Pregare per la pace in Terrasanta

Pregare per la pace in Terrasanta

E noi continuiamo a pregare, perché quest’ora non sia solo l’ora delle armi. E neppure degli odi che stanno riaffiorando in tanti versanti. La nostra è una preghiera che ci lacera il cuore. Tanto più che in questi giorni c’è come un contrasto drammatico tra il Vangelo della risurrezione e la catena di morti in Terra Santa. Gesù risorto, appena appare ai discepoli rinchiusi per paura nel cenacolo, le prime parole che dice sono: “Pace (shalom) a voi”. Ebbene, proprio questa parola che significa la pienezza di vita, è ferita a morte dalla tragedia israelo-palestinese. Giovanni Paolo II, come a sottolineare la profondità del dramma, è giunto a dire che in quella terra non si sta conducendo una guerra contro qualsiasi obiettivo, ma contro la pace, contro lo “shalom” (che significa amicizia, abbondanza, concordia, intesa, incontro e, più in generale, speranza che accada ciò che l’uomo più desidera, in fedeltà a Dio). Questo per dire che bisognerebbe forse mostrare solidarietà verso i due popoli e la loro aspirazione alla pace. Soffiare infatti sull’odio pretendendo di spegnerlo è davvero incredibile. Certo, la solidarietà a senza unico è vacua. E non perché si debba essere equidistanti, bensì per affermare che entrambi i fronti stanno conducendo una guerra contro se stessi se da una parte continuano gli attacchi terroristici e dall’altra la reazione è più che una operazione di polizia. Mi chiedo, inoltre, se non si debba iniziare anche a far emergere quelle dimensioni che prima o poi dovranno pur apparire per aiutare questi due popoli a convivere. Esasperare poi il conflitto anche nel versante “religioso”, come qualcuno continua a fare, non solo è falso, ma dannoso. Credo sia saggia e opportuna invece quella solidarietà che non si dirige contro i popoli, bensì contro il male che recano ai due popoli i rispettivi estremismi, che vanno inequivocabilmente condannati e contrastati. E per questo è necessario che cresca anche quell’opera tesa a mostrare i punti di convergenza e di comunanza tra le parti. Non c’è dubbio che è particolarmente arduo e difficile condurla. Eppure, a mio avviso, è necessaria. L’apostolo Paolo parlando del nuovo rapporto che veniva a instaurarsi tra Israele e l’intera umanità, un rapporto di riconciliazione totale e quindi di pace universale ove ogni divisione etnica e persino religiosa veniva superata, scriveva: “Cristo è la nostra pace, egli che ha fatto dei due uno solo…per creare in se stesso dei due un solo uomo nuovo, ristabilendo la pace, per riconciliare ambedue con Dio…per mezzo della croce distruggendo in se stesso l’inimicizia” (Ef 2, 13-18). Queste espressioni potremmo applicarle anche ai due popoli: israeliano e palestinese. Purtroppo il muro dell’inimicizia sembra essere stato rialzato e drammaticamente irrobustito. E penso con nostalgia a Martin Buber: “In Palestina – diceva – noi non abbiamo mai vissuto con gli Arabi, ma accanto a loro. La coabitazione di due popoli sulla stessa terra diviene fatalmente opposizione, se non si sviluppa nella direzione di un essere-assieme. Nessun cammino permette di tornare ad una pura e semplice coabitazione. E’ invece ancora possibile incamminarsi verso lo “stare assieme”, anche se numerosi ostacoli si sono accumulati su questa via”. Queste parole le pronunciò a Berlino nel 1929 davanti a un uditorio di personalità sioniste pochi giorni dopo che decine di ebrei erano stati barbaramente massacrati da alcuni arabi a Hébron. Quanto sono lontane da noi, oggi! Vicino abbiamo solo il pianto delle mamme israeliane e di quelle palestinesi per i loro figli che non sono più. E vi sento l’eco di quello antico: “un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più” (Mt 2, 17). I credenti, in questo lungo Venerdì Santo, durante il quale ancora una volta “si fa buio su tutta la terra”, preghino. E veglino, in attesa dell’alba del “primo giorno dopo il sabato”(Lc 24,1), quando la pietra pesante di questa guerra sarà rotolata via della tomba in cui versa oggi la Terra Santa. Il Signore che ha fatto risorgere il Figlio “può cambiare i cuori degli uomini”, soprattutto “di quanti hanno la responsabilità e il potere di compiere i passi necessari, anche se costosi, per avviare le parti in lotta verso accordi giusti e dignitosi per tutti”, come qualche giorno fa si è espresso Giovanni Paolo II. I credenti non cessino di pregare perché la Pasqua di risurrezione arrivi presto nella terra da dove essa è iniziata. E’ una terra che, per il suo forte simbolismo, appartiene al mondo intero. In quella terra c’è tutta la terra, e nella sua pace l’intera pace. Nella disperazione ci aggrappiamo al sogno di quella pace pasquale che Solov’ev sognava per il mondo intero: “Nella città di Dio non vi sono più nemici o stranieri, schiavi o proletari, criminali o condannati. Lo straniero è un fratello che vive lontano; il proletario, un fratello sfortunato bisognoso di aiuto; il criminale, un fratello caduto che dobbiamo risollevare”.