Pasqua 2012 – Giovedì santo

“Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi”, disse Gesù ai suoi discepoli all’inizio della sua ultima cena, prima di morire. In verità, per Gesù, è un desiderio di sempre; vorrei dire un bisogno di sempre: egli vuole stare con i suoi. Lo desiderava allora e lo desidera anche questa sera. Forse è bene chiederci se noi desideriamo stargli vicino, almeno un poco; se sappiamo offrirgli quel poco di compagnia e di affetto di cui è ancora capace il nostro cuore. Se ci guardiamo indietro vediamo sempre che è sempre lui a fare di tutto per starci vicino, per legarci al Vangelo. Quante volte – come canta un antico inno – “quaerens me, sedisti lassus”! “Quante volte, Signore, ti sei seduto stanco, a forza di rincorrermi”! Questa sera – è l’ultima della sua vita – Gesù continua, in un supremo slancio di amore, a legarsi definitivamente ai suoi.
Abbiamo ascoltato dalla prima Lettera ai Corinzi che Gesù, mentre stava a tavola con i Dodici, prese il pane e lo distribuì dicendo: “Questo è il mio corpo spezzato per voi”. La stessa cosa fece con il calice: “Questo è il mio sangue, sparso per voi”. Sono le parole che ripeterà tra poco sull’altare invitandoci a comunicarci del suo corpo e del suo sangue. Davvero ha “inventato” l’impossibile (del resto l’amore vero non sa creare cose impossibili?) per restarci accanto. Si è fatto cibo e bevanda. Quel pane e quel vino sono il nutrimento disceso dal cielo per noi, sono medicina e sostegno per la nostra povera vita, ci liberano dai peccati, ci sollevano dall’angoscia, allontanano la tristezza. E soprattutto ci rendono simili a Gesù, ci aiutano a vivere come lui viveva, a desiderare le cose che lui desiderava.
La scena evangelica della lavanda dei piedi che questa sera ci è stata annunciata, continua a mostrare che cosa significa per Gesù essere pane spezzato e vino versato per noi e per tutti. A cena inoltrata – abbiamo ascoltato dal Vangelo – Gesù si alza da tavola, depone le vesti e si cinge i fianchi con un asciugatoio, poi prende un bacile con dell’acqua, si dirige verso uno dei dodici, si inginocchia davanti a loro e lava a ciascuno i piedi, anche a Giuda che sta per tradirlo. Pietro, forse è l’ultimo, appena vede avvicinarsi Gesù, reagisce: “Signore, tu lavi i piedi a me?” Povero Pietro, non ha ancora capito! Non ha compreso che a Gesù non interessa quel tipo di dignità che il mondo desidera e spasmodicamente cerca. Gesù, ancora una volta, spiega: “Chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come uno che serve”.
Gesù ci ama con un amore sconfinato, nel senso letterale del termine, davvero senza fine. La dignità di Gesù non risiede nel restare in piedi, diritto, davanti ai suoi; la sua dignità è tutta nell’amare i discepoli sino alla fine, nell’inginocchiarsi sino ai loro piedi. E’ la sua ultima grande lezione da vivo: “Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato l’esempio perché come ho fatto io, facciate anche voi”. Il mondo educa a stare in piedi, ad essere orgogliosi, a non cedere a nessuno. Il Vangelo del Giovedì Santo esorta i discepoli a chinarsi e a lavarsi i piedi gli uni gli altri, a scoprire il valore dell’umiltà e del chinarsi con amore sugli altri. E’ un “comandamento nuovo”, dice Gesù. Non nasce dalle nostre tradizioni, tutte ben solidamente contrarie. Tale comandamento viene da Dio; ed è un grande dono che questa sera riceviamo. Gesù l’ha applicato per primo. Beati noi se lo comprendiamo!
Nella santa Liturgia di questa sera la lavanda dei piedi è solo un’indicazione della via da seguire: lavarci i piedi gli uni gli altri, a partire dai più deboli, dai malati, dagli anziani, dai carcerati, dai più poveri, dai più indifesi. Il Giovedì Santo ci insegna come vivere e da dove iniziare a vivere: la vita vera non è quella di restare saldi nel proprio orgoglio; la vita secondo il Vangelo è piegarsi verso i fratelli e le sorelle, iniziando dai più deboli. E’ una via che viene dal cielo, eppure è la via più umana che possiamo desiderare. Tutti, infatti, abbiamo bisogno di amicizia, di affetto, di comprensione, di accoglienza, di aiuto. Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che si chini verso di noi, come anche noi di chinarci verso i fratelli e le sorelle. Il Giovedì Santo, è davvero un giorno santo ed umanissimo: è il giorno dell’amore di Gesù che scende in basso, sino ai piedi dei suoi amici. E tutti sono suoi amici, anche chi lo sta per tradire. Da parte di Gesù nessuno è nemico, tutto per lui è amore. Lavare i piedi non è un gesto è un modo di vivere.
Terminata la cena, Gesù s’incammina verso l’orto degli ulivi. E scende ancora più in basso, si stende a terra e suda sangue, per il dolore e l’angoscia. Lasciamoci coinvolgere almeno un poco da quest’uomo che ci ama di un amore mai visto sulla terra. E mentre ci fermeremo davanti al sepolcro, diciamogli il nostro affetto e la nostra amicizia. Quanto sono amare quelle parole che disse ai tre che stavano con lui nell’orto: “Così non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me?” Oggi, il Signore ha bisogno di compagnia e di affetto. Ascoltiamo la sua implorazione: “L’anima mia è triste sino alla morte; restate qui e vegliate con me”. Chiniamoci su di lui e non facciamogli mancare la consolazione della nostra vicinanza.
Signore, in quest’ora, non ti daremo il bacio di Giuda, ma come poveri peccatori ci chiniamo ai tuoi piedi e, imitando la Maddalena, continuiamo a baciarli con affetto.