XXXII Settimana del Tempo Ordinario – martedi

Lc 17,7-10

[7]Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola? [8]Non gli dirà piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu? [9]Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? [10]Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare».

“Signore, aumenta la nostra fede!” È una richiesta che facciamo nostra. Sappiamo, infatti, che la salvezza viene dalla fede, come descrive bene l’intero capitolo 11 della Lettera agli Ebrei. Per la fede Abramo lasciò la sua terra, per la fede Mosé liberò il popolo d’Israele dalla schiavitù e per la fede fu raggiunta la terra promessa. Ma la fede non è una realtà immobile che si possiede come un oggetto. E neppure è l’adesione a delle verità astratte. La fede è anzitutto un dono che riceviamo e che va custodito e coltivato. Essa, come dice Paolo, nasce dall’ascolto. Ogni giorno pertanto deve essere nutrita dalla Scrittura e deve manifestarsi nella preghiera e nella carità. Gesù, in questo passaggio evangelico, dice ai discepoli quanto la fede sia forte: basta averne come un granello di senapa per riuscire a sradicare un albero e trapiantarlo nel mare. È questo il potere che i discepoli di Gesù hanno ricevuto da Dio. Non certo per inorgoglirsene, perché sono sempre servi inutili, ma per trasformare il cuore e la vita degli uomini.