Pasqua 2001

Pasqua 2001

Care sorelle e cari fratelli,


 


è la prima Pasqua del nuovo millennio. Questo secolo che abbiamo appena iniziato ode per la prima volta il grido gioioso: “Cristo è risorto dai morti!” E’ un grido che quest’anno, per una singolare coincidenza di calendario, risuona ancora più forte, perché questa Pasqua è celebrata assieme da tutti i cristiani. Anche qui a Terni, in questo stesso momento, i nostri fratelli e sorelle ortodossi presenti in questa nostra città stanno celebrando la Pasqua nel rito bizantino nell’antica chiesa di Sant’Alò. Potremmo dire così che anche qui l’annuncio della risurrezione oggi è più forte. La divisione tra i cristiani, infatti, ha senza dubbio indebolito il Vangelo di Pasqua, ch’è annuncio di vita, di amore e di pace. Senza questo annuncio il mondo è più buio, è senza luce, è senza speranza. Come “era buio” quando Maria di Magdala si recò al sepolcro. Lo nota l’evangelista. Era buio fuori, ed era buio dentro il cuore di quella donna; il buio per la perdita dell’unico che l’aveva capita: non solo le aveva detto cosa aveva nel cuore, soprattutto l’aveva liberata da ciò che l’opprimeva più di ogni altra cosa. E Maria, con il cuore triste, si recava al sepolcro. Forse ricordava i giorni precedenti la passione, quando gli asciugava i piedi dopo averglieli bagnati con unguento prezioso, e gli anni, pochi ma intensi, passati con quel profeta. Con Gesù l’amicizia è sempre prendente; si potrebbe dire che quest’uomo non lo si può seguire da lontano, come ha fatto Pietro nei giorni scorsi. Arriva il momento della resa dei conti e quindi della scelta di un rapporto definitivo. L’amicizia di Gesù è di quella specie che porta a considerare gli altri più di se stessi: “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15, 12). Maria di Magdala lo constata di persona quel mattino quand’è ancora buio. Il suo amico è morto perché ha voluto bene a lei e a tutti i discepoli, Giuda compreso.


Appena giunta al sepolcro ella vede che la pietra posta sull’ingresso, una lastra pesante come ogni morte, è stata ribaltata. Neppure entra. Corre subito da Pietro e da Giovanni: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro!”, grida, trafelata. Neanche da morto, pensa, lo vogliono. E aggiunge con tristezza: “non sappiamo dove l’abbiano messo”. La tristezza di Maria per la perdita del Signore, anche solo del suo corpo morto, è uno schiaffo alla nostra freddezza e alla nostra dimenticanza di Gesù anche da vivo. Oggi, questa donna è un alto esempio per tutti i credenti. Solo con i suoi sentimenti nel cuore è possibile incontrare il Signore risorto. Le sue parole e la sua disperazione mossero Pietro e l’altro discepolo che Gesù amava. Nell’ambone nuovo della cattedrale ho voluto che fosse ricordata anche questa splendida scena: Giovanni e Pietro che, trafelati, corrono verso la tomba. Al centro c’è l’angelo bianco della risurrezione seduto sulla pietra che chiudeva la tomba, divenuta ora il pulpito del Vangelo della risurrezione. All’altro lato ci sono le tre donne di cui parlano i Vangeli sinottici. Pietro e Giovanni “corrono entrambi”. Durante la passione seguivano da lontano, ora corrono. E’ una corsa che esprime bene l’ansia di ogni discepolo, di ogni comunità, che cerca davvero il Signore. Anche noi forse dobbiamo riprendere a correre. Quanti di noi, infatti, cercano davvero il Signore? Quanti sentiamo la preoccupazione di perderlo? La nostra andatura non è, invece, diventata troppo lenta, appesantita dall’amore per noi stessi, dalla paura di perdere qualcosa di nostro, dal timore di dover abbandonare abitudini ormai sclerotiche? Bisogna riprovare a correre, ossia bisogna aprire con più frequenza il Vangelo, bisogna tornare con maggior coscienza a Messa, bisogna commuoversi di più sui deboli, bisogna, insomma, uscire dal proprio egocentrismo e far spazio al Signore e al Suo Vangelo. Il mondo, Terni, ciascuno di noi, ha bisogno di amore. E non possiamo più aspettare. Ecco perché la Pasqua è anche fretta. E non a caso giunse per primo alla tomba il discepolo dell’amore: l’amore fa correre sempre. Certo giunse anche Pietro, ed ambedue entrarono nel sepolcro. Trovarono le bende al loro posto come svuotate del corpo di Gesù e il sudario “ripiegato in un angolo a parte”. Non c’era stata né manomissione né trafugamento: Gesù si era come liberato da solo. Non fu necessario per lui sciogliere le bende come per Lazzaro. Essi “videro e cedettero”, nota l’evangelista. Si erano trovati davanti ai segni della risurrezione e si lasciarono toccare il cuore.


Fino ad allora infatti – prosegue l’evangelista – “non avevano ancora compreso la Scrittura, che egli doveva risuscitare dai morti”. Questa è spesso la nostra vita: una vita senza resurrezione e senza Pasqua, rassegnata di fronte ai grandi dolori e ai drammi degli uomini, rinchiusa nella tristezza delle proprie abitudini. La Pasqua è venuta, la pietra pesante è stata rovesciata e il sepolcro si è aperto. Il Signore ha vinto la morte, e vive per sempre. Non possiamo più starcene chiusi nel nostro egoismo come se il Vangelo della resurrezione non ci sia stato comunicato. Il Vangelo è resurrezione, è rinascita a vita nuova. E va gridato a tutti. Questa Pasqua non può passare invano; non può essere un rito che si ripete uguale ogni anno; essa deve cambiare il cuore e la vita di ogni discepolo, di ogni comunità cristiana. Si tratta di spalancare le porte al risorto che viene in mezzo a noi, come leggeremo nei giorni prossimi durante le apparizioni ai discepoli. Egli deposita nei cuori il soffio della resurrezione, l’energia della pace, la potenza dello Spirito che rinnova. Scrive l’apostolo: “Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio” (Col 3,3). La nostra vita è come coinvolta in Gesù risorto e resa partecipe della sua vittoria sulla morte e sul male. Assieme al risorto entrerà nei nostri cuori il mondo intero con le sue attese e i suoi dolori, com’egli manifesta ai discepoli le ferite presenti ancora nel suo corpo, perché possiamo cooperare con lui alla nascita di un cielo nuovo e una terra nuova, ove non c’è né lutto né lacrima, né morte né tristezza perché Dio sarà tutto in tutti.