La scomparsa di Birthe Lejeune, da sempre in difesa della vita

Benedetta Capelli – Città del Vaticano

Il 16 maggio 2017, Papa Francesco nominò Birthe Lejeune membro onorario della Pontificia Accademia per la Vita. Suo marito Jéróme Lejeune ne fu il primo presidente e, dopo la sua scomparsa nel 1994, lei fu responsabile della Fondazione che il marito aveva creato in difesa dei più fragili. Ieri la morte, all’età di 92 anni, dopo una lunga malattia. Birthe era stata sempre al fianco di Jerome, scienziato e scopritore nel 1958 della sindrome di Down, uomo di grande fede per il quale è in corso la causa di beatificazione.

La vita difesa sempre

“Non abbiamo abbandonato quei bambini e non abbiamo smesso di consigliare le famiglie”: aveva detto Birthe ad “Avvenire”, spiegando il suo impegno nella Fondazione Lejeune che portava avanti in una speciale sintonia con il marito, al di là della presenza fisica. Entrambi convinti che la vita andasse difesa sempre, non per motivi teologici ma perché era evidenza scientifica che il feto e l’embrione sono già vita. Una convinzione che li portò costantemente a difendere i più deboli, in particolare i bimbi down che, prima della scoperta di Jérôme Lejeune, erano tenuti nascosti perché i genitori venivano incolpati della loro condizione. Lo scienziato dimostrò invece che non ne avevano alcuna responsabilità.

Jérôme Lejeune fu amico di Giovanni Paolo II che, per il suo impegno, gli affidò la presidenza della Pontificia Accademia per la Vita. Nel 1997, Papa Wojtyla nel suo viaggio in Francia rese omaggio alla tomba dello scienziato. Sulla figura della moglie Birthe si sofferma monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita:

Ascolta l’intervista a monsignor Vincenzo Paglia

R. – Per me questa mattina, apprendere della morte di Birthe Lejeune è stata una cosa triste. Era la moglie di Jérôme Lejeune per il quale è in corso anche la causa di beatificazione; uno scienziato, un credente che ha speso la sua vita e la sua scienza proprio per difendere e sostenere la vita e per questo ha pagato anche amaramente ma, devo dire, all’interno della vita della Chiesa ha dato una testimonianza straordinaria e uno dei frutti è l’Accademia per la Vita. Ricordo la signora Lejeune, che ho conosciuto fin da quando sono stato nominato da Papa Francesco come presidente della Pontificia Accademia per la vita: pur essendo avanti negli anni, non solo non aveva perso la passione che fu anche di suo marito ma nemmeno la convinzione che l’Accademia, assieme alla Fondazione Jérôme Lejeune che lei ha creato in Francia, fossero dei pilastri di questa vera e propria battaglia per difendere la vita. E dobbiamo dire grazie al professor Lejeune che ebbe questa intuizione e fu concorde con Giovanni Paolo II.  Non c’è dubbio che lui mostrava delle convinzioni più profonde rispetto a qualsiasi tentazione eugenetica o anche malthusiana. Lo stesso vale anche per la signora Lejeune che ha seguito suo marito e ha continuato a testimoniare questa passione fino alla fine della sua vita.

Infatti si può dire che è stata ambasciatrice di tre missioni: cercare, curare, difendere che sono poi i motti della Fondazione

R. – Sì, io la ricordo piccola ma vivacissima anche quando l’Accademia iniziava una sua nuova fase per affrontare le nuove frontiere; pensiamo a quello che sta accadendo oggi con la pandemia, con l’intelligenza artificiale, con la robotica, con le manipolazioni genetiche e così via. C’era la sua passione nel cercare di comprendere e di accompagnare. Vorrei sottolineare un aspetto che ovviamente riguarda in particolare il marito della signora Lejeune ma che lei condivideva: il rapporto stretto, di circolarità virtuosa tra essere credenti, essere scienziati ed essere appassionati nel costruire una società davvero più umana. In questo contesto il loro matrimonio ha avuto una sua forza particolare, la loro testimonianza ci sottolinea quanto sia importante, ancora oggi, legare la scienza e la fede. Assieme al marito la sento anche vicina alla nostra Accademia per continuare a difendere, sostenere e accompagnare la vita sempre, dovunque e in ogni situazione o condizione nella quale essa si trovi.

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