Pandemia e fraternità

«Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti.» (Papa Francesco, meditazione, sagrato della basilica di San Pietro, venerdì 27 marzo)

Nel bel mezzo della nostra euforia tecnologica e manageriale, ci siamo trovati socialmente e tecnicamente impreparati al diffondersi del contagio da Covid-19: abbiamo fatto fatica a riconoscerne e ad ammetterne l’impatto. Abbiamo scoperto che i “virus” non hanno frontiere. I muri non servono, non fermano le malattie, non riparano, anzi fanno aumentare confusione, incertezza, paure. Tocchiamo con mano la fragilità della vita, la vulnerabilità di ognuno di noi, delle società, delle tecnologie, di tutte le strutture e le sovrastrutture che abbiamo messo in piedi per sentirci ricchi, forti, indispensabili, privilegiati. È una fragilità che mette fuori gioco molte relazioni interpersonali e sociali. Una sorta di sospensione sine die del proprio modo d’essere. E un pensiero più o meno consapevole fa da sottofondo: nascondere il più possibile la morte. Potremmo dire che ci troviamo di fronte a una cesura drammatica tra il prima e il dopo questi mesi. L’epoca dei “virus” però fornisce un’occasione preziosa: la possibilità di riflettere sul significato della nostra esistenza come persone, come società, come esseri umani. Nella prima parte di queste riflessioni mi concentro sui temi del “noi” e del “prenderci cura” gli uni degli altri. E oltre alla riflessione desidero introdurre, sulla scia di quanto papa Francesco continua a donarci, qualche commento su alcuni salmi che ci aiutano ad andare verso quell’Oltre, che per noi credenti si chiama Dio e per chi non crede Mistero, che accoglie e supera l’abisso nel quale oggi tutti siamo caduti. Se la “pandemia” riguarda tutti; se la risposta migliore è concertata e globale, se la solidarietà nei comportamenti ci rende responsabili gli uni degli altri, abbiamo un’occasione per delineare già da ora alcune linee portanti del futuro che vogliamo costruire. Non è vero, infatti, che tutto tornerà come prima, dopo questa parentesi da incubo. E il domani sarà migliore? Non è scontato. È quanto accenno nella seconda parte. La forza della risposta che sapremo dare dipenderà anche da come affrontiamo questo tempo, con quale creatività immaginiamo il futuro, con quale audacia ci impegniamo per affrontare le innumerevoli sfide che abbiamo di fronte. Dobbiamo essere consapevoli che non si tratta semplicemente di fare meglio quel che già facciamo, bensì di un cambiamento di paradigma, d’un nuovo modello di sviluppo da realizzare. Già da ora è utile per tutti riflettere per capire l’oggi e per individuare il domani. In chiusura, riporto il documento Pandemia e fraternità universale, presentato a Papa Francesco il 30 marzo 2020, che la Pontificia Accademia delle scienze ha elaborato per contribuire alla riflessione condotta nel mondo della ricerca scientifica e umanistica.

(Introduzione del libro Pandemia e fraternità” edito da Piemme, pubblicata su Avvenire il 22 aprile 2020)