» con saggezza, specialmente, ad esempio, nell’educazione affettiva e sessuale dei ragazzi.

Nonostante tali enormi difficoltà, le famiglie rimangono il luogo privilegiato di un’educazione al rispetto dell’altro e della costruzione del rispetto di sé in una logica di gruppo. L’altro non è un nemico, ma un alter ego, che ha diritto al suo posto nella famiglia. Non si deve inoltre dimenticare che se i genitori restano i primi educatori dei loro figli, la famiglia può essere anche un luogo di grande pericolo per un ragazzo. Lo dimostrano le innumerevoli violenze intra-familiari, i maltrattamenti dei bambini e gli incesti che fanno ancora parte della realtà di non poche famiglie.

La famiglia deve tornare  al centro della cultura, della politica, dell’economia

Un obiettivo chiaro che dovremmo aver presente e per cui impegnarci con urgenza è ridare dignità culturale alla famiglia nel contesto della società contemporanea. La famiglia va riportata nel cuore del dibattito, nel centro della visione della politica e della stessa economia, come pure della Chiesa. La decisione di Papa Francesco di tenere un Sinodo Straordinario sulla Famiglia va in questo senso. Ed è in effetti una saggia e opportuna scelta pastorale. Le altre istituzioni dovrebbero imitare tale scelta. Anche perché una società globalizzata come l’attuale potrà trovare un futuro di civiltà se e nella misura in cui sarà capace di promuovere una “cultura della famiglia” che ripensi questa istituzione come nesso vitale tra la felicità privata e la felicità pubblica. Altrimenti si affermerà sempre più la globalizzazione della solitudine e della indifferenza.

Dobbiamo affermare con coraggio che la famiglia non è morta. Nonostante il difficilissimo momento che essa sta traversando, resta nei fatti la risorsa più importante delle società contemporanee. Nessun’altra forma di vita può creare può creare quei beni relazionali che la famiglia realizza. Nessun altra forma relazionale ha le sue potenzialità associative. Il suo genoma non cessa di esistere perché rappresenta quanto di più umanizzante vi è nella società. Alcune ricerche promosse da questo Dicastero sulla famiglia come risorsa della società confermano saldamente questa convinzione: la famiglia è ancora oggi la risorsa più preziosa della società. E’ in essa che si apprende il noi dell’oggi e del futuro attraverso la generazione dei figli. Ci troviamo qui di fronte a un tema delicatissimo vista la crisi della natalità. Certamente è poco lungimirante la tendenza ad avere un solo figlio (se questo fenomeno crescerà, come purtroppo sembra accadere, che ne sarà tra qualche anno del termine “fratello”, “sorella”?). Ancor peggiore sarà la condizione di quella società che non genera figli. E pretendere poi il matrimonio solo perché c’è l’amore – è questo il motivo per sostenerlo anche tra persone dello stesso sesso -, significa non comprendere la differenza che c’è tra l’amore coniugale, che per sua natura è finalizzato alla generazione, anche solo simbolicamente, e le altre molteplici forme di amore-amicizia, ovviamente legittime che non rappresentano però la coppia maschio e femmina da cui sola viene il generare. Va spiegato che l’amore coniugale ha una sua propria dimensione che lo distingue dagli altri. Dire che tutti i legami basati sull’amore sono uguali non corrisponde a verità, perché non è solo la categoria affettiva e definire l’uguaglianza. Se si considerano uguali cose diverse solo per garantirne uguali dignità e uguali diritti, significa fondare sulla falsità un riconoscimento che è dovuto anche – e forse soprattutto – alla differenza.

Oggi, ci troviamo in un delicatissimo crinale storico: uno spartiacque antropologico. In estrema sintesi si potrebbe dire che da una parte vi è l’affermazione biblica “Non è bene che l’uomo sia solo” (da cui è originata la famiglia e la stessa società), e dall’altra il suo esatto opposto, ossia “è bene che l’individuo sia solo” (da cui deriva l’individualismo sociale e d economico). L’io, l’individuo, sciolto da qualsiasi vincolo, viene contrapposto al noi. E la famiglia, fondamento del disegno di Dio sull’umanità, è divenuta la pietra d’inciampo di un individualismo senza freno. Essa, tuttavia, nonostante gli attacchi, resta salda, per sua forza interna: non esistono sostituti o equivalenti funzionalità della famiglia. Ma tale ideale chiede stabilità: rifondare una “cultura della famiglia” è uno dei cardini di quel nuovo umanesimo di questo nuovo millennio.

Globalizzazione senza amore e indebolimento dei rapporti

Non c’è dubbio che nel profondo del cuore degli uomini e nelle donne di questa mostra società globalizzata sta crescendo una tristezza di fondo a motivo della mancanza di amore. La società ha globalizzato il mercato ma non l’amore; siamo diventati tutti più vicini, ma non più fratelli. E senza l’amore i legami inaridiscono, scompare la forza di sognare, il futuro diventa incerto e resta solo il presente dell’autoreferenzialità. Saltano così gli affetti, i legami e la responsabilità. Questa condizione non fa bene a nessuno. Anzi, si scavano abissi di dolore in coloro che si separano, come anche nei figli e nelle stesse società. Quando alcuni studiosi parlano di “società liquida” intendono fotografare una società segnata dalla incertezza strutturale dei rapporti: non ci si può fidare più di nessuno. E’ ovvio che se i rapporti stabili sono ritenuti impossibili, è inutile cercarli. Eppure, nel profondo dell’animo umano c’è un ineliminabile desiderio di stabilità. Ma non appena esce allo scoperto viene contrastato e ricacciato indietro. Tuttavia, la ricerca di legami affettivi forti, che durano nel tempo e capaci di aiutare nelle vicende difficili della vita, continua a essere un’aspirazione di tutti, consapevoli, magari senza volerlo ammettere, che l’utopia dell’essere umano dignitoso in quanto autonomo non è fondata sulla realtà della vita.

E’ necessario comprendere e far comprendere che quando la cultura contemporanea prospetta l’obiettivo dell’autonomia assoluta dell’individuo, inganna perché prospetta un obiettivo che è completamente irreale, e non prepara gli esseri umani ad affrontare le fatiche e i sacrifici che richiede un rapporto duraturo e vero fra esseri umani. E l’inganno avviene prospettando facili ideologie delle quali l’ultima, quella propagandata dalla rivoluzione sessuale, è senza dubbio la più perniciosa. Ovviamente non è in questione la bontà e l’opportunità della valorizzazione del soggetto e delle scelte consapevoli che è chiamato a fare. In quest’ultimo versante è stato quanto mai opportuno e lodevole il progresso di liberazione della soggettività. Ma la crisi umana in cui siamo immersi è grave e anche molto dolorosa. Chiunque guarda un po’ più in profondità la società nella quale vive si rende conto degli abissi di dolore e di solitudini. E gli “impazzimenti” che si riscontrano soprattutto nelle città non sono che la punta dell’iceberg di una patologia profonda.

La responsabilità di comunicare la buona notizia della famiglia

La Chiesa, in questo contesto, ha il dovere grave e urgente di comunicare quel “mistero grande” che è il matrimonio e la famiglia. La famiglia deve diventare parte della predicazione evangelica agli uomini e alle donne del nostro tempo. Non dobbiamo lasciarci intimorire dalle difficoltà e neppure da uno spirito di rassegnazione di fronte alle difficoltà che si abbattono sulla famiglia. Dobbiamo essere consapevoli del “tesoro” straordinario che il Signore ha dato alla Chiesa e che è stato arricchito nella lunga tradizione di santità. Tale tesoro sgorga direttamente dal “Noi” trinitario, dall’essenza stessa di Dio, che è amore, relazione e dono. Giovanni Paolo II scrive: “Dio è amore (1Gv 4,8) e vive in se stesso un mistero di comunione personale d’amore. Creandola a sua immagine e continuamente conservandola nell’essere, Dio iscrive nell’umanità dell’uomo e della donna la vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell’amore e della comunione (cfr Gaudium et Spes, 12). L’amore è pertanto la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano”(Familiaris consortio, 11). Nonostante tutti gli attacchi, il matrimonio e la famiglia sono “indistruttibili” perché radicati nella natura umana; sono “sacramento primordiale” nel piano della creazione e “sacramento di grazia” in quello della redenzione. Per questo non ci lasciamo prendere dai “profeti di sventura” circa il futuro della famiglia.

Il tesoro che abbiamo ricevuto non è una dottrina, ma una realtà. E’ la realtà, ovviamente, che rende salda la dottrina, non viceversa. E’ decisivo perciò che i cristiani, in particolare gli sposi e le famiglie cristiane, facciano risplendere questo tesoro riproponendolo come una realtà bella e appassionante. Benedetto XVI, aprendo il Sinodo dei Vescovi sulla “nuova evangelizzazione” affermava che “il matrimonio è chiamato ad essere non solo oggetto, ma soggetto della nuova evangelizzazione” E aggiungeva: “il matrimonio costituisce in se stesso un Vangelo, una Buona Notizia per il mondo di oggi, in particolare per il mondo scristianizzato”.

E’ parte integrante della nuova evangelizzazione riproporre, con i fatti e quindi anche con le parole, la buona notizia della famiglia. Il matrimonio e la famiglia – proprio a partire dalla realtà vissuta – debbono apparire come una “buona notizia” che i cristiani vivono e comunicano agli uomini e alle donne di questo tempo. Il momento è peraltro favorevole, non perché sia semplice comunicare tale buona notizia, ma perché è l’unica risposta davvero efficace al bisogno di amore che sale da ogni parte del mondo. Il nuovo contesto culturale e le numerose problematiche ancora irrisolte chiedono alla Chiesa il coraggio e l’audacia di riproporre il messaggio alto del matrimonio e della famiglia.

E dobbiamo riproporlo con la gioia nel volto. E’ meritatamente famosa questa pagina di Tertulliano: «Come sarò capace di esporre la felicità di quel matrimonio che la Chiesa unisce, l’offerta eucaristica conferma, la benedizione suggella, gli angeli annunciano e il Padre ratifica?… Quale giogo quello di due fedeli uniti in un’unica speranza, in un’unica osservanza, in un’unica servitù! Sono tutt’e due fratelli e tutt’e due servono insieme; non vi è nessuna divisione quanto allo spirito e quanto alla carne. Anzi sono veramente due in una sola carne e dove la carne è unica, unico è lo spirito» (Tertulliano «Ad uxorem», II; VIII, 6-8: CCL I, 393).

Ripensare la pastorale matrimoniale e familiare

E’ urgente ripensare la pastorale familiare per esprimerla con un linguaggio meno autoreferenziale e che parli di cose vere e soprattutto che sia in grado di rispondere alle richieste – talora davvero dolorose – dell’uomo globalizzato contemporaneo. E’ fondamentale per questo elaborare una nuova cultura del matrimonio e della famiglia, che mentre approfondisce la dimensione teologica, sa cogliere anche le novità della società di oggi (penso alla maggiore consapevolezza della dignità che l’uomo e la donna hanno della propria soggettività), senza condannarle, ma considerandole come la condizione di partenza alla quale rispondere liberando tutte le potenzialità positive che ci sono. Non dobbiamo dimenticare che lo Spirito del Signore non cessa di operare nella storia umana anche oltre i confini della comunità cristiana.

Va poi ricordato che procedere all’elaborazione di una nuova cultura della famiglia senza coinvolgere le donne è di fatto impossibile: le donne oggi non accettano più nulla di cui anch’esse non facciano parte, e parte costruttiva. Le donne, inoltre, sono proprio al centro di questa cultura della cura dell’altro che non può che essere considerata la base di ogni forma di legame familiare. Esse sono al centro perché sono loro le prime a praticarla, con i figli. E sono state anche le prime ad averla rifiutata in un malinteso senso di emancipazione. Senza un’attiva presenza femminile nell’elaborazione di una nuova pastorale familiare si farebbe un lavoro pressoché inutile. Oggi cresce il numero delle donne che se ne vanno, che disfano i legami familiari; anche se sono sempre loro a sostenere il peso del lavoro di cura per bambini, malati e anziani.

Il problema dell’identità di genere, di cosa significhi oggi essere un uomo ed essere una donna, deve quindi essere premesso a ogni discorso sulla famiglia, senza ricorrere al troppo facile discorso sulla complementarietà, che si rivela poi sempre, per le donne, l’assunzione di un peso maggiore di responsabilità e di lavoro. La distruzione della specificità sessuale, proposta dalla nuova cultura di genere, trionfante oggi in tutti i contesti internazionali, deve trovare risposte convincenti e non solo critiche difensive. Senza famiglia si fa impossibile la trasmissione culturale fra le generazioni, e quindi anche la trasmissione della fede: l’evangelizzazione non può radicarsi e fiorire che in un contesto in cui la famiglia sia vitale e vera.

Il lavoro di riflessione culturale sulla famiglia deve quindi coinvolgere anche i laici – oggi spaventati dalla crisi sia del matrimonio che della famiglia – oltre alle donne e ai giovani, che sono le prime vittime di questa crisi. Soprattutto nei contesti economicamente disagiati, la crisi della famiglia significa infatti  disgregazione della società,  fine di ogni tentativo educativo, perché la famiglia è l’unica istituzione che coinvolge, potenzialmente, proprio tutti e in tutte le età. E si deve essere consapevoli che sono stati proprio i laici cattolici a promuovere le iniziative più significative di pastorale familiare in questi ultimi tempi contemporanei, basti pensare ai vari tipi di movimenti ecclesiali con il primario scopo dell’aiuto alle famiglie. E’ un interrogativo che riguarda anche l’eventuale ristrutturazione del nostro Dicastero. Certamente si debbono investire molte più energie in questo campo, intervenendo con coraggio e ammettendo i non pochi errori compiuti e i ritardi accumulati.

Sulla linea tracciata già dalla Familiaris consortio e dai numerosi interventi del magistero papale e dei vescovi è particolarmente urgente iscrivere la pastorale familiare all’interno dei diversi orizzonti che la coinvolgono, da quello dei diritti della famiglia come tale a quello della intergenerazionalità, dai diritti dei bambini, degli anziani, dei malati al diritto al lavoro, al riposo, e così oltre. L’orizzonte che deve presiedere l’azione del nostro Dicastero deve allargarsi non poco. Le fide che si debbono affrontare in questo inizio di millennio sono molteplici e che richiedono una sapienza nuova.

II Parte

Verso una pastorale per le situazioni difficili

Permettetemi ora alcune brevissime riflessioni sulle famiglie che si trovano ad affrontare situazioni difficili. E’ urgente porsi il problema in maniera più attenta anche perché sono cresciute in numero e in complessità. Farò solo pochissimi cenni che affido alla vostra riflessione e all’eventuale dibattito. Già nella Familiaris consortio si scriveva: “Un impegno pastorale ancor più generoso, intelligente e prudente, sull’esempio del Buon Pastore, è richiesto nei confronti di quelle famiglie che – spesso indipendentemente dalla propria volontà o premute da altre esigenze di diversa natura – si trovano ad affrontare situazioni obiettivamente difficili”(77). Il testo specifica che per esse si richiede un’azione “non solo di assistenza, ma di un’azione più incisiva sulla pubblica opinione e soprattutto sulle strutture culturali, economiche e giuridiche, al fine di eliminare al massimo le cause profonde dei loro disagi”. Si tratta delle famiglie dei migranti o di quelle che versano in particolari condizioni di disagio – e qui le riflessioni da fare sarebbero molte – a cui si debbono aggiungere anche le situazioni familiari dei matrimoni misti, oppure quelle delle unioni libere di fatto e dei divorziati risposati. Per quel che riguarda queste ultime due situazioni – che Papa Francesco ha focalizzato nel viaggio di ritorno da Rio de Janeiro – è utile porre qualche riflessione.

Spunti per una rinnovata attenzione ai fedeli divorziati risposati

Non c’è dubbio che si richiede un rinnovamento nella pastorale verso i fedeli divorziati risposati da iscriversi nella più generale pastorale familiare. Questo comporta che i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i membri attivi delle parrocchie in particolare i catechisti e gli animatori dei ragazzi e dei giovani, come pure i movimenti familiari e, infine, la gente comune debbono essere aiutati a comprendere una prospettiva attenta sia alla verità che alla misericordia verso tali situazioni. Non si può essere indifferenti alla sofferenza di molti di loro, soprattutto se credenti. Tra di essi ci sono persone che subiscono ingiustizia e quindi sono quanto meno poco responsabili di ciò che accade. E comunque la loro sofferenza non può essere sottovalutata né liquidata con frasi spirituali troppo semplicistiche. Per le persone separate rimaste sole e per quelle entrate in una nuova unione, si dovrebbe agire sia sul piano psicologico sia su quello spirituale. E non vanno trattate in maniera massiva. Ciascun caso richiede un’attenzione specifica.

E’ importante anzitutto far sentire loro che sono nella Chiesa. Certo, alcuni testi magisteriali pongono un primo problema teorico. Ad esempio, il Catechismo della Chiesa Cattolica, dice: “In coniuge risposato si trova… in una condizione di adulterio pubblico e permanente” (CCC 2384) ed è tra coloro che non sono “ammessi alla sacra comunione” in quanto “ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto”(cfr. CDC can. 915). Lo stesso magistero avverte però di astenersi “dal giudicare l’intimo della coscienza, dove solo Dio vede e giudica” (DPF 215), e che, “nonostante la loro situazione, continuano ad appartenere alla Chiesa”(SC 29), che “sono e restano sue membra, perché hanno ricevuto il battesimo e conservano la fede cristiana” (Giovanni Paolo II, Discorso 24 gennaio 1997).

Come già rilevato, i fedeli divorziati risposati non possono accedere né alla Comunione eucaristica né alla Confessione. Va notato che nei testi non si dice che non possono accedere all’Eucarestia perché sono in peccato grave. Si afferma che “il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell’unione tra Cristo e la Chiesa che è significata e attuata nell’Eucarestia”(Sacramentum Caritatis 29,1). Si aggiunge poi il divieto di “esercitare certe responsabilità ecclesiali”(CCC 1650): il lettore e il ministro straordinario della Comunione, l’ufficio di catechista, di padrino o madrina, membri del Consiglio Pastorale. La ragione riportata si riferisce alla esemplarità che questi ruoli comportano e che non si accorda con la situazione oggettiva dei divorziati risposati. C’è chi pensa sia opportuno rivedere almeno queste ultime disposizioni canoniche.

Esclusa la via della Confessione e della Comunione, i testi magistrali suggeriscono alle persone divorziate risposate la pratica delle devozioni e le opere di carità (FC 84, RP 34, SC29, SPDR 6). In questo contesto c’è da porsi anzitutto una domanda: come, tali pratiche, effettuano la riconciliazione con Dio e quindi conducono alla salvezza? C’è una “via” extrasacramentale di salvezza che permette a questi fedeli di ottenere il dono e la grazia della riconciliazione con Dio che ha infinite possibilità di salvare? La FC 84 suggerisce di esercitare tali pratiche “per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio”. Non mi dilungo su questo, ma è necessario un approfondimento teologico per poter chiarire anche la dimensione pastorale.

Benedetto XVI, che ha trattato varie volte tale questione, afferma che il problema dei fedeli divorziati risposati, in particolare il loro accesso ai sacramenti, è “spinoso e complesso” (SC 29) ed anche “doloroso, e la ricetta semplice che lo risolva, certamente non c’è” (DCB), “anche perché le situazioni sono sempre diverse” (DCA). Nel suggerire le indicazioni appropriate, Benedetto XVI aggiungeva: la Chiesa esprime un “desiderio” e “incoraggia” (SC 29). Non parla di obblighi. Insiste invece sulla necessità di fare “riscoprire il valore della sofferenza e del dolore” (DCB) e di amare “queste persone che soffrono anche per noi. E dobbiamo anche noi soffrire con loro.”(DCA). C’è poi una saggia insistenza perché costoro abbiano un sacerdote o un maestro di vita spirituale (SC 29) con cui confidarsi per trovare “un cammino possibile per salvare quanti sono implicati in quella situazione irregolare e pericolosa” (DAVB).

Non si danno norme tassative circa la liceità ed il modo di continuare la nuova convivenza coniugale o circa l’obbligo di interromperla. Il fatto che nei documenti ufficiali non si diano norme tassative uguali per tutti, e si consigli invece un cammino appropriato caso per caso, fa supporre che anche chi ha il compito di accompagnare o guidare in questo cammino possa, nel caso concreto, suggerire o approvare la scelta del matrimonio civile: naturalmente osservando la proibizione “di porre in atto, a favore dei divorziati, che si risposano, cerimonie di qualsiasi genere” (FC 84 cf SC 29; DVF).

Non va dimenticato che i fedeli divorziati risposati sono chiamati a vivere la vocazione battesimale anche nella loro nuova situazione. Spesso i percorsi pastorali verso di loro non considerano che la loro nuova unione non è immune delle sfide di ogni rapporto di coppia. La loro unione, secondo le ricerche statistiche, è più instabile delle altre. Essi dovrebbero vivere bene alla luce del Vangelo anche nella nuova situazione “irregolare”. L’esclusione dalla piena comunione porta di frequente molti nostri fedeli alla richiesta rivolta al Papa e ai vescovi di un auspicato e ipotetico cammino penitenziale sul modello orientale o antico. E Papa Francesco chiede che questo tema venga approfondito dal punto di vista teologico e storico. In ogni caso è importante ristabilire una vera spiritualità battesimale che dovrebbe aiutare anche nella nuova situazione in cui essi si trovano. Il sacramento delle nozze cristiane non si realizza o ricostruisce a partire dalla relazione di coppia, ma dal battesimo di entrambi i fedeli. E’ sorprendente come la teologia nuziale recente faccia poco riferimento a questo legame. Solo a partire da questo si comprende che il senso dell’esclusione dalla comunione eucaristica non ha il carattere di scomunica.

In questo senso, occorre dare concretezza al fatto che i fedeli che vivono in una relazione spezzata non perdono la loro condizione di battezzati. Pertanto la definizione del loro modo d’appartenere alla Chiesa non è data dalla condizione di oggettiva contraddizione con la comunione. In analogia con il processo che ha permesso di strutturare il  sacramento della Penitenza, anche in questo caso è il Battesimo che chiede una sua applicazione alla nuova situazione. I Padri proposero una secunda post naufragium tabula in forza della prima, appunto. Così la chiamata del Battesimo a morire al peccato per vivere la vita nuova dà costantemente inizio a una prassi di conversione.

Verso uno snellimento dei procedimenti di nullità matrimoniale

L’affermazione di Papa Francesco sulla considerazione fatta dal cardinale Quarracino, ossia che “per lui la metà dei matrimoni sono nulli”, pone in maniera ancor più urgente il tema di una riforma dei procedimenti delle cause di nullità. Credo sia anzitutto necessario far conoscere questa possibilità ai fedeli che ne sono per lo più ignari. Semmai è ben radicato nella mentalità della maggioranza dei fedeli un pregiudizio negativo nei confronti dei procedimenti di nullità, ritenuti erroneamente possibili solo per chi ha denaro. A questo si aggiunge l’inadeguatezza di non pochi tribunali ecclesiastici, sia nel personale sia nel procedimento.

Ovviamente, accanto a questo aspetto che riguarda una corretta informazione si deve attuare una procedura canonica che eviti lentezze inutili e che cancelli ritardi del tutto ingiustificati. Non si deve dimenticare che dietro ogni causa matrimoniale ci sono drammi di non poche persone compresi bambini piccoli che richiedono una attenta educazione e non una situazione di litigio che le lentezze burocratiche aggravano. E’ quanto mai opportuno studiare i possibili modi canonici per sveltire i processi di nullità matrimoniale. Non si deve dimenticare che la salus animarum resta, anche per il Codice di Diritto Canonico, la suprema lex.

III Parte

Alcune linee di indirizzo del Dicastero

Ho accennato ad alcune delle sfide più acute che riguardano la famiglia. Il Pontificio Consiglio per la Famiglia è chiamato ad essere “prossimo” alle famiglie. E prossimo – superlativo di proper (più vicino) – significa “il più vicino”. Dobbiamo essere “i più vicini” alle famiglie, così come esse sono e come esse vivono. C’è bisogno di un sussulto di intelligenza e di amore per vivere e testimoniare la “buona notizia” della Famiglia, consapevoli che è il crocevia delle questioni più delicate della società contemporanea. La risposta che dobbiamo offrire si pone anzitutto sul piano ecclesiale promuovendo una rinascita della spiritualità familiare, e poi su quello culturale per riconoscere alla Famiglia quel che essa è per la società. E’ quanto aveva intuito in maniera chiara già il beato Giovanni Paolo II. Nella Familiaris Consortio (FC n° 2) – Charta magna del Pontificio Consiglio per la Famiglia e per la Vita – il Papa aveva affidato al Dicastero la cura della Famiglia sia nel versante ecclesiale che in quello civile e sociale. Mi permetto ora di suggerire alcune linee di indirizzo che per sintesi ho declinato nei diversi versanti.

1)      Versante ecclesiale

Come Dicastero dobbiamo offrire alle Chiese locali suggerimenti per ri-orientare la pastorale familiare. Questo richiede, come ho già detto, un approfondimento, teologico e spirituale, del matrimonio e della famiglia. La predicazione – e la prassi pastorale – che concerne questo “mistero grande” (Ef 5,32), spesso è troppo povera e inadeguata sia perché la famiglia cristiana  esprima le sue potenzialità sia per tener fronte alle tempeste che si abbattono su di essa. Le famiglie non vanno lasciate sole. Per questo sono preziosissime le diverse associazioni familiari che possono costituire una rete di sostegno. E’ da esse che nasce in maniera più chiara quella “spiritualità familiare” sempre più necessaria per riscoprire la vita familiare come via ordinaria alla santità.

Va promosso con molta più forza e intelligenza pastorale il legame tra le singole famiglie e la comunità ecclesiale: solo vivendo nella “Comunità parrocchiale”, la “comunità domestica” può divenire il luogo ove si trasmette la fede e si sperimenta la gioia di essere cristiani. Molti vescovi, nell’ultimo Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione, hanno insistito sulla indispensabilità che la Famiglia sia il primo “soggetto della evangelizzazione”.

La Domenica – è stato sottolineato nel VII Incontro delle Famiglie a Milano – deve riprendere il suo primato sia nella vita delle parrocchie che nella vita delle famiglie. La direzione deve essere chiara: “Tutte le famiglie a Messa la Domenica!”.

Una rinnovata attenzione va rivolta alla promozione della preghiera nelle famiglie cristiane, come la recita del Rosario o la Lectio Divina familiare (ogni famiglia deve avere la sua Bibbia!). Nel contesto della pastorale familiare si deve avviare un più evidente coinvolgimento nella Iniziazione Cristiana. Così pure va favorita un’attenzione proporre una spiritualità dell’anziano per sostenere negli ultimi anni della vita e spenderli al servizio della Chiesa e del mondo. Si deve inoltre profittare del momento della preparazione al matrimonio e dei primi passi delle nuove famiglie che si costituiscono: è in preparazione un nuovo testo Orientamenti per la preparazione al matrimonio e alla famiglia, che mi auguro di presentare quanto prima.

Si può pensare alla istituzione – vari episcopati l’hanno sollecitata – della “Festa della famiglia”? E’ un modo per testimoniare al mondo contemporaneo che la Famiglia è possibile e bella. Il Papa potrebbe ogni anno accompagnare con un piccolo messaggio tale giornata. La festa della Famiglia di Nazaret – sarebbe molto opportuna per questo – ma cade in un momento che non facilita la raccolta dei fedeli.

Nelle Visite ad Limina i vescovi, tra le molte problematiche che presentano, si soffermano su quelle relative alle coppie dei divorziati risposati, alla eccessiva lunghezza dei processi di nullità matrimoniale, ad alcune durezze nell’amministrazione dei sacramenti come, ad esempio, la negazione del battesimo ai figli dei divorziati… Deve ipotizzarsi un Vademecum per la Pastorale familiare da realizzare da questo Dicastero?.

2)      Versante civile-culturale

L’aspro accanimento contro la famiglia scaturisce, come ho accennato, da una cultura radicalmente individualistica che porta ad affermare il contrario della sapienza biblica. La riproposizione della verità della famiglia, non solo resta una buona notizia per il mondo di oggi, ma è anche il modo più efficace per rispondere al bisogno profondo dell’uomo e per tener salda la società umana da una pericolosissima frammentazione.

Va promossa una “cultura della famiglia”; solo così potrà riconquistare il centro della politica (sia a livello nazionale che internazionale), dell’economia, della legislazione, dei mass media, della letteratura, della cultura in generale. Il Pontificio Consiglio ha avviato diverse iniziative in questo senso proponendo dibattiti sui temi che riguardano i diversi aspetti della famiglia e della vita. Ma è necessario favorire ovunque un dibattito culturale che coinvolga in maniera larga credenti e persone di buona volontà. La scelta di  fondo non è la via del conflitto e della contrapposizione, che non porta comunque nessun vantaggio, ma quella della promozione di una nuova cultura ispirata dalla fede, indispensabile per la formazione delle coscienze.

3)      Versante ecumenico e interreligioso

In questa azione vanno coinvolti anche gli altri cristiani, a partire dalle Chiese Ortodosse. Il Patriarca di Mosca, Kirill, si è dichiarato totalmente d’accordo a intraprendere una strategia comune sui temi della famiglia nelle diverse sedi internazionali. E’ in programma a Roma un Convegno sui “Diritti della famiglia” co-organizzato dal Pontificio Consiglio e dalla Chiesa Ortodossa Russa. Anche il Patriarca Ecumenico, Bartolomeo I è dello stesso avviso, come pure le Chiese Ortodosse di Serba e di Romania. E’ inoltre utile coinvolgere anche gli ebrei e i rappresentanti delle altre religioni, a partire dell’Islam, oltre che gli intellettuali laici. La recente esperienza francese nella sfida del cosiddetto matrimonio tra le persone dello stesso sesso è significativa in questo campo.

4)      Versante pastorale e sociale

Il Dicastero, rilevando che la famiglia è comunque una risorsa per la società, ritiene che si debba sviluppare un’attenzione delle Chiese locali verso la Famiglia in tutti i suoi aspetti, compresi quelli che ruotano attorno al tema: povertà e famiglia. E’ stato avviato nel Dicastero un apposito Ufficio per le questioni relative all’infanzia e alle problematiche legate ai ragazzi. In questo tempo di crisi economica e finanziaria sentiamo urgente trattare il problema giovani e lavoro per i risvolti diretti con il matrimonio e la famiglia. Abbiamo constatato l’importanza della famiglia per i disabili. Ci sono strumenti, anche a livello teologico e pastorale, che occorre sviluppare.

Per intervenire con maggiore efficacia sul dibattito internazionale sulla famiglia appare opportuno dotarsi, come Pontificio Consiglio per la Famiglia, di uno strumento di osservazione sistematica della realtà, che possa alimentare la difesa della famiglia e la richiesta di appropriate politiche familiari attraverso supporti empirici e dati comparativi affidabili. Con questi dati è più efficace un dialogo con i più diversi interlocutori, di ambito sociale e politico, anche presso diversi organismi internazionali, fondando la difesa del valore della famiglia su dati empirici internazionali di valore consolidato.

Vanno inoltre dedicate energie ulteriori per cogliere le diverse tematiche collegate alla famiglia, quali la demografia, le migrazioni, e le questioni riguardante tutto l’arco della vita umana, delle questioni relative alla nascita e alla morte, da una prospettiva pastorale e sociale come indicato nella Evangelium Vitae.

5) Versante politico internazionale

E’ indispensabile seguire le iniziative e le proposte riguardanti l’istituto matrimoniale e familiare nell’ambito degli organismi internazionali (l’ONU, il Consiglio d’Europa, l’Organizzazione degli Stati Americani, la Corte di Strasburgo…) con lo scopo di intervenire a livello politico e soprattutto a livello giuridico nelle numerose sfide esistenti. E’ stata avviata una sezione del Pontificio Consiglio che si dedica alla cura di tale aspetto. E’ utile aiutare le Conferenze Episcopali a interagire con le parti politiche dei rispettivi paesi con intelligenza, senza dimenticare di sostenere l’attuazione di politiche familiari che toccano in concreto la vita delle famiglie.

6) Versante comunicazione

E’ stato avviato di recente il sito web in quattro lingue e varie sezioni con lo scopo di essere uno strumento di evangelizzazione e di conoscenza del magistero della Chiesa in questo campo che tutti possono facilmente consultare. Stiamo in questo momento consolidando i rapporti con il mondo dei social-network per permettere  un dialogo a tutto campo fra questo Dicastero e queste moderne realtà nel mondo della comunicazione.

Sono inoltre già stati avviati contatti con alcune reti radio-televisive per realizzare appositi programmi sulla Famiglia che raggiungano il grande pubblico.

Cari amici, nel concludere queste mie riflessioni, vi ringrazio anzitutto della vostra pazienza e auguro un dialogo fruttuoso, consapevoli, come ho accennato all’inizio, che è particolarmente urgente e prezioso il servizio che possiamo e dobbiamo rendere alle Chiese locali e alla santa Sede, soprattutto, nell’imminenza del prossimo Sinodo Sraordinaro dei Vescovi. La Madre di Gesù, Regina della Famiglia, ci sostenga in questo nostro lavoro.