Natale al tempo del Coronavirus

Ma cosa resta dello spirito originario della festa cristiana per antonomasia, tra restrizioni sanitarie, decreti e ordinanze in un continuo stato di emergenza, per fronteggiare la pandemia dopo i mesi di lockdown, sofferenze e perdite che hanno messo a dura prova l’esistenza quotidiana delle persone? L’arcivescovo Vincenzo Paglia, 75 anni, non ha dubbi: «Credo che questo difficile Natale sia anche una grande occasione per riscoprirlo nella sua forza e nella sua vera origine», afferma il Presidente della Pontificia Accademia per la vita, Presidente della Federazione Biblica Internazionale, giornalista e saggista, vicino dagli anni ’70 alla Comunità di Sant’ Egidio.

Nel suo ultimo suo libro, «Pandemia e fraternità» (Piemme), parla della forza dei legami umani che «riapre il futuro»: come declinarli nel distanziamento sociale?

«L’emergenza sanitaria ha avuto un forte impatto sulla vita quotidiana e le relazioni umane. Ma il dramma che ci ha abbattuti ha due aspetti positivi: ci ha fatto scoprire che siamo fragili, come individui; e vulnerabili sono anche la società, le strutture e sovrastrutture costruite in difesa di privilegi con un senso di onnipotenza che è una causa della pandemia. E se pandemia e fragilità riguardano tutti, allora il vero vaccino contro l’infermità richiede una risposta concertata e globale, che passa per la fraternità e la solidarietà: valori non solo cristiani, ma le fondamenta su cui poggia la sopravvivenza dell’umanità. Nessuno può salvarsi da solo».

Papa Francesco ha ammonito i credenti di non dimenticarsi della «gioia: il cristiano dice – è gioioso anche nelle prove». Ma come si può far festa, in questo momento?

«La gioia non è un sentimento individuale, ma sempre legato agli altri, anche se costa: non si può esser felici da soli. Si pensi alla gioia della nascita dopo il travaglio del parto, o alla generosità dei volontari che si prodigano per gli altri, con la gioia di chi riceve che si raddoppia in chi la dona. La solidarietà, l’accoglienza, l’altruismo sono moltiplicatori di bene che ripagano di ogni sacrificio in una continua primavera del mondo. In questo Natale così difficile c’è una sola via: liberare l’irresistibile creatività dell’amore. Gesù non si lasciò intimorire dalle difficoltà. Anche noi possiamo trovare i modi per sentirci vicini senza scoraggiarci».

Il Pontefice ha anche detto che «il consumismo ci ha sequestrato il Natale»: «anziché lamentarci di quello che la pandemia ci impedisce di fare, facciamo qualcosa per chi ha di meno». In che senso il Coronavirus è un’occasione?

«Basta pensare al primo Natale, che fu molto difficile. Come questo. Anche a Betlemme ci fu un lockdown per Maria e Giuseppe. Nessuno li accolse, ma non ritornarono a Nazareth. E nemmeno Gesù tornò in Paradiso, ma scelse di nascere in una stalla per non lasciare sola l’umanità: questo Dio capovolto, con il suo gesto di amore inconcepibile, è il primo motivo per far festa. Un fatto così potente che gli antichi, non ancora avvelenati di individualismo e consumismo, iniziarono a contare gli anni da quell’evento che ha cambiato la Storia, in un prima e un dopo Cristo. Se siamo attenti, anche questo Natale può cambiare la storia: ci aiuta a non soccombere al male, a mutarlo in opportunità di crescita. Ma bisogna comprenderne e rivivere la sua profonda forza trasformatrice: Gesù è già nato. Ricordare questa nascita può far rinascere in tutti quel primo Natale. Se ci priviamo di tante superficialità possiamo riscoprire la bellezza dell’incontro, del non lasciare indietro nessuno, di dare spazio ai bambini».

Ma ora proprio l’incontro tra generazioni è a rischio. Su nomina del ministro della Salute Speranza lei è presidente della Commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria agli anziani: a che punto siete?

«La Commissione ha chiesto e ottenuto, con una circolare del Ministro, di consentire in sicurezza visite di familiari e amici agli anziani in Rsa che da quasi un anno vivono raggelati in una solitudine che ha il sapore dell’abbandono, con ricadute sulla salute. Occorre una nuova attenzione di tutta la società alla questione degli anziani, spesso soli: il 33% della popolazione. Stiamo lavorando a un nuovo paradigma di assistenza, che parta da quella domiciliare e punti a una sanità di prossimità, di quartiere, vicina alle persone: l’allungamento degli anni di vita è una conquista, ma trascorrerli in istituti un paradosso».

(Il Mattino)