Sinodo di Spoleto

Sinodo di Spoleto

Omelia apertura Sinodo a Spoleto


 


Sono particolarmente grato a Mons. Fontana per l’invito rivoltomi a presiedere questa liturgia per l’inizio del Sinodo Diocesano. La fraterna amicizia che ci lega da tanti anni trova in questo invito una singolare occasione di comunione. Come vescovo della diocesi vicina mi sento altresì onorato di poter salutare voi tutti chiamati a un atto, qual è il Sinodo, che è tra i più alti, se non il più alto, nella vita di una diocesi. Queste mie bervi riflessioni le porgo con affetto e con amicizia, sapendo bene che la vostra ricchezza diviene anche ricchezza mia e della mia diocesi.


Non è senza senso profondo che la vostra diocesi si accinga a celebrare il Sinodo proprio all’inizio di un nuovo millennio. Anzi, credo che nel vostro Sinodo ci sia il mistero di una vocazione da accogliere. Il tempo che viene non è un semplice cambio di calendario, ma una chiamata del Signore all’intera Chiesa diocesana di Spoleto. A voi raccolti in assemblea è chiesto di alzare lo sguardo da se stessi o dalle proprie singole realtà ecclesiali per guardare più in alto e oltre ancora. Vi è chiesta l’audacia di indicare all’intera comunità diocesana un nuovo cammino per il secolo che viene. Il tesoro di grazia che vi è stato donato, e che sinora questa chiesa ha custodito, va fatto crescere perché porti nuovi frutti. Non basta più vivere come sino ad ora abbiamo fatto; non basta più continuare con i ritmi di sempre. E’ giunto il momento di andare oltre, senza fermarsi sul già fatto. Ciascuno di noi può cedere alla tentazione di dire: cosa posso o debbo fare di più? Non è sufficiente continuare come ho sempre fatto, magari facendolo meglio? Care sorelle e cari fratelli, questa era la stessa domanda che il giovane ricco fece al Signore. Egli credeva di aver fatto già il possibile. Cosa poteva fare ancora? In realtà quella domanda nascondeva la paura di perdere le sue ricchezze, le sue sicurezze e le sue abitudini. Anche noi spesso crediamo di fare tutto il possibile. La verità è che se non si abbandona qualcosa non ci si rinnova. Se non ci apriamo con maggiore generosità e audacia al Vangelo, questa diocesi, il mondo, il nuovo secolo, saranno meno aperti all’amore. La nostra speranza, invece, è che il tempo che viene sia un tempo e un mondo più carico d’amore.


Non dobbiamo dimenticare che veniamo da uno dei secoli più tragici dell’intera storia umana. E il secolo iniziato non appare migliore o meno pericoloso. Non è questa la sede per tracciare, anche solo sommariamente, i tratti della nuova civiltà che si sta creando. Ma un punto credo sia necessario sottolinearlo. Se da una parte avanza il processo di globalizzazione del mondo, dall’altra cresce l’individualismo personale e nazionale. Non viene certo globalizzata la solidarietà, come lo stesso Giovanni Paolo II chiedeva lo scorso 1 maggio. La conseguenza è il ripiegamento su se stessi sia dei singoli che delle nazioni. Nel nuovo millennio siamo tutti entrati come a testa bassa, scarichi di sogni, di utopie, di prospettive ampie e generali. Ognuno, spinto a chiudersi nel proprio particolare, fa parte di una società di orfani, di uomini e di donne privi di amore, privi di difesa, privi di parole autorevoli sulla loro vita. In questo vuoto d’amore, la solitudine diviene il dramma dei nostri tempi. Diceva madre Teresa: “La peggiore malattia dell’Occidente oggi non è la tubercolosi e la lebbra, ma il non sentirsi amati e desiderati, il sentirsi abbandonati. La medicina può guarire le malattie del corpo, ma l’unica cura per la solitudine, la disperazione e la mancanza di prospettive è l’amore. Vi sono numerose persone al mondo che muoiono per un pezzo di pane, ma un numero ancora maggiore muore per mancanza d’amore”. Si tratta di un dramma non teorico o astratto, ma esistenziale, concreto, che tocca la vita quotidiana di tutti. E’ il dramma dei giovani alla ricerca disperata di un senso per le loro giornate, e perciò costretti a fare i salti mortali per attirare l’attenzione su di sé. E’ il dramma degli anziani che si sentono messi da parte dopo una vita di lavoro, e se poi non sono più autosufficienti non resta loro altro che l’abbandono in un angolo di qualche cronicario. E’ il dramma delle donne e degli uomini adulti costretti a una durissima concorrenza sul lavoro per poter sopravvivere. Non mi fermo su quel che la solitudine vuol dire per i poveri e per i tanti abbandonati che non sanno appunto dove sbattere la testa. Un mondo di persone sole, senza amore, potremmo dire orfani di padri e di madri.


La gente cerca comunque qualche rifugio, tenta la fortuna in ogni modo, oppure ricorre a forme più diverse pur di trovare una speranza. Tutti cercano protezione. E forse è proprio qui uno dei nodi della cosiddetta rinascita religiosa (o “rivincita di Dio”, come qualcuno ha scritto), dopo la crisi delle ideologie e dei facili messianismi o fondamentalismi. Ma il fenomeno va letto con attenzione. Penso alla New Age. Mai prima d’ora, e mai in così tanti paesi del mondo, uomini anche istruiti e all’apparenza sofisticati sul piano intellettuale si sono ritrovati con tale senso di impotenza, in un vortice di idee contraddittorie, dissonanti e passibili di provocare disorientamento. Ogni giorno porta con sé una nuova moda, una nuova scoperta scientifica, una nuova religione o un nuovo manifesto. E ciascuna di queste mode ha i suoi sacerdoti e i suoi guru, buoni per qualche ora o per qualche giorno…Insomma, gli uomini cercano disperatamente qualcosa, qualsiasi cosa, in cui però possano credere. C’è una spasmodica ricerca di benessere, di armonia, di protezione. La sfida che oggi dobbiamo raccogliere non è tanto l’ateismo teorico o la negazione di Dio attraverso la proclamazione di ideologie assolutiste, quanto la mancanza di senso della vita, che possiamo chiamare con molti nomi, ma che si può riassumere nell’assenza di una parola vera sulla propria vita, che è assenza di Paternità e di Maternità.


Abbiamo ascoltato dal Vangelo: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. E’ la proposta del Vangelo al mondo contemporaneo. Ad un mondo di soli si propone una Chiesa di comunione, ad un mondo di orfani una Chiesa come famiglia. E’ famiglia “spirituale”, ossia animata dallo Spirito Santo, e per questo ben più forte e ampia di quella basata solo sui vincoli della carne. Dare un Padre e una Madre a uomini e a donne che sono soli e orfani, racchiude a mio avviso l’intera pastorale. In un mondo di orfani e di sbandati, l’annuncio evangelico deve concretizzarsi nell’offrire una famiglia reale, concreta, con un Padre buono e una madre misericordiosa. Una famiglia ove si vivono i sentimenti evangelici della paternità di Dio, della maternità della comunità e della fraternità tra i fratelli è quello di cui tutti abbiamo bisogno, noi e gli altri, voi e la terra spoletina. In questa linea deve realizzarsi la vita di ogni comunità cristiana, diocesana, parrocchiale, religiosa, di movimento, di gruppo: essere davvero una famiglia, ove l’anonimato è bandito, ove la fraternità non è una parola vuota, ove la misericordia e il perdono sono pane quotidiano. Solo una Chiesa come famiglia di Dio può annunciare al mondo un Dio credibile e un Vangelo che attrae. Un Dio slegato da una famiglia, fosse anche l’Essere Perfettissimo, a chi interessa? Forse ai filosofi per rendere organico il loro pensiero o il quadro teorico da essi costruito, non certo a quella mamma con il marito che la violenta e con il figlio ch’è senza lavoro! E una Chiesa arida, fredda e anonima, priva di un Padre e quindi del calore dello Spirito, senza la familiarità e la fraternità di una vera famiglia, come può attirare ed essere credibile?

Il Sinodo che state per iniziare non è allora un evento solitario nella vita di questa diocesi, e neppure una pura indicazione di metodo. E’ piuttosto l’esperienza di una Chiesa come famiglia e, per questo, diviene l’immagine che presiede l’intera vita diocesana per il tempo che viene. Qui voi sperimentate la vita della famiglia di Dio, con tutta la sua ricchezza e tutta la sua fatica. Certo è che ognuno deve abbandonare se stesso per unirsi profondamente agli altri e formare “un cuore solo e un anima sola”, come scrivono gli Atti degli Apostoli della prima comunità cristiana. E’ nell’assemblea dei fratelli che Dio ha posto il Vangelo. E’ qui che trovate la Parola del Signore, come scrive il libro del Deuteronomio, perché essa è in mezzo a voi, è nella vostra bocca e nel vostro cuore. E tutto quel che dite e fate deve tendere alla costruzione comune: “Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso, senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri”. E’ l’esortazione di Paolo perché le vostre assemblee siano secondo lo Spirito del Signore. La celebrazione del Sinodo è pertanto il momento privilegiato ove i credenti, raccolti nella comunione rispettosa dei diversi carismi, vivono l’esperienza alta della bellezza e della grandezza della famiglia di Dio.


Vorrei chiudere questa mia riflessione con una citazione di un antico Padre della Chiesa. Scrive la Lettera di Clemente a Giacomo: “Tutta la realtà della Chiesa può essere paragonata a una grande nave, la quale attraverso una violenta tempesta, porta uomini che provengono da molte regioni e che vogliono abitare la sola città del buon regno. Il padrone di questa nave dunque sia per voi il buon Dio; il capitano sia paragonato a Cristo, il sottopilota al vescovo, i marinai ai presbiteri, i caporematori ai diaconi, gli arruolatori ai catechisti. Tutta la moltitudine dei fratelli, è rappresentata dai passeggeri; il mondo è il mare, i venti contrari sono le tentazioni, le persecuzioni, i pericoli e le tribolazioni di ogni genere sono le grandi ondate; le bufere torrentizie che vengono da terra sono i discorsi degli sviati e dei falsi profeti; le sporgenze e le asprezze dei luoghi sono quei potenti giudici che minacciano cose terribili; le secche e i luoghi infestati da mostri sono gli insensati e coloro che dubitano circa le promesse della verità; gli ipocriti possono essere paragonati ai pirati, quando al vortice terribile, al baratro infernale, agli urti cruenti, ai cedimenti mortali, pensate che sono solo i peccati. Se volete, dunque, navigando con il buon vento, essere condotti al porto della città sperata senza pericolo, pregate in modo di essere esauditi: ora le preghiere diventano esaudite grazie alle buone opere. 


I passeggeri, dunque, rimangano calmi, ciascuno seduto saldamente al proprio posto, perché con il loro disordine non provochino qualche scossone o facciano piegare la nave su di un lato. Gli arruolatori si ricordino delle paghe. I diaconi non trascurino nulla di ciò che è stato loro affidato. I presbiteri, come marinai, abbiano cura di dare a ciascuno le cose necessarie. Il vescovo, come vigile sottopilota, riferisca solo gli ordini del capitano. Cristo sia amato come il capitano salvatore, e si presti fede solo alle sue parole. Tutti poi preghino Dio per una felice navigazione”.