L’Alzheimer ci obbliga a confrontarci con la nostra debolezza e con il mistero dell’esistenza

Di fronte al morbo di Alzheimer occorre «abbandonare il modello classico di uomo guidato, in modo centralizzato, dal solo sistema nervoso centrale, per assumere un modello diverso, che renda ancora ragione della singolarità e della personalità presente del malato di Alzheimer, agli occhi dei suoi familiari e di chi lo ama». É «un approccio che potrà aiutare medici e familiari a riconsiderare quell’unicità e quella peculiarità di ogni singolo essere umano che con l’Alzheimer pare smarrita o definitivamente perduta». «Sono certo che solo scienziati e medici appassionati dell’uomo, del suo mistero e del suo valore, sappiano percorrere strade sempre nuove per aiutare questo tempo e il mondo contemporaneo a non aver paura della debolezza ma ad accoglierla e curarla come parte integrante di ciò che è veramente umano».

Lo ribadisce Mons. Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, nel messaggio inviato all’Associazione «SOS Alzheimer» in occasione del convegno a Roma a Palazzo San Macuto per la XXV Giornata Mondiale dell’Alzheimer. Il messaggio di Mons. Paglia è stato letto da mons. Riccardo Mensuali. Infatti Mons. Paglia – come scrive lui stesso – è negli Stati Uniti per un Congresso sul tema delle cure palliative «ed è per questa ragione che non mi è possibile essere fisicamente presente all’Evento che celebra la Giornata Mondiale dell’Alzheimer».

Prendendo spunto dal Vangelo di domenica scorsa che racconta la guarigione di un sordomuto, Mons. Paglia nota che «c’è un particolare del racconto, che passa inosservato. Prima di compiere il miracolo, è scritto che Gesù “emise un sospiro”. Non è chiaro il senso di questo sospiro. O forse non lo è per chi non è mai stato vicino ad un malato di Alzheimer, ad un vecchio confuso che soffre di grave demenza senile. Il sospiro non è rassegnazione, disperazione. È una domanda sul mistero di una mente che si oscura e che rende sordi e muti, imprigionati in un mondo sconosciuto ai sani. Papa Francesco ama paragonare la Chiesa ad un “ospedale da campo”, posto in mezzo alle nostre città e aperto a chiunque, senza distinzione. La Chiesa, dunque, come un ospedale, vede bussare alla sua porta gli uomini feriti del nostro tempo. E si interroga su come accogliere e rispondere, insieme al mondo delle scienze e della medicina».

Alla Chiesa – aggiunge Mons. Paglia – interessa «l’uomo nella sua interezza, corpo e anima, mente e cervello, come una unità personale che è la cifra peculiare dell’umano. Soprattutto interessa assumere uno sguardo che trasmetta dignità anche quando la guarigione non sia possibile. Quando un malato riesce a posare il proprio sguardo su quello del dottore non vede la propria figura, ma il proprio “valore”, legge cioè se lui è ancora qualcuno che merita stima, che conta qualcosa».