Diaconato di Stefano Mazzotti

Diaconato di Stefano Mazzotti

Era domenica, come oggi, quando Giovanni fu rapito in estasi e fu invitato a voltarsi. Anche noi, sorelle e fratelli, oggi siamo invitati a voltarci, a non guardare, come d’abitudine, noi stessi e a non vagare dietro i nostri pensieri, ma a contemplare quel “figlio d’uomo”, lo stesso che era entrato nel cenacolo quella sera della prima Pasqua. Il Vangelo ci dice che i discepoli avevano le porte chiuse. Sembra un’abitudine, visto che Gesù le trovò chiuse anche otto giorni dopo. E quante volte le trova chiuse ancora oggi! I nomi di queste porte chiuse sono tanti: egocentrismo, amore per se stessi, pigrizia, rassegnazione, sicurezza delle proprie idee, superbia, durezza del cuore, e così oltre. E tutti siamo abilissimi nel costruire tali porte chiuse. La nostra salvezza però sta nel fatto che Gesù continua a superarle. Anche questa. Direi, anzi, che non solo le supera, le spalanca con questa ordinazione diaconale.


Ci siamo raccolti in tanti attorno a don Stefano. Ringrazio mons. Gualdrini per la sua presenza e per quanto ha fatto per lui. E poi ci sono i familiari di Stefano, i sacerdoti e i diaconi della diocesi, i superiori e gli amici del Collegio Caprinica e i fedeli di questa parrocchia. Siamo qui per dirti, caro don Stefano, che ti vogliamo bene, e che oggi ti stiamo vicino con particolare affetto. Tu non viene da questa terra, ma oggi ti sentiamo ancor più fortemente figlio di questa Chiesa, e ancor più profondamente fratello nostro. Sì ci stringiamo tutti con affetto attorno a te. Ma è soprattutto il Signore a starti vicino e a guardarti con quello stesso sguardo di cui parla il Vangelo: “Gesù, fissatolo, lo amò” (Mc 10,21). A te, soprattutto a te, oggi viene chiesto di volgere gli occhi oltre i sette candelabri d’oro e vedere quel “figlio d’uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d’oro”. Vedilo con gli occhi del tuo cuore. Scrive Giovanni che, al vederlo, cadde come morto, davanti lui. Anche tu, don Stefano, ti stenderai a terra, caduto come morto, per ricordare a te e noi tutti qual è la nostra vera posizione davanti a Dio. Quel “figlio d’uomo” davanti a cui ti prostri, oggi sta in mezzo a noi. E sta non come uno che ambisce di essere servito, bensì come uno che serve, come uno che vuole coinvolgere te e noi nel suo cuore, nel suo servizio. Potremmo dire che Gesù, per primo, ha guardato oltre se stesso.


Quella sera di Pasqua disse ai discepoli: “Come il Padre ha mandato me, così anch’io mando voi” (Gv 20, 21). Non solo essi non debbono stare più a porte chiuse; essi debbono continuare la stessa sua missione. Caro don Stefano oggi Gesù ti chiede di guardare oltre te stesso, come Lui ha sempre fatto, sin da quando non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio e si fece servo, schiavo, per guadagnare tutti a Dio. Questa era la sua vita: servire il Padre. E per questo gli antichi lo chiamarono: “diacono del Padre”. Quel “figlio d’uomo con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una cintura d’oro”, era quel maestro e Signore che si era chinato pochi giorni addietro la veste con l’asciugatoio e si era inginocchiato ai piedi dei discepoli per lavarglieli. Neppure i servi potevano lavare i piedi al maestro: solo gli schiavi. E Gesù stava in mezzo ai suoi come “colui che serve”, come diacono.


Anche tu hai l’abito lungo fino ai piedi e sarai cinto al petto con una cintura d’oro. Ti sono dati perché tu possa imitare Cristo “servo”, servo di Dio e degli uomini. Questo abito lungo e la cintura d’oro non vengono da te. Li ricevi dal Signore. I nostri abiti naturali sono ben diversi. Altre sono le nostre abitudini naturali. Per noi è naturale credere solo alle nostre sensazioni; fermarci solo a quel che vediamo e a quel che pensiamo; pensare che noi sappiamo cosa significa la nostra realizzazione. Del resto il mondo non ci esorta a realizzare noi stessi piuttosto che a fare la volontà del Padre, nostra vera realizzazione? E siamo mai stati esortati dal mentalità del mondo a stenderci a terra, come fra poco don Stefano farà? Non ci esorta, invece, il mondo a stare in piedi e difendere la nostra dignità? Del resto anche Tommaso, potremmo dire, voleva difendere la sua dignità di persona saggia, furba e per nulla credulona. Così Tommaso freddò la gioia dei discepoli che gli annunciavano il Vangelo di Pasqua: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”. E Gesù, ancora una volta, tornò e superò il suo orgoglio scettico con un amore senza limiti: “Metti qua il tuo dito – disse a Tommaso – e guarda le mie mani. Accosta anche la tua mano e mettila nel mio costato; smetti di essere incredulo e diventa uomo di fede”. Tommaso davanti a Gesù ancora segnato dalle ferite della croce, non poté fare altro che confessare la sua fede: “Signore mio e Dio mio!” E Gesù continuò: “Perché hai veduto, hai creduto? Beati quelli che pur non avendo visto, crederanno”. E’ la proclamazione dell’ultima beatitudine del Vangelo. Da quel momento in poi, sino ad oggi, sono beati quelli che ascoltano. Ecco, caro don Stefano, il legame stretto tra il diaconato e il Vangelo. Beati quelli che ascoltano. Sì saranno beati quelli ai quali annuncerai il Vangelo. La loro felicità dipenderà anche da te. Ecco perché il diacono è anche servo della felicità degli uomini.


Narra poi un’antica leggenda che la mano destra di Tommaso rimase, sino alla sua morte, rossa di sangue, come segnata indelebilmente dall’amore di Gesù. Oggi, con il sacramento del diaconato, anche tu, caro don Stefano, in certo modo, metti la tua mano nella ferita, nel cuore di Gesù, come per apprendere fisicamente da lui, dal suo cuore, l’amore, la passione, il desiderio di servire non te stesso ma il Signore e i poveri, coloro che come Gesù sono segnati dalle ferite della violenza e della cattiveria. Prima che un ministero, è un cambiamento profondo del cuore: è lasciarsi squarciare il proprio cuore. E come le ferite di Gesù, anche questa resterà aperta per tutta la vita. Sì, la tua mano e il tuo cuore, dovrà essere sempre rossi del sangue di Gesù. Per questo, nella preghiera di ordinazione, chiederò al Signore che tu “sia pieno di ogni virtù: sincero nella carità, premuroso verso i deboli e i poveri, umile nel servizio, retto e puro di cuore, vigilante e fedele nello spirito”. Non distogliere mai i tuoi occhi dal Signore Gesù che è venuto non per essere servito ma per servire. E sappi che questa non è la via del sacrificio; al contrario, è la via della beatitudine, come disse Gesù: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”. Potremmo anche tradurre non c’è gioia più grande che essere e fare il “diacono”.