Pasqua 2012 – Via Crucis

Introduzione

Accompagniamo il Signore nella sua Via Crucis. Scegliamo di uscire di casa e camminare per le vie della città spesso dalla tristezza e dalla rassegnazione. Questa sera siamo dietro a Gesù, non vogliamo lasciarlo solo. Seguendolo vedremo fin dove giunge il suo amore per noi, per le nostre città. Egli ha amato i suoi sino alla fine. Noi invece in genere amiamo gli altri sino a un certo punto e spesso è un punto molto vicino a noi stessi, talora l’amore per noi coincide con noi stessi. Questa sera vedremo cosa vuol dire amare sino alla fine.
Seguiremo Gesù, la sua croce. Essa starà davanti a noi. Non vogliamo distogliere lo sguardo da Gesù. E ascolteremo i due capitoli del Vangelo di Marco che narrano la Passione a partire dalla preghiera nel Getsemani sino alla sepoltura. Lo leggeremo tutto, brano dopo brano, fermandoci per sette stazioni. Non vogliamo perdere nessuna parola di queste pagine perché tutte parlano d’amore, di un amore “senza fine”.

Mc 14, 32-42. Al Getsemani

Gesù si reca al Getsemani. Appena giunto in quel giardino, che lo vedeva ormai quasi ogni sera ritirarsi per la preghiera, si separa dai suoi. Vuole però che i tre più amici gli stiano accanto: Pietro, Giacomo e Giovanni. E, con l’angoscia nel cuore, confida loro: “L’anima mia è triste sino alla morte. Rimanete qui e vegliate”. Gesù ha bisogno di compagnia, lui che pur di stare accanto a noi ha lasciato il paradiso, ora ha bisogno di amicizia, di conforto. Ma i tre, pur vedendolo prostrato a terra per l’angoscia, non riescono a stare svegli: si addormentano. Quando non si ascolta davvero un fratello, quando non ci si lascia scuotere dalla Parola e neppure dal dolore e dal bisogno di chi sta vicino, emerge tutta l’insensibilità e la durezza che abbiamo. Per tre volte Gesù va da loro per cercare conforto, e per tre volte li trova addormentati. Quei tre amici mostrando così che tanto amici non erano. Loro dormivano e Gesù era solo nell’agonia.
L’unico che in quella notte drammatica ascolta Gesù è il Padre. Gesù lo sa. E si rivolge a lui con la confidenza del figlio. Un preghiera drammatica eppure pienamente filiale. Come un figlio in tutto obbediente alla volontà del Padre, Gesù prega: “Non ciò che io voglio, ma quello che tu vuoi”.

Mc 14, 43-52. L’arresto di Gesù

Due mondi si confrontano in quella notte al Getsemani. Da una parte c’è Gesù che insegna la mitezza e l’amore per gli altri (ogni giorno stava in mezzo alla gente come un maestro buono), dall’altra un gruppo di uomini, diversi tra loro, tra essi c’è anche un discepolo, i quali però agiscono con spade e bastoni uniti solo dalla volontà di eliminare l’unico innocente. Cari amici, l’alleanza per la violenza è incredibilmente vasta. Pensate che il primo luogo ove avvengono più violenza sono le nostre case, talora le nostre scuole, ma anche le nostre strade. C’è bisogno di svuotare le case dalla violenza, di svuotare le scuole dal cosiddetto bullismo, di svuotare le strade dalle morti del sabato notte. Tutti dobbiamo dissociarci dalla marea di violenza che invade la nostra società. E Gesù ci mostra come fare. Egli resta saldo nel suo atteggiamento mite. E chi lo tradisce con un bacio, risponde chiamandolo amico, e si oppone al discepolo che usa la spada. I discepoli, tutti, sono travolti dalla paura e abbandonano Gesù. E’ significativo che solo un giovanetto lo segue: bisogna tornare bambini e accogliere con ingenuità la Parola del Signore, bisogna aiutare i ragazzi e i giovani a seguire Gesù e non i miti falsi di questo mondo, il successo, i soldi, la carriera….

Mc 14, 53-65. Gesù davanti al sinedrio

La violenza si scatena contro quel giusto; e tutti ne sono complici. La simpatia di Gesù, il suo amore per gli uomini, la sua parola di salvezza, sono umiliati e calpestati. Ed emergono la falsità, le menzogne, l’invidia, usate per eliminare quell’uomo che “aveva fatto bene ogni cosa”. Gesù di fronte all’incredibile violenza che si abbatte su di lui resta sempre in silenzio, non discute; prende su di sé tutte quelle menzogne. Il sommo sacerdote riprende ancora la parola, ma questa volta con una domanda decisiva. E’ la stessa a cui Pietro rispose affermativamente. “Sei tu il Cristo?” gli chiede il sommo sacerdote. Se Gesù non avesse risposto forse si sarebbe salvato. Ma Gesù non poteva tacere il suo Vangelo: “Sì, sono io!” Del resto era venuto proprio per questo. Non poteva tacere. Alla proclamazione del Vangelo, il sommo sacerdote si straccia le vesti e condanna a morte Gesù. Di fronte al coraggio di Gesù ci vengono in mente i tanti martiri per il Vangelo. Nel secolo scorso si calcola che 3 milioni di cristiani hanno testimoniato con il sangue la loro fede in Gesù. E nell’anno scorso, nel 2006, 24 missionari sono stati uccisi. Essi ci richiamano ad una maggiore generosità nel seguire il Vangelo.

Mc 14, 66-72. Il rinnegamento di Pietro

Pietro è solo. Non è stato capace di difendere Gesù, anzi è fuggito come tutti. Stretto tra l’orgoglio e il dispiacere torna indietro sui suoi passi e cerca di seguire Gesù, anche se da lontano. Sì, potremmo dire che anche in questo Pietro è il primo, il primo di tanti di noi che, appunto, seguiamo Gesù da lontano. Ma viene travolto ancora una volta dall’onda della violenza, anche se questa viene solo da una serva. Tutto quello che aveva detto a Gesù sembra sciogliersi in un batter d’occhio. La paura lo prende allo stato puro. E Gesù è ancor più solo dentro quel palazzo ostile: viene sbattuto da una parte all’altra, senza che ci sia nessuno a difenderlo. Pietro, solo dopo il tradimento, ricorda le parole di Gesù. C’è stato bisogno del canto del gallo: c’è bisogno del Vangelo per comprendere la nostra debolezza e l’infinito amore che Gesù ha per noi. Finalmente Pietro comprende la sua debolezza e prorompe nel pianto. Solo la Parola di Gesù ricordata e vissuta, ci fa ritrovare noi stessi e il Signore.

Mc 15, 1-5 Gesù e Pilato

E’ l’ultimo giorno di vita di Gesù. “La notte in cui fu tradito” è terminata, e “al mattino i capi dei sacerdoti con gli anziani…lo condussero e consegnarono a Pilato”. Costui comprende subito che glielo stanno consegnando per invidia. E tuttavia neppure la giustizia romana resiste alla congiura dei violenti che vogliono eliminare l’unico giusto dalla faccia della terra.

Mc 15, 6-15 Gesù è condannato a morte e flagellato

L’onda violenta del male sembra inarrestabile; è talmente forte che travolge tutti. Nessuno resiste, né i sacerdoti, né la giustizia romana e neppure la folla. Anche se solo pochi giorni prima gridava “Osanna”, ora grida unanime “Sia crocifisso!” Al giusto, all’uomo buono e compassionevole, preferisce il violento Barabba. Pilato, che assiste impotente alla violenza, ma lavandosene le mani ne diventa complice, fa flagellare Gesù, e lo consegna perché sia crocifisso.

Mc 15, 16-20 Gesù è insultato e caricato della croce

Quanto dolore per Gesù! Un panno di porpora, una canna e una corona di spine. Ecco il re! Ma è re come un agnello mansueto che si lascia torturare e uccidere da coloro che ama senza limiti. Per tutti costoro, e per noi, Gesù “non ha considerato un tesoro geloso l’essere uguale a Dio, ma ha spogliato se stesso assumendo la condizione di schiavo” (Fil 2, 6-7), come dice Paolo. In lui possiamo vedere tutti i condannati a morte e tutti i torturati di questo mondo. E’ l’umanità profanata. L’odio acceca, esalta, e fa trovare anche la crudeltà nel vincere e nel piegare gli altri. Un uomo, una donna, un gruppo, una etnia, un popolo, diventano l’obiettivo contro cui scatenare l’odio. Più deboli sono i nemici e più ci si sente forti. La mansuetudine di Gesù in mezzo a tanta crudeltà è l’unica fiammella che permette di sperare in un mondo nuovo, non violento. Penso tra l’altro alla crudeltà della pena di morte. Ancora 68 paesi nel mondo la praticano. E sono 10.000 i condannati in attesa di esecuzione, e ben 2.500 sono stati eseguiti nello scorso anno. Gesù è morto anche perché nessuno di loro sia ucciso.

Mc 15, 21-23 Il cireneo

Gesù è “consegnato nelle mani degli uomini”. Ma non sono mani che lo aiutano; lo hanno ridicolizzato e offeso. Fra poco lo crocifiggeranno. “Un passante che tornava dai campi” è chiamato ad aiutare Gesù; viene da Cirene, è straniero, com’era straniero il Samaritano. Il Cireneo aiuta Gesù a portare la croce sino al Golgota. In genere siamo noi a gettare le croci sugli stranieri. Questa volta è uno straniero che aiuta Gesù a portare la croce.

Mc 15, 24-41. Al Calvario

Gesù viene inchiodato sulla croce. Nessuna pietà per lui; solo sofferenza. Il motivo della condanna è scritto sulla tavoletta posta sopra la croce: “Il re dei Giudei”. Per Pilato è una ironia, per i sacerdoti una bestemmia, per Gesù è il suo Vangelo. Lui è il buon pastore che dà la vita per le sue pecore, Lui è il salvatore che ama fino alla fine quel popolo che pure lo crocifigge. Noi mettiamo invece tanti limiti all’amore, tanto da identificarlo con noi stessi. E’ facile amare se stessi, difficile amare gli altri. Sotto la croce rimproverano Gesù perché “non salvava se stesso”. Ma come poteva salvare se stesso uno che era vissuto unicamente per salvare gli altri? Quale amore! Sì, ci hai amati sino alla fine, sino alla morte.
Vorrei leggere un brano del testamento di Shahbaz Bhatti, ministro pakistano per le minoranze religiose, che fu ucciso lo scorso anno perché tacesse. Tutto partì per lui un venerdì santo. E’ un grande esempio per noi di come stare sotto la croce. Scrive Bhatti: “Ricordo un venerdì di Pasqua quando avevo solo tredici anni: ascoltai un sermone sul sacrificio di Gesù per la nostra redenzione e per la salvezza del mondo. E pensai di corrispondere quel suo amore donando amore ai nostri fratelli e sorelle, ponendomi al servizio dei cristiani, specialmente dei poveri, dei bisognosi e dei perseguitati che vivono in questo paese islamico. Mi è stato richiesto di porre fine alla mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. La mia risposta è sempre stata la stessa. Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è cosi forte in me che mi considererei privilegiato qualora – in questo mio battagliero sforzo di aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan – Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita. Voglio vivere per Cristo, per Lui voglio morire. Non provo alcuna paura in questo Paese. Molte volte gli estremisti hanno desiderato uccidermi, imprigionarmi; mi hanno minacciato, perseguitato e hanno terrorizzato la mia famiglia. Io dico che, finché avrò vita, fino al mio ultimo respiro, continuerò a servire Gesù e questa povera, sofferente umanità, i cristiani, i bisognosi, i poveri. Credo che i cristiani del mondo che hanno teso la mani ai musulmani colpiti dalla tragedia del terremoto del 2005 abbiano costruito dei ponti di solidarietà, d’amore, di comprensione, di cooperazione e di tolleranza tra le due religioni. Se tali sforzi continueranno sono convinto che riusciremo a vincere i cuori e le menti degli estremisti. Ciò produrrà un cambiamento in positivo: le genti non si odieranno, non uccideranno nel nome della religione, ma si ameranno le une le altre, porteranno armonia, coltiveranno la pace e la comprensione in questa regione. Credo che i bisognosi, i poveri, gli orfani, qualunque sia la loro religione, vadano considerati innanzitutto come esseri umani. Penso che quelle persone siano parte del mio corpo in Cristo, che siano la parte perseguitata e bisognosa del corpo di Cristo. Se noi portiamo a termine questa missione, allora ci saremo guadagnati un posto ai piedi di Gesù e io potrò guardarlo senza provare vergogna».

Mc 15, 42-47. La sepoltura

Anche Giuseppe d’Arimatea spinto dall’amore per Gesù non rinuncia a fare qualcosa per lui. Chi vuol bene a quel profeta disarmato ha un’energia nuova nel cuore e con coraggio va incontro a poveri e deboli per aiutarli. Quando Gesù era bambino ci fu Giuseppe, della stirpe di Davide, uomo giusto e timorato di Dio, che lo protesse dalla furia omicida d Erode. Scrive il vangelo che “prese con sé il bambino e sua madre”. Ora c’è un altro Giuseppe, membro autorevole del Sinedrio, il quale ancora una volta prende con sé non più il bambino, ma Gesù adulto, lo calò dalla croce, lo adagiò sul lenzuolo e lo depose nel grembo della roccia. In verità, andando nel sepolcro Gesù scende nelle profondità della storia umana. La Chiesa ricorda la “discesa agli inferi”, ossia Gesù che scende nei luoghi più profondi e drammatici della storia degli uomini per raccogliere tutti e portarli con sé alla salvezza del nuovo regno. Oggi lo vediamo scendere nel Mediterraneo: negli ultimi 13 anni ha inghiottito 17.0000 profughi!