Sdegnati di fronte al mondo in macerie. C’è bisogno di una bioetica globale
CITTÀ DEL VATICANO. «Sono appena tornato dall’Argentina, da un convegno internazionale all’Università Cattolica di Buenos Aires sui dieci anni dalla Laudato Si’, l’enciclica di papa Francesco che apre in modi nuovi ai temi della tutela dell’ambiente. C’è uno straordinario interesse verso la Chiesa». È monsignor Vincenzo Paglia che parla, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, al telefono tra un volo aereo e un convegno.
Ci parli dell’Argentina, come l’ha trovata dopo la scomparsa di papa Francesco?
«È stato un viaggio breve ma intenso. Pesa, ovviamente, la morte di Papa Francesco. Ma c’è grande accoglienza per Leone XIV. Ho parlato di bioetica (sì alla difesa della vita in tutti i contesti, in tutte le fasi e a tutte le età) e di “umanesimo planetario”, ossia dell’urgenza, in un mondo che sta cadendo a pezzi, di incamminarsi tutti per realizzare una effettiva fraternità sia tra i popoli sia con il creato. È la “visione” di cui abbiamo bisogno e che papa Francesco ha delineato con le due encicliche, Laudato sì e Fratelli tutti».
Lei da pochi giorni, su indicazione di Papa Leone, non è più Gran cancelliere del Pontificio istituto teologico Giovanni Paolo II. Perché?
«È la prassi ordinaria nella curia romana: compiuti gli 80 anni tutti gli incarichi scadono. Io li ho compiuti nel giorno in cui è morto papa Francesco e la situazione ha fatto ritardare la notifica. Ovviamente termina anche il mandato come presidente della Pontificia accademia per la vita. In realtà, già alla scadenza dei 75 anni, come tutti avevo presentato le mie dimissioni a papa Francesco il quale mi disse di continuare fino agli 80 anni. Tutto qui».
A proposito della Pontificia Accademia per la Vita, di quale orizzonte c’è bisogno per la congiuntura attuale, all’alba dell’età dell’Intelligenza artificiale?
«In primo luogo della prospettiva di una Bioetica Globale, con le maiuscole. Scienza e tecnologie aprono campi nuovi e promettenti, insidiati da risvolti involutivi e drammatici. La collaborazione tra scienziati e ricercatori apre inedite dimensioni per la durata della vita, le tecniche chirurgiche, l’intelligenza artificiale mutano l’intera percezione del tempo e del senso della vita, individuale e collettiva. I nuovi problemi etici hanno una dimensione di evidenza globale, che trascende le diverse culture e i livelli di sviluppo: perché vanno a toccare i fondamentali dell’umano, che è comune a tutti: la configurazione psichica, l’identità sessuale, la dignità individuale, l’accesso alle risorse, le libertà essenziali. Le meraviglie di cui si parla, saranno a disposizione di pochi o di molti? Vivremo meglio, grazie alle nuove tecnologie di accrescimento delle potenzialità o ci elimineremo più facilmente, con la maggiore sofisticazione degli apparati militari di smaltimento degli scarti?».
Che farà adesso?
«In questo senso, non cesserò di continuare a cooperare volentieri, sfruttando la mia esperienza e secondo le mie forze all’impegno al quale oggi tutti – compresi gli “anziani” – siamo chiamati a rispondere. Papa Leone si è già mostrato decisamente sensibile all’impatto epocale delle nuove tecnologie, il cui salto di qualità chiede un corrispondente cambio di passo dell’impegno culturale dei credenti. Nelle forme che mi saranno possibili, non mi sottrarrò all’appello».
Come vede Papa Leone XIV? Si parla molto sulla continuità tra un pontificato e l’altro.
«C’è sempre continuità nella Chiesa, pur nella differenza. C’è infatti una linea di progressivo approfondimento di temi, in base all’esperienza e all’epoca storica, ma in continuità. Da Giovanni XXIII, ad esempio, dal Concilio in avanti, vediamo con chiarezza una Chiesa che vuole essere presente nel mondo; una Chiesa che si preoccupa di ascoltare e raccogliere le gioie e i dolori, e rispondere nel nome del Vangelo indicando a tutta l’umanità la via del dialogo, della pace, di uno sviluppo integrale delle società e delle persone. Le risposte non vanno cercate nell’affermazione degli egoismi e del fare qualcuno o qualche Paese più grande degli altri».
Leone XIV quale contributo può dare al rapporto tra Chiesa e umanità?
«Rafforzerà il “nuovo umanesimo”, che è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno. Si deve aprire un’epoca in cui i saperi sono chiamati a collaborare in vista di uno sviluppo sostenibile per l’intera umanità. Abbiamo bisogno di una “visione” che unisca i popoli rispettandone le diversità. Mi pare che i primi passi di Leone XIV sono esattamente in questo senso: la Chiesa può aiutare l’umanità smarrita a ritrovare il senso della vita e della comune destinazione. Come era smarrita al tempo della Rerum Novarum di Leone XIII a fine Ottocento. È urgente interrogarsi su come affrontare le “nuove sfide” che abbiamo davanti».
In che senso?
«Siamo in una terza guerra mondiale “a pezzi”, come diceva papa Francesco, combattuta con straordinaria crudeltà; contro i civili, contro gli innocenti come i bambini, le donne, gli anziani. Si uccide e si lascia morire di fame senza pietà. Stiamo fagocitando il futuro dell’umanità e ipotecando la coesistenza pacifica; lasciamo macerie in una scia di orrori ed errori che si ripercuoteranno per decenni, ipotecando i rapporti tra i popoli. E siamo smarriti. Non credo ai proclami politici di facili soluzioni alle crisi e ai drammi che non si sono voluti prevenire quando era possibile. Siamo smarriti, delusi; mi consenta di dirlo: sdegnati verso l’incapacità della politica e della diplomazia a risolvere problemi. Serve una visione dell’umanità pacificata. Un nuovo umanesimo. La strada esiste: una pace disarmata, disarmante, umile, perseverante. Sono parole pronunciate l’8 maggio da papa Leone XIV. Ci siano di guida e ispirazione».