Prefazione al libro “Novissimi” di Roberto Fumagalli

Papa Francesco, nel febbraio 2019, così si rivolgeva all’Accademia per la vita che presiedo: «Il poter fare rischia di oscurare il chi fa e il per chi si fa. Il sistema tecnocratico basato sul criterio dell’efficienza non risponde ai più profondi interrogativi che l’uomo si pone; e se da una parte non è possibile fare a meno delle sue risorse, dall’altra esso impone la sua logica a chi le usa. Eppure la tecnica è caratteristica dell’essere umano. Non va compresa come una forza che gli è estranea e ostile, ma come un prodotto del suo ingegno attraverso cui provvede alle esigenze del vivere per sé e per gli altri. È quindi una modalità specificamente umana di abitare il mondo. Tuttavia, l’odierna evoluzione della capacità tecnica produce un incantamento  pericoloso: invece di consegnare alla vita umana gli strumenti che ne migliorano la cura, si corre il rischio di consegnare la vita alla logica dei dispositivi che ne decidono il valore. Questo rovesciamento è destinato a produrre esiti nefasti: la macchina non si limita a guidarsi da sola, ma finisce per guidare l’uomo. La ragione umana viene così ridotta a una razionalità alienata degli effetti, che non può essere considerata degna dell’uomo».

Queste parole mi sono tornate alla mente nel leggere le belle liriche di Roberto Fumagalli raccolte in Novissimi. L’autore affronta di petto la sfida che le più moderne tecnologie, la scienza e l’intelligenza artificiale pongono alla fede cristiana. Lo fa con la pura ingenuità dell’animo più profondo del poeta: andando al fondo delle verità essenziali. «Ma gridano, nel cuore, / Domande elementari» scrive in Inferni. Fumagalli non ha paura di riproporre l’identità più autentica della natura umana. Parla di anima senza timori reverenziali verso quel mondo della tecnologia che a volte pare capace di incuterci soggezione e farci dimenticare chi sia, davvero, l’uomo. «Si ostinano gli uomini a cercarti / Dove predicono le scienze / Dove non possono trovarti / … Ma c’è davvero, amici, / Un universo intero / Sotto la superficie / Che vive e non si vede». In Genoma, colpisce la definizione di quel misterioso luogo dell’essere umano che generazioni di pensatori si sono sforzati di descrivere:

«Ma intanto resta chiuso / Sepolto sotterrato / Il pertugio nascosto per unire / Il cielo infinito al nostro attimo».

Le pagine di queste liriche sono piene di speranza e di luce, mentre affrontano il tema cruciale della vita: la morte, la vita dopo la vita, il senso dell’esistenza. Sono luce e speranza che nascono con semplice naturalezza dalla fede cristiana. Naturalezza, però, non significa spontaneità o mancanza di fatica. Sono versi che vengono alla luce come l’acqua che sgorga, limpida, dalla montagna alla sua fonte. È passata dal buio della roccia, dal mistero della vita sepolta, dal dolore, dalla sofferenza. Quello che più mi ha colpito, della lirica di Novissimi, è il suo osare di vincere la battaglia contro la confusione inestricabile e insondabile della tecnica estrema, per iniziati, con la semplicità delle prime verità di fede: l’anima, il Cielo, l’amore che accompagna, la serenità dei campisanti visitati con la luce della fede nel Paradiso. Forse ha ragione Fumagalli: l’estremo e sempre più incomprensibile groviglio della tecnica non deve farci indietreggiare o intimorire. Più la tecnologia pare volerci dire che l’uomo è poca cosa e che sarà certamente superato, e più noi uomini e donne di fede dobbiamo saper ridire, aiutati dalla poesia, che è nella semplicità delle verità di base che troveremo la risposta per vivere con saggezza le straordinarie sfide della modernità. Semplicità che non è superficialità, ma rimanda al segreto di ciò che è profondo. Il sé così gracile e fragile del mondo contemporaneo incontrerà nella lettura di Novissimi un balsamo per trovare forza e identità. Riceverà sostegno per imparare ad amare di più e a vivere più sereno. Definirei le poesie di Roberto Fumagalli con due versi che sono suoi, tratti da Nel Sonno: «Lucerne d’Amore che resistono / Ai ripidi silenzi delle notti».