San Valentino 2006

San Valentino 2006



Caro mons. Gualdrini, gentili autorità, cari sacerdoti, care sorelle e fratelli,


 


ancora una volta ci ritroviamo assieme nella festa di San Valentino. Siamo venuti in tanti su questo colle per stringerci ancor più attorno al patrono della nostra città. Sono passati più di diciassette secoli dalla sua morte, avvenuta proprio il 14 febbraio, eppure continuiamo a sentirlo come il pastore buono che ha guidato e curato questa città con un amore grande e generoso. Valentino l’amore l’aveva appreso dal Vangelo e ha reso presente e vivo Gesù in questa nostra città. Gesù infatti è il vero buon pastore che dona la sua vita per le pecore e non un mercenario che quando vede il pericolo o la fatica fugge dal suo gregge. Valentino ha imitato Gesù e non si è lasciato cogliere dalla paura o dall’egoismo di salvare se stesso. Egli, come tanti altri cristiani in passato e ancora oggi, ha dato la vita per amore. Sì, sono tanti gli uomini e le donne che, sedotti dall’amore di Gesù, hanno vissuto pensando più agli altri che a loro stessi. È per questo che quest’anno consegneremo il “Premio San Valentino” alla memoria di Giovanni Paolo II il quale, non solo ha amato in maniera forte ed efficace questa nostra città e le sue acciaierie, ma ha mostrato al mondo intero come si ama. È trascorso quasi un anno dalla sua morte e resta un esempio e un riferimento ancora vivo.


E non posso non ricordare un altro cristiano che ha dato la vita per il Vangelo e per rendere questo nostro mondo meno disumano. Mi riferisco a don Andrea Santoro, mio compagno di classe sin dalle scuole medie. Il suo martirio, la sua testimonianza di amore sino alla effusione del sangue, resta per me un esempio di come seguire il Vangelo, di come vivere l’amore, di come spendere la mia via. Abbiamo bisogno di testimoni come questi, come lo fu Francesco d’Assisi, come lo è stato Mons. Romeo e come lo sono tanti preti e laici che spendono la loro vita per amore. Abbiamo bisogno di questi testimoni perché l’amore, care sorelle e cari fratelli, non è scontato; soprattutto l’amore come quello di Gesù. L’amore cristiano non nasce per carattere o per abitudine, si riceve dall’alto, si domanda in ginocchio e per viverlo richiede impegno, lotta, sacrificio, esercizio, fedeltà, creatività, forza. Mi ha colpito una frase che don Andrea ha scritto poco tempo fa mentre attorno a lui cresceva un clima di violenza che voleva attizzare anche i cristiani: “Noi siamo uomini della croce, non della spada”. Sì, noi cristiani siamo uomini dell’amore non della spada, appunto come Valentino. Ieri sera anche Benigni ci ricordava che nulla resiste all’amore. L’amore è più forte anche della morte. Un caro amico, che è di fede laica, mi ripete sempre che la fede religiosa ha una marcia in più, quella appunto dell’amore che travolge. In questi giorni dobbiamo ricordarci che l’amore cristiano ha un eroismo in più. Diceva bene quel grande cristiano che era Albert Schweitzer, un artista e biblista protestante che lasciò la sua terra per andare in un lebbrosario in Africa: “Dobbiamo ridiventare capaci di sentire ancora in noi ciò che vi è di eroico in Gesù… Solo allora il nostro cristianesimo e la nostra concezione del mondo ritroveranno l’eroico e ne saranno vivificati”. L’amore cristiano è una eredità che il Signore ci dona e ce la dona anche attraverso l’esempio di San Valentino. Credo che dovremmo rivendicarla di più questa tradizione, non certo sulla via del folklore o di un gretto localismo, ma sul piano di un messaggio alto e forte. Un antico testo cristiano fa dire ai discepoli da Gesù: “Io vi do un’eredità che il mondo non ha, l’amore”. Sì, care sorelle, l’amore è una eredità che riceviamo e che dobbiamo offrire al mondo.


Questo è il senso profondo del nostro essere oggi attorno a San Valentino: cogliere l’amore che lui stesso ha vissuto e seminarlo nel mondo. L’intera città di Terni sente il fascino di questo amore, anche chi tra noi non ha il dono della fede. Facciamo bene tutti ad essere orgogliosi che San Valentino sia conosciuto nel mondo intero: molti neppure sanno chi sia, altri ne hanno forse svilito la memoria e altri ancora neppure vi pensano. Non importa. Quel che conta è che attraverso di lui si parli di amore. A noi la responsabilità perché questa memoria di amore sia vissuta e manifestata. Sono stato lieto quando la Conferenza Episcopale Italiana mi ha chiesto se eravamo disposti a fare di Terni una tappa di riflessione sull’amore in vista del Convegno nazionale della Chiesa italiana che si terrà a Verona nel prossimo ottobre. Quest’anno tutte le diocesi italiane partecipano al mese valentiniano. E siamo rimasti sorpresi domenica scorsa quando il cardinale Lopez Trullo, al termine della celebrazione per la festa della  maternità, ci ha detto che vuole proporla a tutte le diocesi del mondo. È senza dubbio una festa straordinaria quella che stiamo vivendo. E lo è anche perché comprendiamo meglio quanto il mondo abbia bisogno di amore.


La straordinarietà di questo mese valentiniano è data anche dall’enciclica di Benedetto XVI sull’amore proprio alla vigilia di questa festa. Molti, pensando a Papa Ratzinger, pensavano che la sua prima enciclica avrebbe difeso dottrine e condannato errori. No, il Papa ha parlato di amore, come faceva san Valentino. E ha detto che Dio stesso è amore, dando così il fondamento teologico alla festa di San Valentino. E il Papa ha parlato di amore perché il mondo ne ha bisogno. Ne abbiamo bisogno noi, il nostro paese lacerato da un clima di asfissia, ne ha bisogno il mondo che non riesce a sollevarsi dai conflitti. Papa Benedetto ha gridato al mondo che “Dio è amore”, che è la fonte dell’amore, anche dell’eros. Anzi, l’eros è dentro il mistero stesso di Dio. E quando l’eros non è più dono ma ripiegamento su se stessi Dio lo salva con il suo Spirito, l’agape, perché l’uomo si riapra agli altri. Sì, agli uomini travolti dalla violenza e dalle guerre, dall’abbandono e dall’ingiustizia, agli uomini ripiegati su se stessi e sui propri interessi personali, Papa Benedetto ha voluto presentare un Dio dal volto umano, un Padre buono innamorato degli uomini. Sì, Dio si è innamorato di noi, e non perché siamo buoni e giusti, ma perché bisognosi di aiuto, di conforto, di sostegno, di perdono. Chi di noi non sente il bisogno di essere amato? Chi di noi non ha bisogno di essere sostenuto? Sì, cari amici, oggi guardiamoci dentro, nel profondo del cuore, e riconosceremo quanto abbiamo bisogno di essere amati. E se ci guardiamo attorno scopriamo che l’amore è davvero raro, ed raro soprattutto per i più poveri e i più deboli: penso agli anziani, ai piccoli, ai soli, agli stranieri, ai carcerati. Anche Terni ha bisogno di amore.


Noi cristiani, da questo colle, riceviamo il compito di dare a Terni e al mondo l’amore. È dall’amore che deve ripartire la vita delle nostre comunità cristiane, delle nostre parrocchie. Tutto nella vita della nostra Diocesi deve scaturire dall’amore. E noi cristiani non abbiamo altro interesse che amare e rendere la vita di questa città più bella per tutti. È questo lo spirito che ci deve animare cari sacerdoti e che deve sostenere le parrocchie e i tanti movimenti e associazioni. Noi cristiani non possiamo essere chiusi all’interno delle parrocchie, noi esistiamo per rendere più umana questa nostra città. Il Vangelo ci rende esperti di umanità, ci rende amanti dell’uomo e della donna. Noi cristiani di Terni non dobbiamo avere altro vanto che quello di amare tutti, senza porre frontiera alcuna, a partire dai più deboli. Troppo spesso rischiamo di vivere il nostro cristianesimo senza che la forza dell’amore trasformi le nostre giornate e cambi la vita nostra e di chi ci sta intorno. L’amore deve diventare il lievito delle nostre giornate, deve diventare una corrente che traversa i sentieri profondi di questa città. E vorrei che chi non si ritiene cristiano possa sentire il fascino di questa corrente di amore evangelico. E ci scopriremo vicini su quella via dell’amore che tutti coinvolge e che ci permette di costruire assieme un futuro nuovo per noi e per la città. San Valentino continua a radunarci perché ha seminato nel profondo del cuore di Terni l’amore.


È dall’amore che potrà nascere un nuovo futuro anche per Terni. In questo momento storico ancor prima che di programmi e di proposte, abbiamo bisogno di una energia spirituale nuova, di un amore più robusto per il bene comune di tutti. Sì, l’amore è una energia inarrestabile capace di ridare nuova vita alla nostra città. Molte sono le riflessioni da fare. Oggi mi permetto di offrire alla nostra comune riflessione solo un piccolo, modesto, contributo perché si avveri una rinascita nostra e della città. Terni è stata in passato un esempio di crescita sia nella demografia che nell’economia. È vero però che da una trentina di anni combatte contro lo spettro del declino. Ma, non è la fine delle potenzialità della città. E’ anzi il tempo di continuare con maggiore convinzione e determinazione l’impegno, già iniziato, di far crescere la città verso un nuovo futuro. Si rende forse necessaria una modernità più flessibile, che non si affida più al grande numero e alla grande organizzazione, o non soltanto ad essi, e che punta invece sulla qualità, sulla creatività, sulla conoscenza, sull’apertura, su un modo diverso di vivere e di essere responsabili della città. Una modernità nelle quale contano sempre di più i comportamenti delle persone, le loro caratteristiche, le loro capacità personali. È questo, mi pare, l’alveo nel quale si sta sviluppando il piano universitario e la neonata Fondazione per le Cellule Staminali e altre iniziative intraprese.


Ma è urgente che Terni – è così comunque per ogni città moderna – affronti il futuro formandosi e riformandosi continuamente, giorno per giorno, vivendo attivamente non solo le sfide dell’economia internazionale, ma anche quelle della cultura, dell’informazione e delle nuove forme della modernità. Terni insomma deve continuare a cambiare; non può fermarsi ripiegandosi su se stessa. Ma dobbiamo ricordarci che la città non cambia se non cambiano gli uomini e le donne che la vivono. Siamo noi, tutti noi a fare la città giorno dopo giorno. Sì, cari amici, dobbiamo intervenire sui nostri comportamenti che innervano la vita quotidiana di questa nostra città e cambiarli. Se non alziamo i nostri occhi, se non abbiamo qualche visione audace Terni resterà a guardare in basso a contemplare i propri piccoli e vari orizzonti. Lo sguardo verso gli interessi comuni deve prevalere con decisione sugli interessi egoistici. Il futuro, lo sviluppo di questa nostra città, ma anche della nostra regione, non può essere solo di una parte: o è di tutti o non sarà. Si richiede una nuova attitudine e nuovi comportamenti che rispettino le regole della convivenza, della solidarietà e della sana competizione. Solo così si potranno erodere gli spazi al particolarismo, al localismo e alla protezione solo di cerchie sociali ristrette.


Questo nuovo slancio interiore richiede una maggiore fiducia tra noi, una maggiore stima tra le diverse componenti della città. La fiducia è uno dei presupposti per rapporti sociali costruttivi, per relazioni economiche stabili, per ridurre gli effetti delle condotte puramente utilitaristiche degli individui, dei gruppi, delle imprese, delle associazioni, della stessa comunità cristiana. La fiducia consente di investire sul futuro, trasforma il tempo da rischio in opportunità, riduce il peso del controllo sociale e del continuo negoziato. La fiducia, alla cui base sta non solo un atteggiamento individuale ma anche un’esperienza socialmente condivisa di apertura e di libertà, riduce l’incertezza, sgretola gli effetti paralizzanti del rischio, spinge a coniugare rischio, creatività ed innovazione. Certo, la diffidenza può avere egualmente corso nella vita della nostra comunità locale e può, a suo modo, ridurre l’incertezza ed il rischio. Ma lo fa ad un prezzo molto alto: al prezzo di paralizzare la vitalità delle persone e dei gruppi sociali. La diffidenza conta sulla protezione e sulle garanzie per bilanciare i costi che impone alla vita sociale; la fiducia conta invece sulle risorse della persona e sulla speranza. E la speranza insegna a cercare e ad amare la traccia dei doni che Dio ha fatto ad ogni uomo e ad ogni donna di questa comunità, la fiducia costruisce nella concretezza della vita quotidiana relazioni sociali aperte e dinamiche. Lo scorso anno, proprio nell’omelia per San Valentino dicevo: “è facile rassegnarci e ritirarci nel nostro piccolo mondo […] La rassegnazione gela la speranza di una vita nuova, di un mondo più giusto e più felice. E continuiamo a vivere senza sognare più una vita piena, giusta e bella per tutti” (La Bibbia ridona il cuore, p.12).


Abbiamo bisogno di una nuova creatività. Ma non mancano fattori che possono soffocarla. Per questo dobbiamo temere gli interessi chiusi e corporativi; la mancanza di opportunità per tutti, indipendentemente dalla condizione sociale di origine o dalla cerchia sociale di appartenenza; la mancanza di scambio e di apertura dei gruppi professionali, delle diverse realtà economiche, delle istituzioni culturali. Sì, occorre “oltrepassare” gli steccati delle cerchie sociali per sperimentare, sul piano dei rapporti sociali e su quello della produzione delle idee, il senso di una città aperta e pluralista. La creatività è anche attraversamento dei confini dei saperi; è sgretolamento di quelle idee che non ammettono discussione; è isolamento di tutto ciò che non ammette dibattito o lo impedisce, lo teme, lo soffoca. La città ha bisogno di far crescere, perdonatemi il paradosso, uomini e donne in certo modo “indisciplinati” o ancor meglio “innamorati” per un futuro migliore per tutti. È urgente crescere nell’amore per il bene comune di tutti e trasformeremo anche l’invidia in emulazione. Sappiamo bene per esperienza quanto l’invidia impedisca la crescita: le nuove realizzazioni vengono viste come minaccia e non come risorsa, come attentato ad un’ambigua tranquillità costruita attraverso la cura di interessi particolari. Una comunità che coltiva l’invidia è una comunità insicura, che non rischia, che conta non sulle proprie forze ma sulla protezione di qualcuno. E’ perciò una comunità debole. Assecondare l’invidia vuol dire preferire una falsa uguaglianza ad matura e feconda competizione per un lavoro comune nella solidarietà. La competizione non crea divisione, mette invece in circolazione capacità di creare e di innovare. Se l’invidia e la diffidenza alimentano il declino, la competizione e l’apertura innalzano lo sguardo, allargano i cuori, mettono la città in dialogo con il mondo che la circonda.


Cari amici, tutti siamo chiamati oggi dal nostro patrono a riscoprire l’amore come la forza di cambiamento per noi e per la nostra città. Sì, dobbiamo far crescere l’amore a Terni. Ma c’è un punto da cui partire, lo accenno appena perché avremo modo di parlarne in futuro. L’amore vero parte da quello verso i più deboli. Personalmente vorrei iniziare oggi stesso a porre una attenzione nuova agli anziani più soli. Di qui vorrei che partisse un invito: ogni cristiano di Terni abbia un anziano per amico, quelli che sono nei cronicari, quelli che sono soli nelle case. Da questo amore costruiamo un futuro migliore per chi ha speso la sua vita per la nostra città. L’amore che il Signore ci dona e che San Valentino ci mostra, è la grande eredità che fa rinascere la nostra città.