Natale, messa all’Università Lateranense

Eccellenza, mons. Rettore, cari professori e studenti,

è un momento sempre significativo nella vita della nostra Università ritrovarsi nell’imminenza del Natale del Signore per pregare assieme e per scambiarci gli auguri, prima che ciascuno di noi parta per tornare nei propri luoghi, nelle proprie famiglie, nelle proprie Chiese. E vorrei portare in questa celebrazione – anche se per ora in maniera iniziale – il saluto del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e la Famiglia che, come sapete il Papa ha voluto ridisegnare per una più efficace missione nel mondo. Questa nostra celebrazione si iscrive nel tempo dell’Avvento che vede l’intera Chiesa prepararsi alla nascita del suo Signore, un evento che ha cambiato il corso della storia umana. Ed è bene stringersi assieme perché ciascuno di noi possa comprendere sempre più la centralità del giorno della nascita di Gesù. I nostri antichi – consapevoli di questo – contavano gli anni storia in prima e dopo la nascita di Cristo. Certo, tale consapevolezza si è attutita nelle coscienze degli uomini e delle donne di oggi, anche se in tante parti del mondo si continua questa tradizione. Il Natale, comunque, non ha perso la sua sostanza storica: divide in due la storia, al di là della nostra consapevolezza. Ritrovarci assieme per esserne consapevoli è un dono di cui ringraziamo insieme il Signore.

Il grande poeta teologo della antica Chiesa Sira, San Efrem, cantava il Natale identificandolo a Gesù stesso: “questo giorno – cantava – è simile a Te; è amico degli uomini. Esso ritorna ogni anno; invecchia con i vecchi e si rinnova come il bambino che è nato. Ogni anno ci visita e passa, quindi ritorna pieno di attrattive. Sa che la natura umana non ne potrebbe fare a meno; come Te, esso viene in aiuto degli uomini in pericolo. Il mondo intero, o Signore, ha sete del giorno della Tua nascita … Sia dunque anche quest’anno simile a Te, e porti la pace tra cielo e terra”. Queste antiche parole, mentre contestano ogni rassegnazione e chiusura, anche dei credenti, spingono ad andare incontro al Natale, ad accoglierlo come un giorno amico. Come non rendersi conto di quanto ci sia bisogno di giorni amici per i piccoli, per i poveri, per i deboli, per i malati, per coloro che emigrano dalle loro terre, per i tanti popoli ancora segnati dalla guerra e dai conflitti? Quanto c’è bisogno di giorni che siano amici, “amici degli uomini”, amici di un tempo nuovo per questo nostro mondo.

Purtroppo i giorni passati – anche quello di ieri con l’attentato a New York, non sempre sono stati amici e favorevoli agli uomini. Talora, anzi, sono stati bui, e sono ancora bui per tanti. E come saranno i giorni che verranno? Il Natale ci viene incontro perché con la sua amicizia vuole strappare gli uomini e le donne dai giorni tristi e tutti possano sentite la tenerezza che ispira quel Bambino. Non sa parlare, non sa camminare, non sa far neppure rivendicare il diritto ad avere una casa per nascere. Forse, sa solo piangere, per chiedere attenzione, amore, accoglienza, tenerezza. Il Natale vuole commuovere il cuore perché si apra a faccia spazio a chi piange.

La pagina evangelica che abbiamo ascoltato ripete in fondo la scena del Natale: quel figlio – divenuto pastore – esce ancora una volta per farsi vicino a chi ha bisogno, è un Dio in uscita al punto da non trovarlo mai dentro luoghi sicuri e chiusi. Dal giorno della nascita Gesù è in uscita finché l’ultima pecora dell’ovile non sia stata salvata. La parabola del pastore che lascia le novantanove pecore per andare a raccogliere quella perduta non è un episodio isolato. E’ la descrizione della vita della Chiesa e quella di ogni discepolo.

Anche noi, applicandoci alla riflessione sul mistero di Dio, siamo chiamati a riflettere sul mistero del Natale, per trovare le parole più adatte a illuminare la mente e a rinsaldare il cuore nella contemplazione di un Dio che si curva teneramente sulle sue creature smarrite. E se le viene a cercare, di persona. Ed è straordinaria l’immagine del profeta che parla di Dio come di un Padre o di una madre che “porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri”. Il Natale è il mistero dell’uscita di Dio che si fa uomo per riportare alla casa del Padre tutti i suoi figli e le sue figlie dispersi. In molti modi, Gesù, ha indicato in questi termini l’unum argumentum della passione di Dio per gli uomini: “Così è la volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda”. E’ il Vangelo, la buona notizia, della misericordia. Ricordo una delle ultime frasi che mi disse, ero giovane parroco a Santa Maria in Trastevere, un cardinale teologo, Pietro Parente, mentre era sul letto di morte: “Vedi don Vincenzo quella libreria piena dei libri da me scritti. Ho riflettuto ho insegnato e scritto molto su Dio e su Gesù, ma di tutto quello che è scritto lì, una cosa sola conta – si fermò un poco e aggiunse – ‘per fortuna nostra Dio è più misericordioso che giusto’”.

Papa Francesco ricorda ai professori e studenti di una università cattolica: “Vi incoraggio a studiare come nelle varie discipline – la dogmatica, la morale, la spiritualità, il diritto e così via – possa riflettersi la centralità della misericordia. Senza la misericordia la nostra teologia, il nostro diritto, la nostra pastorale corrono il rischio di franare nella meschinità burocratica o nell’ideologia, che di natura sua vuole addomesticare il mistero. Comprendere la teologia è comprendere Dio, che è Amore”. La teologia, con le scienze sacre e umane che formano lo spazio integrale dell’intellectus fidei, si rivolge in primo luogo alle ferite e alle debolezze della mente umana, prodigandosi per la sua guarigione. E per questo frequenta generosamente anche le forme umane del sapere, del pensare e del comprendere, per arricchirle e fecondarle con l’ispirazione che viene dalla profonda meditazione della sapienza dell’amore di Dio.  In questo modo l’intelligenza della fede concorre alla testimonianza della tenerezza di Dio, della misericordia di Dio, per la sua creatura. Dio non vuole essere subito, bensì – per quanto è possibile all’umana creatura – essere amato e compreso, essere ascoltato e ascoltare, stabilire un dialogo ed essere apprezzato. Per questo coloro che piangono, i poveri, i piccoli, sono tra i segni più evidenti della presenza di Dio sulla terra. Il passaggio del Figlio eterno ci spinge a leggere in profondità il suo mistero di amore. Il nostro studio ci aiuti a mettere in bella copia – se così posso dire – il mistero della misericordia di Dio che salva. Il Natale è ci viene incontro perché anche noi, intenerendoci di fronte a quel Bambino che piange, possiamo convertire a lui il nostro cuore e i nostri pensieri.