Veglia di preghiera a Santa Maria Maggiore

Care sorelle e cari fratelli,
abbiamo ascoltato il Vangelo dell’Annunciazione. Un angelo si reca a Nazaret, nella lontana periferia dell’Impero Romano, a una ragazza di uno sperduto villaggio. Tutto passò inosservato allora, eppure da quel giorno iniziava una storia nuova per l’intera umanità, e iniziava da una periferia, da una casetta di un lontano villaggio, e iniziava con un bambino. È il mistero custodito da questa memoria evangelica, e in qualche modo anche da questa basilica di Santa Maria Maggiore, che venera le reliquie di Betlemme.
Quest’anno, in occasione dei vent’anni dell’enciclica Evangelium vitae di san Giovanni Paolo II, tutti noi del Pontificio consiglio, congiuntamente all’Accademia per la vita, abbiamo voluto che si tenesse qui, a Santa Maria Maggiore, con tutti voi, in questa basilica, che come sapete è la prima chiesa del mondo dedicata a Maria, questo momento di preghiera della Giornata per la vita. Come sapete, fu proprio l’esortazione dell’enciclica Evangelium vitae a promuovere in tutte le diocesi una giornata mondiale, appunto per la vita, e siccome san Giovanni Paolo II ne motivava il senso con queste parole che vorrei ricordare a tutti noi, quello di questa giornata è di suscitare nelle coscienze, nelle famiglie, nella Chiesa e nella società civile, il riconoscimento del senso e del valore della vita umana in ogni momento, punto e condizione, ponendo particolarmente al centro dell’attenzione la gravità dell’aborto e dell’eutanasia, senza tuttavia trascurare in altri momenti gli aspetti della vita.
Sorelle e fratelli miei, quel sì di Maria all’Angelo, ricordiamo che le costò molto: non fu un sì da pietà mariana, fu un sì laborioso, fu un sì di fronte a un turbamento, a un’angoscia che tanto spesso dimentichiamo, perché il Vangelo, o crea turbamento, o non è una buona notizia. Noi, quando leggiamo il Vangelo, subito ci sediamo. Due minuti. E l’angoscia? E il turbamento? Maria accettò questo turbamento e decise di lasciarsi travolgere dal sogno dell’Angelo, il grande sogno di Dio, rinunciando al suo piccolo e ristretto sogno di ragazza ormai fidanzata. Aveva scelto pure il ristorante, non so, con Giuseppe. Ma in quel sì ci fu il cambiamento totale. Non un sacrificio, intendiamoci: ci fu la scelta tra il mio piccolo sogno e il grande sogno di Dio.
E questa scelta, care sorelle e cari fratelli, dobbiamo farla ogni volta anche stasera. Anche stasera noi siamo chiamati a imitare Maria a scegliere tra i nostri piccoli sogni, quelli magari abituali, quelli che magari sono diventati impegno, e il grande sogno di Dio.
Oggi ci viene riproposto il grande sogno di Dio, e permettetemi allora di iniziare una breve riflessione su questo grande sogno di Dio commentando il mistero della maternità di Maria con poche parole dell’arcivescovo Óscar Arnulfo Romero, che proprio oggi, un po’ prima di quest’ora, venne ucciso sull’altare. È un testimone che vedremo presto salire agli altari come martire della Chiesa universale. Romero un giorno, in un’omelia del 1977, era diventato da poco arcivescovo di San Salvador, disse ai suoi fedeli che lo ascoltavano: il Concilio Vaticano II chiede a tutti i cristiani di essere martiri, a tutti cioè di dare la vita. Ad alcuni lo chiede fino al sangue – come capitò anche a lui – ma a tutti i cristiani chiede oggi di essere martiri, cioè di dare la vita. E fece un esempio che a me pare davvero stupendo: come quella mamma, quella mamma che concepisce un bambino nel grembo, lo custodisce per nove mesi, lo fa nascere, lo allatta, lo fa crescere, lo accudisce, lo difende. Questa mamma è una martire, perché sta dando la vita.
Care sorelle e cari fratelli, questo è il messaggio di oggi. Io farei a tutte le mamme del mondo un grande applauso: se lo meritano, sono le martiri quotidiane, come diceva monsignor Romero. Dare la vita, dare la vita: questo è il martirio di cui oggi noi abbiamo bisogno, e se lo chiede il Concilio, certo lo chiede al Vangelo, lo chiese a Maria che diede la sua vita per quel figlio che cambiò la storia del mondo. E a noi in qualche modo chiede, sorelle e fratelli, di ricomprendere che cosa vuol dire oggi vivere con uno spirito di martirio, con uno spirito di credenti che sanno dare la vita per gli altri e non per se stessi. È una pagina evangelica che dobbiamo ricomprendere con profondità e credo che anche l’enciclica Evangelium vitae vada letta e riletta e ricompresa con maggiore profondità. Penso in particolare alla quarta parte di questa enciclica straordinaria, dove potremmo dire che papa Giovanni Paolo delinea la pastorale della vita dove delinea la volontà di Dio. Ecco, io vengo a fare la tua volontà, abbiamo ascoltato. E la volontà del Padre, Gesù la comprese con chiarezza: e che abbiano la vita, che l’abbiano in abbondanza, questa è la volontà del Padre. Che nel mondo ci sia la vita e sia in abbondanza.
Ecco perché credo che in questo tempo, in questo ventesimo anniversario, il legame di questa data con la celebrazione del Sinodo sulla famiglia sia provvidenziale. Mi verrebbe quasi da dire sia un po’ quel segno di cui abbiamo ascoltato nella prima lettura. Sì, il Sinodo è un segno, è un segno per tutti noi, per ricomprendere la vocazione e la missione che la famiglia ha, e per ogni credente di far crescere la vita per tutti e farla crescere in abbondanza. È questo il segno, è questa la vocazione e la missione che noi oggi dobbiamo riscoprire. Abbiamo ascoltato che il papa san Giovanni Paolo esortava a curare, a difendere e a custodire l’intera vita, nominata dall’aborto all’eutanasia. Papa Francesco parla dell’inizio e della fine di queste due età che in qualche modo circondano l’intera esistenza umana. È questo il mistero che Dio ha affidato alla famiglia all’inizio della Creazione, è questo il mistero che si è come ingigantito in quel sì di Maria. Anche Gesù ha avuto bisogno della sua famiglia, ed è questo il mistero che oggi il Papa chiede a tutti noi di ricomprendere e di riproporre.
Care sorelle e cari fratelli, il Papa ci chiede di avere una visione ancora più ampia, ancora più grande. Dobbiamo curare tutti come una madre, dobbiamo essere attenti a tutti, ai figli che devono nascere, ai figli appena nati, ai bambini, agli adolescenti. E non mi fermo a sottolineare a ogni età il dramma del male che si abbatte inesorabile. Agli adolescenti, ai giovani, agli adulti, alle persone più avanti in età, a coloro che sono verso la fine della vita, è un compito immane e nello stesso tempo affascinante che solo la Chiesa può capire fino in fondo, perché solo la Chiesa, guardando a Maria, può capire fino in fondo quella maternità che l’ha trovata con il sì al momento dell’Annunciazione e con lo stabat sotto la Croce. E anche dopo, nella pietà cristiana che accoglie il Figlio morto, una pietà che ammiriamo e che oggi è difficile con una morte abolita, scansata, abbandonata, è davvero difficile che quella Pietà di Michelangelo possa oggi essere un’icona della bellezza, tanto l’accanimento contro la vita fa abbrutire gli uomini. Ecco perché una vocazione alta ci vien data.
Io vorrei che tutti noi, anche in questo giorno riscoprissimo e ridecidessimo un amore per l’intera vita di tutti gli uomini, di tutte le donne, di tutte le età. Abbiamo bisogno d’una pastorale articolata, creativa, generosa, l’ho sentito prima in una testimonianza durante la Veglia.
Care sorelle e cari fratelli, non basta più quello che abbiamo fatto finora, non perché non sia stato importante, anzi ringraziamo Iddio. Evviva l’enciclica che ci ha ancora spinti, ma oggi abbiamo bisogno d’uno scatto di profezia: ce n’è bisogno, e la Chiesa spesso è sola. Per questo la profezia dell’amore per la vita deve trovare nuove prospettive, nuove strade, nuove creatività, perché davvero, sorelle e fratelli, il Signore ha affidato alla Chiesa questo compito: un compito affascinante e straordinario.
Oggi spesso siamo soli a combattere per tutti, siamo soli a far sognare per tutti, ma abbiamo ascoltato alla fine del Vangelo: nulla è impossibile a Dio, nulla è impossibile a quei credenti che accolgono quell’amore ‘martiriale’ che fa dimenticare l’amore per sé per far crescere l’amore per gli altri.
Buon lavoro, buona visita domani col Santo Padre che vi saluterà, buon Sinodo. Sì, il Sinodo dobbiamo farlo tutti già da ora, parlando, colloquiando, impegnandoci, pregando, perché davvero quel cammino comune che papa Francesco auspica avvenga in tutta la Chiesa, nei vescovi, nei sacerdoti, in tutti i religiosi, le religiose e soprattutto nelle famiglie. È compito delle famiglie dare un impulso creativo anche a questo Sinodo che stiamo celebrando.
E il Signore ci benedica.