Fase 2, Ora una rivoluzione planetaria della fraternità

DOMENICO AGASSO JR

CITTÀ DEL VATICANO. «L’arte della preghiera non richiede l’apprendimento di regole astratte. A pregare si impara pregando». In sintonia con questa convinzione, monsignor Vincenzo Paglia invita chi crede e chi non crede a superare l’afasia di questa epoca incerta e sospesa, per ritrovare nei Salmi le parole più intime e appassionate di un dialogo con l’Eterno. Il suo consiglio, che diventa esortazione e incoraggiamento, è nelle pagine del suo nuovo libro, «L’arte della preghiera. La compagnia dei salmi nei momenti difficili» (Edizioni Terra santa), in uscita in questi giorni. Il volume diventa occasione per un’intervista a La Stampa-Vatican Insider, in cui il Presidente della Pontificia Accademia per la Vita affronta il tema della complessa ripartenza in questo tempo di pandemia. Paglia invoca una «rivoluzione planetaria della fraternità», che non può prescindere dalla cessazione di provocazioni e ostilità tra governanti, chiamati invece a «mettere al centro obiettivi comuni basati sulla solidarietà internazionale». Prendersi cura «gli uni degli altri – afferma – è il nuovo futuro che dobbiamo costruire». Altrimenti «non c’è affatto».

Eccellenza, come sarà il mondo dopo il coronavirus?

«Non sarà più lo stesso lavorare, instaurare relazioni, vivere nelle città e nei piccoli centri, studiare. E anche partecipare alla vita della Chiesa».

Come va ridisegnato il futuro?

«Cogliendo dentro questa tragedia della pandemia quei “segni” che possono aiutarci e diventare cardini dell’avvenire che ci attende».

Da che cosa occorre ripartire?

«Dalla scoperta della comune fragilità, messa in luce con durezza dalla pandemia. In alcune zone del pianeta la precarietà dell’esistenza individuale e collettiva è già da tempo esperienza quotidiana a causa della povertà. Noi invece pensavamo e ci affidavamo ciecamente ai “super-poteri” della scienza e della tecnica, fino a quando un virus ci ha fatto capire quanto siamo deboli. Perciò abbiamo bisogno del secondo segno: la fraternità».

In che senso?

«Il Coronavirus ci ha fatto toccare con mano quanto siamo tutti strettamente connessi. Il contagio si è diffuso e si diffonde con grande rapidità da un Paese all’altro; ciò che accade a qualcuno, diventa determinante per tutti. Questa dinamica rende ancora più evidente ciò che in verità già sapevamo, senza farcene adeguatamente carico: nel bene come nel male le conseguenze delle nostre azioni ricadono sempre anche sugli altri. Perciò la solidarietà di fatto tra tutti noi deve diventare una scelta: la vita è sempre una vita in comune».

Quali sono i passi da compiere?

«Serve una chiamata planetaria alla “rivoluzione della fraternità”. Anche nella Chiesa. “Prendersi cura” gli uni degli altri è il nuovo del futuro che dobbiamo costruire».

Passiamo al terzo indicatore?

«È il legame tra la famiglia umana e la creazione. Prendo spunto dalle parole che papa Francesco rivolgeva a Dio in quel venerdì sera 27 marzo in una piazza San Pietro completamente vuota. “Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti…”. Ed ecco, dove siamo arrivati. Quindi, non è stato il destino a farci precipitare nell’attuale tragedia. Ma le nostre scelte sciagurate».

Sul banco degli imputati c’è la globalizzazione?

«Certo ha portato enormi progressi nel pianeta, ma lasciata in balia del solo mercato, del solo profitto, e non della democrazia e della solidarietà, ha approfondito diseguaglianze enormi e dissesti drammatici nell’ambiente. Per questo è cruciale ripensare il modello di sviluppo che comprenda il valore primario e irrinunciabile di una convivenza tra tutti i popoli in armonia con il creato. Il futuro, il dopo coronavirus, o si costruisce sul primato della solidarietà, dei legami sociali, del prendersi “cura” gli uni degli altri, e anche del prendersi “cura” dell’habitat e dell’ambiente, o non c’è affatto».

E la Chiesa quale ruolo è chiamata a ricoprire?

«Deve entrare ancora di più nei grandi problemi del nostro tempo, perché la vita e la difesa della vita si declinano in maniera globale. È decisivo parlare di “bioetica globale”».

Ci spiega?

«L’esistenza si difende dall’inizio alla fine; si proteggono la dignità delle persone; le possibilità di sviluppo e miglioramento sociale. I temi dell’ambiente, delle tecnologie, degli sviluppi in campo sanitario sono decisivi per la qualità e la durata della vita di miliardi di persone».

Passando alla stretta attualità, come ha vissuto la chiusura delle chiese alle messe e cerimonie religiose?

«La Chiesa ha risposto con grande senso di responsabilità alle richieste dell’autorità civile. E lo ha fatto con grande sacrificio, perché le celebrazioni della domenica sono il centro della vita ecclesiale che è per definizione comunitaria. Riprendere le celebrazioni con i fedeli non è un “vezzo”. È il centro della vita cristiana: “la fonte e il culmine” dice il Concilio Vaticano II. Anche nei campi di concentramento i preti prigionieri assieme agli altri facevano di tutto per celebrarla, sfidando la morte. Com’è possibile che si aprano i supermercati e si tengano chiuse le chiese: non di solo pane vive l’uomo!».

Le attività della Pontificia Accademia sono sospese? Eppure avete appena celebrato un importante Congresso sulla Intelligenza Artificiale.

«Tutt’altro! Stiamo lavorando intensamente sui temi della salute, della difesa della vita, delle tecnologie. È uscito un articolo sull’importante rivista scientifica “Nature” che per l’appunto presenta e delinea le attività ed il lavoro della Pontificia Accademia sul tema dell’Intelligenza Artificiale. Un fatto importante per noi e non solo! Ed anche in relazione ad una nuova prospettiva per il riordino della sanità».

Oggi il problema della sicurezza sanitaria ha assunto un ruolo cruciale anche nelle relazioni internazionali e negli equilibri geopolitici. Per difendere la vita di tutti gli esseri umani e in particolare dei più fragili, il «vecchio» sistema degli organismi internazionali è ancora valido? A molti oggi l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) non appare credibile. Che cosa ne pensa?

«L’attuale sistema delle organizzazioni internazionali è stato fondato dopo la seconda guerra mondiale. Tuttavia, malgrado il tempo trascorso, rappresentano ancora un argine importante contro i nazionalismi. Oggi appaiono complessivamente più deboli e c’è chi dice che per questo non val la pena di sostenerle. Ma è un circolo vizioso. Le organizzazioni internazionali si sono indebolite per l’offensiva dei nazionalismi. Se gli Stati le vogliono in grado di operare efficacemente, devono sostenerle di più. È nell’interesse dei loro popoli. Credo di interpretare anche il pensiero del Santo Padre, dicendo per esempio che oggi c’è bisogno di un’Oms in grado di svolgere un ruolo forte sul piano medico e scientifico. Vorrei che tutti, dagli Stati Uniti alla Cina, passando per l’Europa, partecipassero con convinzione a un piano internazionale dell’Oms per trovare, produrre e distribuire il vaccino contro Covid-19».

In questi giorni si assiste a uno scambio di accuse reciproche sulle origini della pandemia…

«L’origine di una pandemia è un problema scientifico di grande importanza anche per poterla contrastare efficacemente e non deve essere strumentalizzato a fini di lotta politica o di propaganda diplomatica. Temo molto che ci si inoltri sulla strada delle provocazioni, forzature o censure. La pandemia non deve costituire un’occasione per inasprire i confitti, per esempio tra Stati Uniti e Cina, ma per nuove forme di collaborazione internazionale che l’attuale emergenza sollecita fortemente. Intorno alla difesa della vita, si intrecciano infatti molte questioni diverse, dalla pace alla salute, dai diritti umani alla dignità delle persone, fino all’uso dell’Intelligenza artificiale e questo intreccio richiede reti molto ampie di contatti internazionali che, in nome di una nuova fraternità, fuoriescano dai tradizionali schemi politico-diplomatici».

LA STAMPA