“La vita non è una parentesi tra due nulla”

di Roberto Roveda

La Pasqua per i cristiani di tutto il mondo è il momento più solenne dell’anno. Per i credenti, infatti, ricorda il momento in cui Cristo ha saputo, con la Resurrezione, sconfiggere la morte e restituire così piena speranza all’uomo.

La Pasqua, per il cristianesimo, è l’annuncio che non tutto finisce al termine della vita terrena e che vi è un’eternità che ci aspetta se sappiamo abbandonarci pienamente all’amore di Dio.

Temi complessi, quelli pasquali, inutile nasconderselo. Tematiche che spiazzano il non credente e anche il credente, entrambi ugualmente immersi in una società come quella attuale dove ben poco spazio viene lasciato alla riflessione sulla trascendenza e sulla spiritualità.

Diciamocelo: di fronte a domande sul senso della vita e sul destino finale dell’uomo la maggior parte di noi non sa cosa pensare, preferisce non interrogarsi e vivere alla giornata sperando che il destino non si accanisca troppo. Una vera e propria rimozione che lascia poi spazio all’indifferenza e a un certo nichilismo.

Vincenzo Paglia, uomo di Chiesa e teologo, ma soprattutto attento osservatore delle dinamiche della società contemporanea, ci propone invece una via diversa di porsi di fronte all’esistenza. Una via che ci aiuti ad amare la vita, a viverla pienamente fino al momento finale, la morte, considerata non l’attimo ultimo e definitivo ma un passaggio indispensabile, una Pasqua, verso un nuovo modo di vivere.

Da queste riflessioni è nato “Vivere per sempre” (Piemme, 2018, pp. 196, anche e-book), libro coraggioso – perché oggi non è banale parlare di Aldilà e vita eterna – e capace di rivolgersi a tutti, credenti e non credenti, perché forte di un approccio non catechistico ma molto basato sull’esperienza personale dell’autore.

Paglia, infatti, non si rifugia nei dogmi del cattolicesimo, non ci propone una sorta di catechismo infarinato di New Age come spesso succede ai nostri tempi quando si parla di spiritualità. Ci ricorda che “da un lato la morte è realmente un’esperienza ostile, che avvilisce la vita consegnata da Dio alla creatura umana. Dall’altro, però, invita a riconoscere la morte come il segno più evidente della vulnerabilità della vita che tuttavia chiede un compimento”. Per questo non va rimossa, ma incontrata, sino al punto di chiamarla “sorella”, come fece Francesco d’Assisi.

La morte, prima di tutto, costringe l’uomo a confrontarsi con la propria fragilità e ci fa comprendere come tante delle nostre arroganze siano in fondo ridicole. La consapevolezza che tutto finisce non deve però diventare abbandono della speranza, senso di annichilimento, avvilimento, ma momento di spinta a fare meglio, ad impegnarsi sia che si creda in una prospettiva ultraterrena, sia che non si abbia alcuna fiducia in un futuro dopo la fine della vita.

Gli antichi, lo racconta la storia, credevano che l’unico modo per riscattare lo scandalo dell’oblio, l’insulto della morte fosse di compiere azioni che li tramandassero ai posteri. La prospettiva cristiana ci invita a considerare la vita terrena come un momento di avvicinamento alla pienezza dell’incontro con Dio.

In entrambi i casi quello che ci viene richiesto è di vivere pienamente, di non abbandonarci al caso, di sentirci parte di un grande progetto che per il credente si realizza in Cristo e per il non credente si può realizzare nel miglioramento del mondo in cui vive, in una società migliore da lasciare in eredità ai nostri figlie e nipoti. È questo il messaggio finale che ci lascia il libro di Paglia: “Il nostro passaggio nel mondo ha tutto l’aspetto di una iniziazione: al termine dei nostri giorni, il meglio di ciò che è venuto alla luce è ancora tutto da vivere, ci fa dire la fede. Potremmo dire: il bello deve ancora venire! Certo, il disorientamento di fronte alla morte ci accomuna tutti e profondamente. Se tutti, credenti e laici, potessimo concentrarci seriamente sul legame che ci accomuna nella sfida del senso della vita e del contro-senso della morte, l’intera nostra civiltà sarebbe diversa. La nostre angosce profonde e le semplificazioni con le quali cerchiamo di risolverle, creerebbero fra di noi ben altre complicità“.

E un modo diverso di vivere la vita, più sereno, più gratificante, più pieno.

L’UNIONE SARDA