Pasqua 2009 – Giovedì santo

Pasqua 2009 - Giovedì santo

Con questa celebrazione entriamo nei tre giorni più santi dell’anno: giovedì e venerdì santo, la notte della Pasqua. La santità di questi giorni è la chiarezza con cui si manifesta l’amore di Dio per noi. Sì, in questi giorni se siamo Gesù, ci viene ripetutamente annunciato che in lui abbiamo un amico che giunge a dare la sua vita per salvarci. E’ un’amicizia dalla profondità smisurata. Il Vangelo di Giovanni, il vangelo dell’amore, lo dice fin dalle prime pagine. Nicodemo, che andò di notte ad incontrare quel giovane profeta di Nazaret, si sentì dire: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”(Gv 3,16). Tutto il Vangelo in verità manifesta questo amore straordinario, esagerato, di Dio. Questo amore, durante la Passione, giunge sino al limite estremo. Non è bastato che Gesù abbia lasciato il cielo – è il mistero del Natale – per venire ad abitare in mezzo a noi. Non è bastato che abbia speso la sua vita per i piccoli e i poveri, per i malati e per i peccatori – ha detto che non aveva neppure una pietra dove posare il capo – perché avessero un futuro migliore. Il Vangelo di questa sera è iniziato con queste parole: “Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”. Gesù ci ha amato sino alla fine, non solo sino alla fine della sua vita, ma sino al limite massimo dell’amore oltre il quale non c’è nulla. Questo mistero di amore è incomprensibile agli uomini e impensabile alla comune ragione. San Paolo scrive ai romani: “a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi peccatori”(Rm 5,7). E Gesù aveva detto ai discepoli: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15, 13). In questi giorni accade proprio questo. Le celebrazioni di questi tre giorni vogliono spingerci ad incontrare questo amore. Lasciamoci coinvolgere e gusteremo almeno qualche goccia di questo smisurato amore.


Nella celebrazione di questa sera facciamo memoria dell’ultima cena di Gesù con i discepoli prima di morire. Siamo all’incirca alla stessa ora e Gesù ha appena detto – secondo la narrazione del Vangelo di Luca – :“Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione”. Gesù ha in verità da sempre desiderato stare con i suoi, ma questa sera è un desiderio struggente. Sa che lo cattureranno e poi lo uccideranno. Desidera avere accanto i suoi amici più cari. E’ un’esperienza che i nostri fratelli e sorelle dell’Abruzzo sanno cosa vuol dire, magari per l’assenza dei loro cari. E saluto con affetto il signor  che sta con noi questa sera e che ha avuto il figlio morto assieme alla sua sposa nel terremoto, lasciando due bambini piccoli. Anche lei, come Gesù, quella sera ha bisogno di amicizia. Ma è anche vero, forse più vero ancora, che sono soprattutto i discepoli ad avere bisogno di Gesù. Possiamo immaginare lo sguardo di quel maestro che si posa su ciascuno di quei discepoli che si era scelto e che aveva curato e difeso. Erano lì attorno a lui. Sapeva che uno lo avrebbe tradito subito e gli altri poco dopo. Eppure stava per affidare loro la continuazione della sua opera. Non erano certo i più sapienti e neppure i migliori. Ma erano rimasti con lui per quei tre anni. Gesù, dietro di loro scorge i discepoli che verranno di generazione in generazione. Ci siamo anche noi in quello sguardo. Come può restare accanto a tutti? Come può aiutarli a continuare la sua missione? Da queste preoccupazioni è sgorgato il miracolo della Eucarestia. Cos’è, infatti, l’Eucarestia se non un miracolo di amore? Così Gesù può restare accanto a tutti i discepoli di ogni tempo e di ogni terra. Con l’Eucarestia nessuno più è abbandonato.


E i discepoli, vedendo Gesù che prende il pane e il vino, forse finalmente comprendono le parole che  aveva detto nella sinagoga di Cafarnao e che avevano fatto allontanare molti: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui”(Gv 6,56). E ancora: “Chi mangia questo pane vivrà in eterno”(Gv 6, 58). Anche noi questa sera possiamo capire di più lo straordinario mistero di amore di Gesù per noi: egli è giunto sino a dare la sua vita per noi, sino a farsi cibo e bevanda per la nostra salvezza. E ogni volta che ci cibiamo di lui viviamo di lui e per lui. Quella sera prendendo il pane disse: “Questo è il mio corpo, spezzato per voi”, e poi sul calice: “Questo è il mio sangue versato per voi!”. E’ a dire che Gesù è presente nel pane e nel vino consacrati non in qualsiasi modo, ma, appunto, come “spezzato” e “versato”.


Per spiegare il senso di questa presenza reale nell’Eucarestia Gesù fa un gesto impensabile. Pietro reagisce con forza. Povero Pietro, non ha ancora capito di che natura è l’amore di Gesù. Ma quel che è importante notare è che l’evangelista Giovanni invece dell’istituzione dell’Eucarestia narra la lavanda dei piedi. L’evangelista vuole suggerire che la lavanda dei piedi spiega il mistero dell’Eucarestia, non c’è l’una senza l’altra. E potremmo dire che Gesù sta nell’Eucarestia come sta davanti ai discepoli, ossia lavando loro i piedi. Permettetemi un paradosso: se venisse qualcuno a dirvi che vede Gesù nell’Ostia state attenti non credeteci, ma se aggiungesse che lo vede che sta lavando i piedi ai discepoli, allora pensateci seriamente. E’ un paradosso per dire che Gesù ha stabilito un rapporto ineliminabile tra l’Eucarestia e l’amore tra noi e per i poveri. La tradizione della Chiesa ha legato il sacramento dell’altare al sacramento del fratello: due culti che questa celebrazione mostra in maniera evidente.


Per questo anche il rito liturgico questa sera prevede che si ripeta il “comandamento dell’amore” con la lavanda dei piedi ad alcuni fratelli e sorelle. Sarebbe bello ripetere alla lettera questa pagina del Vangelo, lavandoci i piedi gli uni gli altri. Dove questo è possibile si comprende meglio la profondità che esso esprime. Ho voluto che ci fossero alcuni poveri, deboli, anziani che prendessero il posto degli apostoli, per significare il primato dell’amore per i piccoli che questo comandamento deve esprimere. E sono lieto che assieme a me lavino i piedi anche alcuni che hanno scelto di dedicare parte del loro tempo al servizio dei poveri. Dovremmo tutti inchinarci ai piedi dei poveri e lavarglieli; tutti dobbiamo fare qualcosa per loro, magari anche con un gesto, una preghiera, una parola, un’elemosina. Tutti dobbiamo allargare il cuore e guardare con amore chi ha bisogno di aiuto. Se è vero che senza l’Eucarestia non c’è salvezza, è altrettanto vero che senza l’amore per i poveri troveremo chiusa la porta del cielo, come ci avverte il Vangelo di Matteo.


Care sorelle e cari fratelli, impariamo da Gesù ad amare. Non restiamo fermi nelle nostre abitudini, alziamoci anche noi dalla tavola del nostro egoismo, togliamoci le vesti dell’orgoglio e mettiamoci l’asciugatoio dell’amore. Imitiamo il Maestro e comprenderemo il senso vero dell’amore e gusteremo l’altra affermazione di Gesù riportata dall’apostolo Paolo: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”. Il Vangelo della lavanda ci indica la via migliore per rendere la vita più bella e più umana.