Congresso“Religion and Medical Ethics. Palliative Care and Elderly Mental Health”

I due temi scelti per questo Congresso sono le Cure Palliative e la Salute Mentale nell’invecchiamento. Si tratta di due ambiti importanti non solo per l’assistenza sanitaria ma per il futuro delle nostre società. Infatti, i malati inguaribili e gli anziani, soprattutto quando colpiti da infermità mentale, vengono spinti ai margini e si ritiene che non abbiano più nulla da offrire. Non sono produttivi, non servono, costituiscono un peso per le nostre società che fanno dell’efficienza un mito assoluto. Un atteggiamento denunciato da Papa Francesco che utilizza, come sapete, l’efficace espressione «cultura dello scarto».

La Pontificia Accademia per la Vita è impegnata a promuovere una cultura delle Cure Palliative non solo all’interno delle comunità dei credenti, ma ovunque nel mondo. Abbiamo già realizzato vari Congressi su questo tema sia in Italia sia in Europa; negli Stati Uniti con la firma di una Dichiarazione comune con la Chiesa Metodista;in Brasile, in Libano e in Qatar, dove nel gennaio 2018 ho firmato proprio con la dott.ssa Sultana Afdhal una Dichiarazione congiunta. Da non dimenticare poi il Position Paper sui temi del fine vita e delle Cure Palliative, firmato proprio in Vaticano il 28 ottobre scorso con i rappresentanti delle tre Religioni abramitiche.

Abbiamo pubblicato un Libro Bianco per la Promozione e la Diffusione delle Cure Palliative nel mondo, preparato da un gruppo internazionale di esperti. L’obiettivo è di far crescere non solo la conoscenza, ma soprattutto la pratica delle cure palliative. Ci accomuna la volontà di promuovere una «cultura palliativa», sia per rispondere alla tentazione di imboccare scorciatoie, di cui le più evidenti sono l’eutanasia e il suicidio assistito, sia per fa maturare una cultura della cura che permetta di offrire una compagnia di amore sino al passaggio della morte. Il movimento delle cure palliative, infatti, mentre esprime un modo sapiente di stare accanto a chi soffre, diviene anche un messaggio di come concepire l’esistenza umana. Esso comporta un modo ben preciso di convivere, che mette al centro la persona e il suo bene a cui tende non solo l’individuo, ma l’intera comunità, nella reciprocità.

Le cure palliative rappresentano un diritto umano e questa consapevolezza si va progressivamente diffondendo. Ma il vero diritto umano è continuare a essere riconosciuto e accolto come membro della società, come parte di una comunità. Questa prospettiva sta provocando una nuova riflessione anche nell’ambito della medicina. Sappiamo infatti che l’obiettivo della “guarigione” gioca un ruolo preponderante nella medicina contemporanea. Ma va evitato il rischio che sia l’unico scopo da ottenere a qualsiasi costo, dimenticando cioè il limite radicale che fa parte della nostra esistenza. L’illusione dell’immortalità, che fa da sfondo alla guarigione come assoluto, è pericolosissima. La radicale finitudine umana porta a escludere con decisione l’ostinazione nell’uso dei trattamenti, che infligge sofferenze inutili o addirittura dannose al paziente. Ma ridurre o sospendere i trattamenti quando non sono più proporzionati non significa abbandonare il malato. Quando non si può fare più nulla per guarire non è vero che non ci sia più nulla da fare. Si deve accompagnare, sollevare dalla sofferenza, aiutare a vivere tutto il tempo della debolezza con amore. Questo è agire nel rispetto e nella promozione della dignità.

Gli anziani sono particolarmente esposti ai rischi che abbiamo appena descritto e il Simposio che oggi iniziamo esamina proprio due tematiche che vi sono correlate, importanti anche per il futuro delle politiche sanitarie in tanti paesi nel mondo e non solo in Occidente. Assistiamo, infatti, da un lato a un crescente invecchiamento della popolazione; dall’altro alla diffusione di una cultura eutanasica, favorita da un mondo centrato sul profitto e da politiche sanitarie inclini a una mentalità contabile. Eppure sappiamo che una corretta pratica delle cure palliative e della terapia del dolore riduce le spese per interventi diagnostici e terapeutici impropri, prescritti nella logica della “medicina difensiva”. Gli esperti ce lo dicono e se ne parlerà durante i lavori di questo Congresso. Un aspetto ulteriore riguarda le Cure Palliative pediatriche. Quando la sofferenza colpisce i minori, i bambini, siamo ancora più scossi.

Vi è poi l’altra questione relativa alla salute mentale degli anziani. L’allungamento della vita comporta la crescita, tra le malattie invalidanti o comunque gravi, delle cosiddette demenze senili, in particolare l’Alzheimer che copre circa il 50% dei casi su mille. Il resto si suddivide tra la malattia di Pick (che lascia a lungo intatta la capacità di leggere e scrivere e che è contraddistinta dall’agitazione psicomotoria) e le demenze di origine vascolare, infettiva o traumatica. Si calcola che il 30% dei vecchi di 85 anni siano affetti dal morbo di Alzheimer (in Italia si parla di circa 500 mila persone colpite e, a livello mondiale, si prevede che nel 2050 ne soffrirà un individuo su 85). L’Alzheimer è temutissima. Potremmo dire che riassume le paure legate alla perdita di sé e della propria indipendenza: si può sopportare la perdita dell’autonomia motoria, ma non perdere la testa. Solo la paura del cancro supera quella dell’Alzheimer tra li americani. Così una ricerca del 2010 di MetLife. “Perdere la testa? Questa prospettiva mi terrorizzava…La nostra paura irrazionale di dimenticare ha fatto tanta strada nella nostra psiche che le nostre dimenticanze quotidiane provocano terrore e la diagnosi invoca pensieri di suicidio. Nella nostra moderna società dell’informazione nessuna competenza è più importante della agilità mentale”, scrive Ashton Applewhite. (Ashton Applewhite, Il bello dell’età p.76)

Ecco allora i campi in cui le religioni individuano una prospettiva comune: un accompagnamento che guardi alle dimensioni fisiche, psicologiche e spirituali di ogni persona. Una lettura dell’esistenza umana e della realtà che valorizzi l’esperienza religiosa consente di sperimentare e affermare un bene che va al di là della misura del calcolo. Il riconoscimento della costitutiva apertura alla trascendenza della persona consente di affermare che nella vita umana, anche quando è fragile e apparentemente sconfitta dalla malattia, vi è una preziosità intangibile.

Ecco perché la Pontificia Accademia per la Vita è impegnata su queste frontiere. Reinventare una nuova fraternità è la sfida antropologica e sociale dei nostri giorni. E proprio in questa linea Papa Francesco ha consegnato uno specifico mandato alla Pontificia Accademia per la Vita in occasione del venticinquesimo anniversario della sua istituzione, che si è celebrato l’11 febbraio di quest’anno. È un percorso su cui le diverse tradizioni religiose possono trovare una profonda sintonia. Esse infatti, a partire dall’incontro con il Creatore, ci consentono di riconoscere nel limite un aspetto della condizione umana che, pur suscitando nell’uomo ribellione e trasgressione, può aprirsi a un’altra lettura, in quanto luogo di relazione e di comunione. E questo vale non solo verso l’altro essere umano, andando oltre una percezione immediata che lo vede come un intralcio per i propri scopi, ma anche verso la natura e la terra. L’io trova la sua più compiuta espressione nella relazione, cioè nel noi. Il noi non è in realtà disgiungibile dall’io. E che l’esistenza di ciascuno si svolga in una permanente riscoperta di come il noi prevenga e fondi l’io è una dinamica a cui dobbiamo pazientemente restituire evidenza. L’umanesimo è costitutivamente solidale. Superando l’atteggiamento prevaricatore e predatorio che così spesso pratichiamo, ci viene così consegnato il compito di “custodire” l’altro e il creato, senza di cui la vita stessa della famiglia umana viene privata di ciò che la rende possibile.

Grazie

Centro Congressi “Augustinianum” – 11 dicembre 2019