Vi spiego l’azzardo di Papa Francesco sulla difesa della vita

di Carlo Di Cicco, vaticanista

Cambiare mentalità dei cattolici nei confronti della vita che non va considerata un fortino immobilizzato sulla difesa della vita nascente per cui combattere e duellare nell’ambito legislativo civile immaginandosi di vivere ancora nella società cristiana anziché laica e pluralista. Si può pensare che sia questo uno degli obiettivi pastorale di maggior impegno globale di Papa Francesco, non perché voglia – come dicono i suoi critici – svendere la visione cattolica della vita, ma perché punta a fare della Chiesa un interlocutore credibile e comprensibile su un tema così importante dove si confrontano diverse visione dell’uomo, della persona, della famiglia.

Ci si può chiedere se smantellare la vecchia mentalità ferma allo slogan “difesa della vita dal concepimento fino alla fine naturale” che può significare tutto e niente sia un percorso possibile da compiere o se sia un azzardo che lo lascerà solo a cercare di leggere i segni dei tempi. Fronte caldissimo quello del che fare di fronte alle sfide che vengono dal ripensare vita e famiglia e uno dei motivi per cui larghe frange tradizionali non hanno fiducia in Francesco.

Si è di fronte a un tema di una “spinosità unica” come rileva il vescovo Vincenzo Pagliachiamato da Francesco a presiedere la Pontificia Accademia per la Vita e l’Istituto Giovanni Paolo II per matrimonio e famiglia al fine di mandare in porto un percorso di aggiornamento. Ed è il vescovo Paglia che Tiscali ha voluto sentire sullo scottante tema dal momento che i gruppi “pro life” sono sul piede di guerra in tante parti specialmente negli Stati Uniti.

“Che si debba ripensare il termine vita in tutti i suoi significati è indispensabile per la società  e per la Chiesa – egli osserva – come è indispensabile rivisitare il senso del rapporto uomo-donna. E’ talmente ampia la trasformazione  sul piano antropologico che si è determinata negli ultimi decenni,  che sarebbe da irresponsabili non percorrere sino in fondo questo percorso attenendosi alla tradizione sapienziale della Chiesa in stretto rapporto con i segni dei tempi. Sia l’Accademia per la vita che l’Istituto Giovanni Paolo II sono stati invitati da papa Francesco a ritrovare una nuova vitalità. L’aggiornamento non è un azzardo, ma una necessità per non rendere la Chiesa un museo di archeologia o un folklore. Occorre mettersi in dialogo con il progresso tecnologico, attitudine che Giovanni XXIII chiamava aggiornamento”.

Negli Uffici dell’Accademia per la Vita lavora un piccolo gruppo, una decina di persone tra preti e laici. Il da fare non manca per mandare a buon porto il delicato lavoro di mettere in circolo pensieri nuovi su una tematica grandiosa come la vita che dovrebbe unire anziché dividere.

Come è stata accolto il progetto di aiutare il cambio di mentalità nella Chiesa che i tempi nuovi suggeriscono?
“Negli incontri  avuti con le istituzioni scientifiche e pastorali siamo stati accolti con grande attenzione. Non mancano coloro che guardano  con diffidenza e resistenza. Ma i fronti aperti sono talmente delicati e bisognosi di nuove prospettive da far guardare con attenzione il rinnovamento”.

Perché la vita nell’ambito civile e religioso è una questione che divide anziché unire?
“Dipende dalla prospettiva con cui si guarda la realtà. Chiusi nel proprio castello è difficile capire cosa accade all’esterno. Ma se si esce dal castello si comprende quanta sapienza c’è nella Chiesa e quanto bisogno ci sia nel mondo di questa sapienza. Non si tratta di svendere il patrimonio della Chiesa sulla vita umana. Non va nascosto  ma proposto con intelligenza. Nel mondo si registra un grande smarrimento di fronte al problema della vita e dell’antropologia. La Chiesa deve sentire la responsabilità di aiutare donne e uomini di tutte le fedi e di tutte le culture a percorrere un cammino di vita e non di distruzione. Francesco ha scritto l’enciclica Laudato si’ non per affermare o riaffermare una dottrina astratta, ma per aiutare il  mondo a salvarsi da una sicura tragedia se non si trovano ragioni plausibili di una convivenza umana. E’ urgente  trovare anche le ragioni umanistiche per aiutare  la comunità umana a trovare una via  per una più solida e giusta convivenza”.

Ambienti più tradizionali accusano il papa e lei di svendere anziché difendere il patrimonio cattolico sulla vita umana.
“Uso la parabola evangelica dei talenti per rispondere. Chi per la paura di svendere  sotterra il talento ricevuto, in realtà lo svende perché non lo fa fruttificare. I grandi talenti di sapienza che la Chiesa custodisce sulla vita umana vanno moltiplicati. Difendere la vita solo nel suo momento iniziale rischia di essere una difesa inutile. E’ importante difenderla non a chiacchiere ma davvero in tutto il suo arco, dall’inizio alla fine e in tutte le condizioniesistenziali senza accanimenti ideologici, facendolo invece in maniera sapiente. Non si può difendere la vita in un solo momento. La vita non esiste in astratto ma nella realtà concreta delle persone dal grembo della madre alla sua conclusione”.

“Essere pro life significa allora esserlo contro l’aborto, ma ugualmente contro l’abbandono dei bambini, contro la condizione di bambini soldati, contro le armi in mano agli adolescenti, contro le disuguaglianze tra ricchi e poveri, contro la fame, le dipendenze, la guerra, la pena di morte, l’esclusione, le violenze, gli abusi”.

Ma la barca di Pietro è seguita o naviga isolata in questa direzione?
“La questione della vita è davvero in alto mare e la barca di Pietro è lì, in alto mare dove all’inizio del nuovo millennio Giovanni Paolo II aveva chiesto si spostarsi: Duc in altum, porta la barca in mare aperto. Nel nuovo secolo la barca di Pietro  sta in mare aperto con acque agitate e nubi tempestose. Papa Francesco continua questa navigazione verso la gente”.

“Non possiamo a questo punto guardare solo indietro, abbiamo nubi e onde minacciose e una serie di sfide un tempo impensabili che toccano l’uomo: l’utero in affitto, le provette, la manipolazione genetica. Si marcia verso l’uomo potenziato e pilotato da un ipercapitalismo, stretti dall’inverno demografico nei Paesi occidentali. Di fronte a tutto questo, Francesco con grande sapienza – e qui ricordo a me e a tutti l’ubi Petrus ibi Ecclesia (dov’è Pietro ivi sta la Chiesa) che ho appreso da ragazzo – penso che abbia compreso la direzione della nave perché traversi una umanità travagliata cercando di soccorrere tutti anche quelli che non appartengono alla nave, gettando reti ovunque. In questo senso la sua prospettiva di una dottrina piena di misericordia è una stella polare che tutti dobbiamo seguire. In questo senso Francesco non ha bisogno di robot ma di credenti che collaborino con lui – anche attraverso la fatica del discernimento –  a salvare tutti o quanto meno a cercare di non perdere nessuno. Del resto non è questa la grande tradizione della Chiesa?”

“Non dimentichiamo che l’ultimo canone del Codice di Diritto Canonico (1752) afferma  che la “salus animarum” deve sempre essere nella Chiesa la “suprema  lex”. E io preferirei tanto la “salus animarum” alla “salus principiorum”, la salvezza delle anime anziché dei principi”

(TISCALI)