Te Deum 2007

Te Deum 2007

Care sorelle e cari fratelli,


 


abbiamo ascoltato le prime parole dalla lettera di Giovanni: “Figlioli, questa è l’ultima ora”. Queste parole dell’apostolo si riferiscono alla fine dei tempi, ma possiamo applicarle anche a quest’ora che sta per porre fine all’anno 2007. La Chiesa ci suggerisce di non terminare questo anno senza pensare al Signore e senza rivolgere a lui il nostro ringraziamento per tutti i suoi benefici. E pone sulle nostre labbra l’antico inno del Te Deum, che canteremo al termine di questa Santa Liturgia. E’ un inno pieno della sapienza di tante generazioni cristiane – pensiamo anche solo a quelle che si sono succedute in questa cattedrale per decenni e decenni – che sentono il bisogno di rivolgere in alto il loro cuore nella consapevolezza che siamo tutti nelle mani piene di misericordia del Signore. Non è difficile infatti lasciarsi prendere dalla sottile convinzione di essere noi i padroni di noi stessi e della nostra vita, di essere noi i padroni del nostro presente e del nostro futuro. Ed in parte è anche vero. Ma se dimentichiamo che è il Signore che veglia su di noi e che ci custodisce, cadiamo in una concezione atea della vita. Non di rado, infatti, rischiamo di vivere come se Dio non ci fosse nelle nostre giornate. E così è ancor più facile divenire complici delle forze del male, gettando noi stessi nella tristezza e il mondo nella violenza.


Il prologo del Vangelo di Giovanni ci ricorda che la nostra vita, anzi la stessa creazione, è stata fatta per mezzo del Verbo. Scrive Giovanni: “Tutto è stato fatto per mezzo di lui”. E’ a dire che siamo impastati di Dio; nel profondo del nostro essere c’è Dio stesso, appunto perché creati a Sua immagine e somiglianza. Da Dio veniamo e a Dio andiamo. E’ questo il senso della nostra esistenza. Questa coscienza faceva dire a sant’Agostino che il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Lui. Tutta la nostra vita è segnata dal desiderio di Dio. E’ in Dio che deve terminare l’ultima nostra ora, l’ultima ora del tempo e della storia. Dimenticare questo fine della nostra vita significa cadere nel vuoto, vivere senza senso già da ora. La Liturgia  del Te Deum ci ricorda il fine della vita e della storia e ci invita a indirizzare con maggiore coscienza la nostra vita verso Dio. La nostra esistenza e quella del mondo ha in Dio la sua conclusione come si vede bene nell’affresco di fondo della cattedrale. A Dio, attraverso il Figlio, portiamo l’intera nostra esistenza e quella del mondo.


A Lui questa sera vogliamo affidare il mondo intero. Mettiamo nelle sue mani le tragedie di questo nostro mondo, le innumerevoli tragedie che distruggono la vita di tanti. Per tutti pensiamo al dramma dei morti sul lavoro (ieri è morto l’ultimo operaio di Torino) e a quanto è accaduto in Pakistan con l’assassinio di Benazir Bhutto. E gli offriamo anche le speranze per un mondo nuovo che pure ci sono: penso ad esempio alla decisione delle Nazioni Unite sulla moratoria per la pena di morte. Lo sguardo si rivolge poi al nostro Paese segnato da una crisi spirituale prima ancora che sociale e politica. C’è come un tendenza che spinge a rinchiudersi nel particolare, che porta a correre solo per i propri interessi, a vivere solo per soddisfare le proprie voglie. E a qualunque costo. La paura e l’insicurezza fanno scegliere una vita priva di slancio e senza sogni. E’ come se la speranza di un futuro più giusto per tutti fosse ormai irrealizzabile. Cari amici, anche la nostra città rischia di essere travolta da questa crisi di speranza che vedo manifestarsi troppo spesso nel volto dei giovani. Non è questo il momento per parlarne diffusamente, ma sento l’urgenza che la comunità ecclesiale senta più fortemente la responsabilità di ridonare un’anima a questa nostra società.


E’ il senso della Lettera Pastorale che ci accompagnerà nell’anno che viene. E’ la terza Lettera, e conclude una immagine della Chiesa e della sua missione. Lo abbiamo ripetuto più volte e l’ho detto anche al Santo Padre nella Visita ad Limina del febbraio scorso quando ho dovuto narrargli gli ultimi cinque anni di vita della nostra Chiesa diocesana. Lui stesso ha potuto vedere con i suoi occhi la nostra gioia nel pellegrinaggio del novembre scorso che ha concluso questo itinerario pastorale. Abbiamo gioito per il cammino di questi anni. Non sto a ripercorrerlo. Ma come non rallegrarsi per la crescita della partecipazione alla Messa della domenica non solo nella coscienza dei fedeli ma anche nel numero di coloro che vi prendono parte? E come non rallegrarsi nel constatare che la Bibbia viene letta con più frequenza e più attenzione? E come non gioire nel vedere la significativa partecipazione nei consigli pastorali sia diocesano che parrocchiali nel trattare temi centrali per la vita della nostra comunità? Ed è una grande gioia vedere l’aumento dei seminaristi della Diocesi, come pure la crescita non solo numerica delle associazioni e dei movimenti. So bene che non mancano problemi e difficoltà: dobbiamo affrontarli con saggezza e con coraggio. L’aiuto del Signore che abbiamo sperimentato in questi anni chiede una nuova audacia.


Questa terza Lettera pastorale, che nei prossimi mesi sarà consegnata a tutte le famiglie della Diocesi, traccia alcune linee significative per l’anno che viene. Come più volte ho detto, non si distanzia dalla prima Lettera sulla Eucaristia e dalla seconda sulla Parola di Dio. Quest’ultima scende nel profondo del mistero cristiano: l’amore. Vogliamo porci su questa via. Sappiamo bene che la Chiesa non vive per se stessa, ma per il Signore, padre di tutti e particolarmente dei poveri. Mi tocca sempre il cuore quell’affermazione di Giovanni XXIII a proposito della Chiesa del Concilio. Diceva il “papa buono” che la Chiesa  nel Concilio vuole presentarsi quale è e quale vuole essere: madre di tutti e particolarmente dei poveri. E’ la sintesi della Lettera pastorale, ma soprattutto è la via che dobbiamo percorrere.


E’ una via bella, com’è stata bella questa cattedrale nel giorno di Natale quando ha accolto tanti per le celebrazioni e i poveri per il pranzo del 25. L’immagine di quel giorno è l’icona più vera della comunità cristiana. Il primato dell’amore, che si evidenzia con l’impegno concreto di ogni singolo credente ad amare i più poveri, deve appassionarci in questo anno che viene. Sì, dobbiamo squilibrarci verso i più deboli. Gli anziani e i malati, i carcerati e gli zingari, i senza fissa dimora e i soli debbono sentire che hanno nuovi e più numerosi amici. L’affermarsi non dell’assistenza, ma dell’amicizia per loro è il primo passo che ciascun credente deve compiere a partire dalla Messa della domenica. Strettamente legato a questo passo è urgente un rinnovato impegno verso la nostra città. La Chiesa non è estranea alla città. Abbiamo cercato di mostrarlo in questi anni. Numerosi sono stati gli interventi per aiutarne la crescita: penso a quelli evidenziati nella festa di San Valentino o ad altre iniziative per il mondo del lavoro. Sento però l’urgenza di una più chiara riflessione sulle responsabilità che come credenti abbiamo per l’edificazione della vita civile. La Chiesa, pur sapendo che la sua città è nei cieli, sa bene che il cammino verso di essa passa attraverso la costruzione di quella della terra. Anche questo ci ricorda l’affresco del fondo della cattedrale: si arriva alla città del cielo passando per quella della terra. Ecco perché, in accordo con il Consiglio Pastorale Diocesano, quest’anno affronteremo con particolare attenzione l’aspetto dell’amore cristiano nel suo legame con la giustizia. A partire dalla celebrazione di San Valentino vorremmo avviare una riflessione su “La Chiesa e la città” che troverà un suo culmine in un convegno che si terrà nel mese di aprile. Vorremmo invitare anche le diverse istituzioni sociali, economiche, amministrative, culturali e politiche di Terni per riflettere sulle responsabilità che i cristiani hanno nella edificazione di una società umana buona e giusta.


Care sorelle e cari fratelli, i mesi che verranno saranno importanti per la Chiesa e per la nostra città. Mettiamo questi nostri progetti nelle mani di Dio perché li benedica. Lo ringraziamo perché è stato buono con noi in questo anno che è trascorso. E offriamo a Lui, come nostro dono, la cappella dedicata a Maria Madre della Chiesa che questa sera riceve dall’amministrazione comunale – e la ringrazio – le casule per la celebrazione della Messa. A Maria, che domani celebreremo come Madre di Dio, affidiamo il nostro Te Deum perché assieme al suo Magnificat ci porti nel cuore di Dio.