La disuguaglianza non è una virtù

L’allarme del Governatore della Banca d’Italia, Vincenzo Visco, si deve assolutamente ascoltare: avremo un aumento delle disuguaglianze una volta finita la pandemia.

Lo scenario disegnato dal governatore contiene certo elementi di positività: un giudizio favorevole su quanto si sta facendo sul piano economico e finanziario. Certamente la ripresa ci sarà, lenta quanto si vuole ma ci sarà.

«La risposta delle politiche economiche, in Italia come nel resto del mondo, ha anzitutto mirato a governare l’emergenza sanitaria e a contenere la diffusione del virus anche con drastici provvedimenti di chiusura. Interventi di bilancio di dimensioni straordinarie hanno portato sollievo a famiglie e imprese colpite nel lavoro, nella produzione, nel reddito.

Ma come il “distanziamento sociale” appiattisce la curva dei contagi senza eliminare il virus, così le misure di sostegno contribuiscono a diluire nel tempo e ad attutire le conseguenze della crisi senza eliminarne le cause». Il passaggio centrale, a mio avviso, sul quale riflettere attentamente, è il seguente: «Il sistema produttivo dovrà garantire condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro (…). Durante questa transizione potrà ridursi l’occupazione e potranno protrarsi le situazioni di sospensione dal lavoro; ne saranno frenati i consumi (…). Potrà crescere il disagio sociale; le misure di bilancio mirano a contenerlo. Con il dissiparsi della pandemia potremo ritrovarci in un mondo diverso. Se intuiamo, in modo impreciso, e contrastiamo, con forza, la gravità delle conseguenze sociali ed economiche nel breve periodo, per quelle a più lungo termine possiamo solo riconoscere di “sapere di non sapere”. È molto difficile prefigurare quali saranno i nuovi “equilibri” o la nuova “normalità” che si andranno determinando, posto che sia possibile parlare di equilibri e normalità. Per affrontare tanta incertezza è però cruciale, oggi ancora più di prima, che siano rapidamente colmati i ritardi e superati i vincoli già identificati da tempo.

Oggi più di prima, perché una cosa è sicura: finita la pandemia avremo livelli di debito pubblico e privato molto più alti e un aumento delle disuguaglianze, non solo di natura economica. Solo consolidando le basi da cui ripartire sarà possibile superare con successo le sfide che dovremo affrontare». È uno scenario che ci sfida.

È uno scenario che coinvolge tutti, tutte le persone, tutte le famiglie, tutte le componenti della società, della politica, dell’economia. Non possiamo delegare al governo la soluzione di tutti questi problemi. Ognuno di noi ha un ruolo da svolgere. La Chiesa ha una risorsa straordinaria da mettere in campo: il valore aggiunto della Dottrina Sociale e il Magistero preciso di Papa Francesco su questi aspetti.

Un esempio: proprio alla Pontificia Accademia per la Vita, nella Lettera Humana Communitas, Papa Francesco ha scritto, l’anno scorso, dunque non in tempi di coronavirus, che «le molte e straordinarie risorse messe a disposizione della creatura umana dalla ricerca scientifica e tecnologica rischiano di oscurare la gioia della condivisione fraterna e la bellezza delle imprese comuni, dal cui servizio ricavano in realtà il loro autentico significato. Dobbiamo riconoscere che la fraternità rimane la promessa mancata della modernità.

Il respiro universale della fraternità che cresce nel reciproco affidamento– all’interno della cittadinanza moderna, come fra i popoli e le nazioni – appare molto indebolito». Dalla crisi si esce tutti insieme, disegnando un diverso modello di società. A sua volta l’Italia non ne esce fuori da sola ma insieme agli altri paesi, in una grande epoca di revisione dei modelli economici e degli stili di vita.

Una revisione che tocca ogni singola persona, uomo e donna, che calpesta il pianeta. Per essere ancora più concreti. È necessario un progetto di società per il futuro. Dove ci sia lavoro per il maggior numero possibile di persone; dove si lotti per l’uguaglianza, il che vuol dire contrasto alla povertà, all’evasione fiscale, ai comportamenti personali e pubblici che offuscano una visione del «noi» – secondo l’analisi che ho svolto proprio nel libro Il crollo del noi (Laterza 2017) – a favore di uno striminzito «io» incapace di reggere le sfide del futuro prossimo.

L’individualismo è un virus altrettanto pericoloso del Covid-19 e occorre rispondere con un progetto di società che passi per un rilancio dell’educazione e del divario digitale. Una società in cui i cittadini con le loro esigenze vengano ascoltati e dove la burocrazia sia ridotta e venga al servizio del bene comune. Le risorse ideali cui attingere ci sono tutte. Per il lato della riflessione ecclesiale abbiamo due straordinari concetti: il bene comune cioè il bene delle persone, il benessere sociale e lo sviluppo, in un contesto di pace.

È già un programma impegnativo! Il secondo concetto riguarda l’allarme del Governatore della Banca d’Italia, Vincenzo Visco, si deve assolutamente ascoltare: avremo un aumento delle disuguaglianze una volta finita la pandemia. Lo scenario disegnato dal governatore contiene certo elementi di positività: un giudizio favorevole su quanto si sta facendo sul piano economico e finanziario. Certamente la ripresa ci sarà, lenta quanto si vuole ma ci sarà. «La risposta delle politiche economiche, in Italia come nel resto del mondo, ha anzitutto mirato a governare l’emergenza sanitaria e a contenere la diffusione del virus anche con drastici provvedimenti di chiusura. Interventi di bilancio di dimensioni straordinarie hanno portato sollievo a famiglie e imprese colpite nel lavoro, nella produzione, nel reddito. (…) Ma come il “distanziamento sociale” appiattisce la curva dei contagi senza eliminare il virus, così le misure di sostegno contribuiscono a diluire nel tempo e ad attutire le conseguenze della crisi senza eliminarne le cause».

Il passaggio centrale, a mio avviso, sul quale riflettere attentamente, è il seguente: «Il sistema produttivo dovrà garantire condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro (…). Durante questa transizione potrà ridursi l’occupazione e potranno protrarsi le situazioni di sospensione dal lavoro; ne saranno frenati i consumi (…). Potrà crescere il disagio sociale; le misure di bilancio mirano a contenerlo. Con il dissiparsi della pandemia potremo ritrovarci in un mondo diverso. Se intuiamo, in modo impreciso, e contrastiamo, con forza, la gravità delle conseguenze sociali ed economiche nel breve periodo, per quelle a più lungo termine possiamo solo riconoscere di “sapere di non sapere”. È molto difficile prefigurare quali saranno i nuovi “equilibri” o la nuova “normalità” che si andranno determinando, posto che sia possibile parlare di equilibri e normalità. Per affrontare tanta incertezza è però cruciale, oggi ancora più di prima, che siano rapidamente colmati i ritardi e superati i vincoli già identificati da tempo. Oggi più di prima, perché una cosa è sicura: finita la pandemia avremo livelli di debito pubblico e privato molto più alti e un aumento delle disuguaglianze, non solo di natura economica. Solo consolidando le basi da cui ripartire sarà possibile superare con successo le sfide che dovremo affrontare».

È uno scenario che ci sfida. È uno scenario che coinvolge tutti, tutte le persone, tutte le famiglie, tutte le componenti della società, della politica, dell’economia. Non possiamo delegare al governo la soluzione di tutti questi problemi. Ognuno di noi ha un ruolo da svolgere. La Chiesa ha una risorsa straordinaria da mettere in campo: il valore aggiunto della Dottrina Sociale e il Magistero preciso di Papa Francesco su questi aspetti. Un esempio: proprio alla Pontificia Accademia per la Vita, nella Lettera Humana Communitas, Papa Francesco ha scritto, l’anno scorso, dunque non in tempi di coronavirus, che «le molte e straordinarie risorse messe a disposizione della creatura umana dalla ricerca scientifica e tecnologica rischiano di oscurare la gioia della condivisione fraterna e la bellezza delle imprese comuni, dal cui servizio ricavano in realtà il loro autentico significato.

Dobbiamo riconoscere che la fraternità rimane la promessa mancata della modernità. Il respiro universale della fraternità che cresce nel reciproco affidamento – all’interno della cittadinanza moderna, come fra i popoli e le nazioni – appare molto indebolito». Dalla crisi si esce tutti insieme, disegnando un diverso modello di società.

A sua volta l’Italia non ne esce fuori da sola ma insieme agli altri paesi, in una grande epoca di revisione dei modelli economici e degli stili di vita. Una “beni comuni”, le risorse del nostro pianeta di cui abbiamo bisogno e che dobbiamo preservare, affinché la vita sia possibile per tutti e il pianeta abbia risorse per tutti. È la Bioetica Globale. Tocchiamo con mano la straordinaria fecondità dell’idea stessa di “vita”. Una certa vis polemica, che stiamo superando, ha giudicato la Chiesa in posizioni di retroguardia nella sua difesa della vita umana. Oggi vediamo che la “vita” è un concetto non solo straordinariamente ricco ma gravido di implicazioni e conseguenze: la vita di ognuno è collegata agli altri, il singolo si connette con la società di cui fa parte; le società sono diverse ma all’interno di un’unica famiglia umana, la quale a sua volta vive e può vivere solo se siamo capaci tutti di rispettare il nostro pianeta, al di fuori del quale non si dà esistenza.

Nella grande visione della Bioetica Globale entra il progetto di ogni singola società. E di fronte alla sfida così complessa, tutti abbiamo un ruolo da svolgere. La nostra responsabilità individuale si collega ai comportamenti degli altri. Il Papa diceva: la fraternità è ancora non realizzata. Oggi abbiamo la straordinaria possibilità di realizzare una fraternità tra di noi società italiana e con le altre società. Fraternità universale: non un’idea ma un concreto modo di procedere. Come fare? Andiamo oltre i nostri confini.

Abbandoniamo ogni velleità propagandistica e populistica. Mettiamo al centro l’interesse comune, che è anche il mio interesse. Non il “tornaconto” (di cui come italiani finora andiamo “fieri” e sbagliamo! – ma davvero il bene comune. La partecipazione di tutti all’attuazione del bene comune implica, come ogni dovere etico, una conversione incessantemente rinnovata delle parti sociali. La frode e altri sotterfugi mediante i quali alcuni si sottraggono alle imposizioni della legge e alle prescrizioni del dovere sociale, vanno condannati con fermezza, perché incompatibili con le esigenze della giustizia. Ci si deve occupare del progresso delle istituzioni che servono a migliorare le condizioni di vita degli uomini. Ancora più in concreto: dare lavoro, fornire strumenti di educazione ed istruzione ai giovani, assicurare un futuro di connessioni sociali alle persone anziane.

È significativo, per tornare alla Banca d’Italia, il legame tra problemi economici e finanziari alle “disuguaglianze” sociali. Il grido d’allarme è stato lanciato. Tutti gli uomini e le donne di buona volontà hanno il compito di unirsi per rispondere, trovare soluzioni, far crescere (finalmente) società non più divise.

Il segretario generale delle Nazioni Unite qualche settimana fa ha rivolto un appello alla cessazione dei conflitti, perché il Coronavirus è una pandemia peggiore di ogni conflitto e l’umanità deve unirsi, non dividersi! È questa l’ora di farlo: sulla “barca” non c’è solo la Chiesa nella tempesta del “mare di Galilea”. Nella “barca” c’è tutto il pianeta. Per noi credenti Gesù indica la strada della fratellanza universale; ma sappiamo che è una strada per tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Anzi, per tutti, senza distinzioni!

IL RIFORMISTA