Mercoledì delle ceneri

Mercoledì delle ceneri

Care sorelle e cari fratelli,


 


ci troviamo questa sera in cattedrale per un momento straordinario di preghiera e di digiuno per la pace. E siamo assieme ai cattolici del mondo intero, ad altre Chiese cristiane che hanno accolto l’invito del Papa e a tanti altri uomini e donne di buona volontà preoccupati delle sorti della pace nel Medio Oriente. Con questo mercoledì inizia per i cristiani il tempo della quaresima. Un tempo carico di storia, che sembra purtroppo svuotarsi sempre più di senso in un mondo distratto, ove persino il carnevale è più incisivo e presente. E’ un “tempo debole” rispetto ai “tempi forti” degli interessi personali, di gruppo o di nazione. Eppure, abbiamo estremo bisogno del “non senso” del tempo quaresimale. Nei secoli passati, i cristiani d’Oriente, durante la quaresima, giungevano a privarsi persino della comunione per non interrompere il digiuno. E nell’Occidente la quaresima era così piena di senso da far nascere la famosa “tregua di Dio”: papi e principi stabilivano (questo accadeva alla fine del primo Millennio) che dovevano essere interdette tutte le azioni di guerra dal mercoledì delle ceneri sino alla Pasqua. Mai la quaresima doveva essere di guerra.


Giovanni Paolo II torna a proporre con vigore la forza spirituale che si sviluppa da questo tempo. Questo vecchio Papa si fa eco dell’invito di Dio che troviamo già in Gioele: “Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti”(2, 12). Il profeta commentava l’invito di Dio: “Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore vostro Dio, perché egli è misericordioso e benigno, tardo all’ira e ricco di benevolenza e si impetosisce riguardo alla sua sventura”(Gl 2, 13). La quaresima è il tempo opportuno per ritornare a Dio e ricomprendere se stessi e il senso della vita. La liturgia ci viene incontro con l’antico segno delle ceneri. E’ stato emarginato dai nostri razionalismi e dai nostri sensi di modernità, eppure ritorna di grande attualità. Quella cenere, accompagnata dall’espressione biblica: “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai”, vuol dire certamente penitenza, ma soprattutto significa una cosa molto semplice: siamo tutti polvere, siamo tutti deboli e fragili. Sì, quest’uomo che s’innalza e che si sente potente (e ognuno di noi ha i suoi modi per innalzarsi e per sentirsi potente), domani non è più nulla. Questa nazione che s’innalza e si sente forte e sfodera le armi, domani si scoprirà tragicamente debole e fragile. Siamo tutti polvere! E la cenere che tra poco ci sarà messa sul capo ce lo ricorda. No, non è per aumentare la paura e tantomeno per spingerci all’eliminazione reciproca. Ha fatto bene il Papa a ricordare quella verità semplice che nasce dal comandamento dell’amore: “mai potremo essere felici gli uni contro gli altri”. Nella vita cristiana riconoscersi deboli e fragili è decisivo. Ci libera dalla visione manichea di dividere il mondo in due, dove buioni siamo sempre noi e i cattivi sono sempre gli altri e quest’ultimi da allontanare e da eliminare. La debolezza e la fragilità sono dimensioni decisive della vita di tutti, anche della nostra. Per questo dobbiamo cercare quel che ci unisce, fare del tutto per trovare le vie dell’incontro e della pace tra noi e tra i popoli. C’è un senso liberante nel non dover sempre far finta di essere forti e di essere senza macchia e senza contraddizioni. La vera forza sta nel considerare la propria debolezza e nel tener vivo il senso di umiltà e di mitezza. Gesù continua a dire: “Beati i miti perché erediteranno la terra”(Mt 5,5). La mitezza non ci fa solo beati, ci fa anche forti.


Il segno delle ceneri resta, perciò, quanto mai attuale. E’ un segno austero che ci viene dato per comprendere quant’è grande l’amore di Dio che ha scelto di legarsi a gente debole e fragile come noi per affidarci il grande dono della pace. E’ un dono preziosissimo che dobbiamo vivere, custodire, difendere, costruire. Al contrario, in troppe parti del mondo la pace viene quotidianamente sperperata. Si sta sperperando in Medio Oriente, soprattutto in Terra Santa, ove l’odio e l’ingiustizia non possono che spingere verso una spirale di morte che diviene inarrestabile. Questa sera raccoglieremo le offerte del digiuno che domani porterò io stesso a Betlemme, come segno della nostra solidarietà. La pace viene sperperata nelle sofferenze del popolo irakeno schiacciato dall’embargo e dal regime; e una nuova guerra lo farebbe sprofondare nella disperazione più nera, creando per di più uno scontro senza fine tra mondi che possono e debbono convivere. La pace è sperperata in tanti altri paesi ove continuano le stragi di deboli e di innocenti, come in un immenso e barbaro mattatoio.


Giovanni Paolo II ci chiede di iniziare questo tempo con il digiuno e la preghiera “per la causa della pace, specialmente nel Medio Oriente”. Le parole del profeta Gioele risuonano forti ancora oggi: “Suonate la tromba in Sion, proclamate un digiuno, convocate un’adunanza solenne. Radunate il popolo, indite un’assemblea, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti…Tra il vestibolo e l’altare piangano i sacerdoti…Il Signore si mostri geloso per la sua terra e si muova a compassione del suo popolo”(Gl 2, 15-18). Siamo venuti in tanti anche noi per testimoniare, come possiamo, la gelosia e la compassione di Dio per la sua terra e per il suo popolo. Siamo stati nominati, come scrive Paolo, “ambasciatori per Cristo”, “ambasciatori” di pace e di riconciliazione. Nel suo nome gridiamo al mondo: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio”(2Cr 5,20). Per questo dobbiamo vigilare. Il Papa aggiunge: “Noi cristiani, in particolare, siamo chiamati ad essere sentinelle di pace, nei luoghi in cui viviamo e lavoriamo. Ci è chiesto di vigilare, affinché le coscienze non cedano alla tentazione dell’egoismo, della menzogna e della violenza”. Il digiuno e la preghiera ci rendono sentinelle attente e vigili. Non deve vincere il sonno della rassegnazione che fa ritenere la guerra inevitabile; non deve prevalere il sonno della acquiescenza al male che continua ad opprimere il mondo; non deve vincere il sonno del realismo che fa ripiegare sui propri interessi. Non vogliamo lasciarci beffare dalla guerra e dalla tirannia!


Il Vangelo ci chiede di digiunare nel corpo per scacciare dal cuore la superbia e l’arroganza. Ci esorta a pregare per ricevere da Dio il dono della pace. Le nostre forze, da sole, non bastano ad allontanare il male; abbiamo bisogno dell’aiuto del Signore. Sento l’eco di quelle parole di Gesù: “Questa razza di demoni – e la guerra è uno di questi! – non non si caccia se non con la preghiera e il digiuno (Mt 17,21). La quaresima è un tempo opportuno per “entrare nella camera”, per scendere “nel segreto del cuore”, come ci suggerisce il Vangelo: nell’ascolto della Parola di Dio, nella preghiera, nel digiuno e nella carità, ritroviamo quella profondità spirituale che ci fa comprendere e gustare il valore della pace e il valore di ogni uomo e di ogni popolo. Per noi cristiani, infatti, la pace, ancor prima di essere una questione politica, è conversione del cuore a Dio. Chi è raggiunto dall’amore di Dio, infatti, diviene un uomo pacificato nel cuore e per questo anche necessariamente pacificatore, diviene cioè uomo appassionato della pace e dell’amore tra i popoli.